La settimana scorsa avevamo di fronte due settimane
critiche da affrontare, prigionieri delle aspettative riposte nelle riunioni di
BCE, FED e BOJ. Quella della BCE è ormai alle spalle e Draghi si è prepotentemente
mosso all’insegna del decisionismo.
Le decisioni prese sono consistite in:
- abbassamento del tasso principale dallo 0,05% allo 0;
- nel taglio dei tassi sui depositi da -0,30 a -0,40%;
- aumento del QE da 60 a 80 Miliardi di Euro al mese e il lmite di ogni singola emissione passa dal 35 al 50%;
- allargamento del QE a titoli obbligazionari investment grade (sino ad ora il QE era riservato a titoli emessi da paesi membri aderenti all’Euro);
- nuove operazioni LTRO, che partiranno da giugno, le cui entità saranno decise di volta in volta in base alle quantità di credito erogate alla clientela delle banche.
E’ un intervento massiccio, in una certa misura inaspettato ma va ribadito
che nel prendere queste decisioni Draghi non è stato costretto a confrontarsi
con l’intero schieramento dei “falchi”, notoriamente ostili a simili
concessioni.
La reazione dei mercati è stata dapprima scomposta, con notevoli
oscillazioni e una chiusura negativa nel giorno dell’annuncio, salvo chiudere
la settimana con progressi che, in
taluni casi come in quello italiano, possiamo definire come significativi.
Ora le attese si spostano soprattutto sulla FED e staremo a vedere. I
giochi non sono finiti, anzi. Se da un lato è stato dato fondo all’arsenale
finanziario per supportare l’asfittica crescita europea nondimeno va ritenuto
che essa debba automaticamente accelerare in virtù di queste manovre.
L’alta disoccupazione, il pessimismo diffuso, la latitanza dei consumi e un impietoso trend demografico non possono
essere ribaltati da semplici misure di politica monetaria. La palla ora è stata
spedita nel campo della politica, assente da molti anni in termini di riforme
strutturali adeguate e validi progetti di sviluppo.
Quel che è certo è che l’economia europea sta rallentando, strutturalmente subordinata
a quelle ben più solide degli USA, da un lato, e della Cina dall’altro; le
manovre suesposte peraltro, se per un certo verso dovrebbero stimolare la
crescita dell’area, queste andranno però a ridurre i margini operativi delle
banche dell’Unione, settore estremamente delicato per la stabilità del sistema.
Meglio per ora non abbassare la guardia e non gridare a squarciagola che il
pericolo di una recessione è alle spalle. Quando il polverone di questi giorni si
sarà depositato ci accorgeremo che centinaia di analisti avranno prodotto le
più disparate proiezioni e forniranno scenari previsionali molto variegati
condizionando inevitabilmente la direzione del mercato.
Lasciamo perdere le scommesse forti, non è proprio il caso, e manteniamo la
rotta sui nostri obiettivi ed esigenze di investimento. Un po’ alla volta ci
stiamo accorgendo che l’ottenimento di una occasionale e fortuita performance brillante
è risultato effimero di fronte alla sana e corretta gestione dei nostri
patrimoni, esercizio sempre più ostico e destinato a essere compito di bravi
consulenti a ciò preparati.
Ora teniamo dritte le antenne e aspettiamo le decisioni della Sig.ra Yellen;
la prossima settimana la scena sarà sua.
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