CORREZIONI SUI LISTINI EUROPEI. CAMBIO DI ROTTA
O TEMPORANEE PRESE DI BENEFICIO?
Nell’ultimo report avevamo posto la questione
se non sarebbe stato il caso, vista la crescita così inaspettatamente lineare
dei mercati, di ridurre alcune esposizioni e creare liquidità di cui poter
disporre in momenti meno brillanti.
In questo primo scorcio di novembre, nel quale
peraltro non è accaduto nulla di eclatante, i listini europei hanno accusato
una battuta d’arresto e chiudono la prima decade del mese in negativo. Non
stiamo parlando di un cambio di umore nei confronti di mercato, si tratta
infatti di correzioni piuttosto contenute racchiuse in una forbice che va dal
-0,46% dell’Italia al -2,06% della Francia. L’ipotesi più realistica è quella
di essere in presenza di prese di beneficio al fine di proteggere la
redditività della componente azionaria a poco più di 50 giorni dalla fine
dell’anno.
Diverso discorso per le altre due piazze che
chiudono le ultime due settimane con il segno negativo. Da una parte abbiamo il
Brasile che registra la peggiore performance, oltre il 5%, dopo aver toccato i
massimi assoluti solo un mese fa, un traguardo decisamente inaspettato se
consideriamo le vicende politiche interne e la situazione di momentanea(?)
stagnazione della sua economia.
In Cina il Congresso nazionale del
Partito Comunista Cinese si è concluso ed il presidente Xi Jinping ne è uscito rafforzato acquisendo un maggior
margine di manovra e potendo perseguire con maggiore incisività le riforme da tempo prospettate. Tra
queste, la più importante riguarda la lotta contro la corruzione interna per
favorire una maggiore efficacia delle politiche economiche. I presupposti affinché
ciò avvenga ci sono tutti, il che è positivo
per la stabilizzazione nel medio termine del sistema economico e
finanziario cinese e di conseguenza per quello mondiale. Bisogna però tenere
presente che ciò interessa il settore finanziario, la ristrutturazione del
sistema industriale e comporta controlli più rigidi a livello di rischi
ambientali, tutti fattori che in una
prima fase possono provocare instabilità.
Fra i rimanenti indici del nostro paniere
confermano un trend favorevole quelli del Giappone, della Cina e della Russia.
L’attenzione ora si sposta sui risultati politici ed economici che deriveranno
dalla visita in estremo oriente di Donald Trump e del suo obiettivo che lo
attende al ritorno in patria, ossia la riforma fiscale, sulla quale i mercati
hanno riposto la fiducia che ha trascinato i listini in questi mesi.
Vediamo infine la situazione da inizio anno che
si conferma comunque estremamente positiva, con il listino di Hong Kong volato
al di sopra del 30% mentre si confermano in stato di grazia India (ai suoi
massimi storici), S&P 500 e Nasdaq. Il Brasile si riporta sotto la barriera
del 20% e nell’area 15-20% di rialzo è in compagnia dell’indice giapponese e di
Piazza Affari. Nella fascia +9/15%, nonostante le predette correzioni, si
collocano altri sei listini, in prevalenza europei. A chiudere le borse di Gran
Bretagna e Russia e, comunque sia, non c’è alcun indice in territorio negativo,
a conferma dell’eccezionalità di questo 2017 che a gennaio, in termini di
ulteriore crescita, destava non poche preoccupazioni fra gli operatori.
BANK OF
ENGLAND SI MUOVE MA IN PUNTA DI PIEDI
Dopo 10 anni la
Bank of England ha alzato i tassi di 25 basis point,
portandoli a 0.50%. Il rialzo era più che annunciato (noi stessi l’avevamo dato
per scontato da tempo, come ricorderete) ma ha un po’ sorpreso la paventata
intenzione di voler assumere un percorso di normalizzazione della politica
monetaria più lento di quanto atteso e ciò alla vigilia dell’annuncio (di
queste ore) dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea per la fine di
marzo 2019 come se il passaggio potesse avvenire in forma indolore; staremo a
vedere.
Ripercussioni
sul decennale britannico? Nessuna, era già tutto scontato da almeno due mesi.
Lo stesso dicasi sul rapporto di cambio con l’euro che ormai da maggio si trova
racchiuso in un range che va da 0,86 pounds contro euro a 0,92, salvo uno spike
a 0,93 durato una sola settimana.
Il mercato
obbligazionario in queste due settimane si è mosso soprattutto sui titoli
decennali italiani. I rendimenti del Btp si sono infatti ridotti dall’1,95% di
fine ottobre all’1,85%, quasi a sancire la voglia di guadagni aggiuntivi
derivanti dall’atteggiamento accondiscendente della BCE che ha annunciato la
prosecuzione delle facilitazioni monetarie anche per il 2018 avvantaggiando
pertanto i titoli periferici dell’area euro che continueranno a godere di
stabilità e tassi di mercato risicati che si riverberano sul costo del debito.
Ciò è destinato comunque ad avere una fine, vuoi per la scadenza del mandato di
Draghi vuoi per la possibilità, ora meno remota, di una recrudescenza dell’inflazione;
per chi non se ne fosse accorto è il caso di sottolineare che Wti è cresciuto
del 32% dal mese di giugno e prima o dopo i suoi effetti si faranno sentire mentre
il pieno alla pompa è già lievitato. Provare per credere.
Per quanto
concerne gli altri governativi decennali del nostro osservatorio, nonostante i
movimenti infrasettimanali, hanno tutti rendimenti piuttosto stabili che
andiamo a evidenziare nel grafico seguente:
LE VALUTE SI MUOVONO. USARE CAUTELA
Sul mercato valutario registriamo qualche
modesto segno di volatilità. L’euro sul dollaro sembra aver esaurito la fase
correttiva dai massimi di periodo che ha portato il rapporto di cambio da 1,20
a 1,16 a inizio novembre. La scorsa settimana l’euro, almeno in apparenza, ha invertito la rotta avvicinandosi alla
soglia di 1,17. Crediamo che fra le misure espansive che Trump dovrebbe
attuare, il decoupling tra la politica della Fed e quella della Bce e qualche
possibile mutamento sulle attese dell’inflazione il rapporto fra le due valute
non sarà certo statico e tranquillo nei prossimi mesi. Non cadiamo nella
tentazione di fare previsioni onde evitare indesiderati errori di
posizionamento.
Un po’ meno aleatorie le previsioni sullo yen
che, a causa delle politiche ultra-espansione del riconfermato premier,
dovrebbe mantenersi sostanzialmente debole sull’euro. Molto stabile, come
abbiamo già detto, il cambio fra euro e sterlina anche dopo il ritocco dei
tassi che si gioca in un range fra 0,88 e 0,90 e non resta che prestare un po’
d’attenzione al rapporto con lo yuan cinese. Dopo continue micro-svalutazioni
che sono durate da gennaio a fine agosto, lo yuan ha ripreso un po’ vigore
portandosi a quota 7,70 a inizio mese salvo un rimbalzo, ancora tutto da
valutare, avvenuto in settimana chiudendo a 7,745.
Sono tutte situazioni piuttosto fluide e dunque, per
l’investitore in euro, grande attenzione e cautela al fine di non vanificare i
positivi risultati dell’anno scommettendo sul mercato più indecifrabile, quello
valutario.
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