Riprendiamo
i temi trattati nella lezione precedente in relazione alla pianificazione
finanziaria e al punto di svolta toccato dai tassi di interesse.
Gli interessi a zero portano sollievo ai governi
indebitati e a chi ha un mutuo ... ma infliggono sofferenze ai fondi
pensionistici e al mondo della previdenza … l’industria del settore non ha
altra scelta che quella di destinare gran parte dei suoi investimenti
servendosi di obbligazioni sicure che non rendono quasi nulla. Troppa
presenza sulle borse, che in questo secolo hanno molto oscillato, potrebbe
esporre al rischio le promesse fatte agli assicurati, soprattutto quelle che
risalgono a un passato diverso … il problema è particolarmente acuto per le
compagnie assicuratrici del continente europeo. Molte hanno a suo tempo offerto
polizze a rendimento garantito. Oggi le compagnie tedesche si trovano a dover
affrontare impegni previdenziali prefissati a rendimenti del 4%.
Attualmente gli assicuratori europei
hanno circa metà del portafoglio in azioni e metà in obbligazioni, ma se le
cose continuano così dovranno spostarsi verso investimenti più rischiosi che in
passato avrebbero evitato. Come si vede il “punto di svolta” dei mercati in
relazione ai tassi ha un forte impatto sull’industria previdenziale europea.
La situazione della previdenza
integrativa italiana è “speciale” (eufemismo per non dire che è arretrata)
perché non ci sono programmi intensivi di consulenza dentro le aziende, le
informazioni fornite dai governi sono assenti o fuorvianti, l’unica forma di
assistenza è data dai consulenti che raccolgono i risparmi. Essi si devono
confrontare con quanto è emerso da un recente sondaggio:
L’avversione al rischio resta una
peculiarità degli italiani. Il 68% degli intervistati non è disposto a correre
alcun rischio con il proprio denaro, rispetto alla media europea del 59%. Solo
il 25% è interessato a ricercare maggiori guadagni rischiando di più …
Malgrado questa aspirazione
“profonda” alla sicurezza, il non voler correre rischi non è coerente con altri
comportamenti:
Soltanto il 47% degli italiani ha avviato un piano di risparmio pensionistico rispetto a un 56% a livello europeo … Inoltre solo il 24% pensa che la pensione pubblica potrà far fronte ai propri bisogni pensionistici (Lucilla Incorvati, Plus24 del 28/02/2015, p. 18).
Soltanto il 47% degli italiani ha avviato un piano di risparmio pensionistico rispetto a un 56% a livello europeo … Inoltre solo il 24% pensa che la pensione pubblica potrà far fronte ai propri bisogni pensionistici (Lucilla Incorvati, Plus24 del 28/02/2015, p. 18).
Non stupiamoci delle incoerenze:
sono tipiche in questo ambito. Si può al contempo non avere fiducia nelle
pensioni pubbliche, ma non avviare un piano per la sicurezza futura, a meno di
non essere aiutati (dai consulenti che ci devono sensibilizzare su prospettive
lunghe e “punti di svolta”).
Tali incoerenze mostrano ancora una
volta quanto sia indispensabile il ruolo del consulente anche per la
pianificazione finanziaria. Siamo di fronte a uno scenario che mostra le
inerzie del passato (sicurezza ottenuta con i titoli pubblici e le
obbligazioni), ma prospetta anche punti di svolta (pensioni pubbliche
insufficienti). In Italia siamo messi peggio che in altri paesi perché ormai ci
si rende conto che le pensioni saranno basse, ma, al contempo, c’è poca
previdenza integrativa, e i risparmi non sono ben bilanciati. In effetti, il
primo fattore da prendere in considerazione, in relazione al futuro e alla
sicurezza dei cittadini, è la perniciosa concentrazione dei risparmi su poche
possibilità (per questo meccanismo, cfr. Legrenzi, 2015, in corso di stampa).
Gli italiani, alla fine del 2014, nel loro complesso, hanno immobili che
valgono poco più di quattromila miliardi. La stima è poco accurata e i valori
sono stimati in discesa fino al 2017 da Nomisma e dalla Federazione degli
agenti immobiliari professionali (Corriere della Sera, 24-02-2015, p. 36).
Malgrado la ricchezza cumulata in passato, le prospettive del paese non sono
buone (cfr. Economist, 28/02-6/03-2105, pp. 25-6). Il seguente grafico mostra
come l’Italia, sulla base di un complesso di indicatori che ruotano intorno
alla crescita nazionale e alle possibilità future di risparmio, non sia messa
proprio bene:
Ora sappiamo che gli immobili hanno
subito il forte calo dell’ultimo lustro, e questo è un punto di svolta
rilevante per i risparmi, come si è detto nella lezione precedente. Inoltre
assistiamo alla recente svalutazione dell’euro: ovviamente il valore degli
immobili degli italiani è in euro perché non si possono spostare altrove, essendo
appunto non-mobili. Inoltre gli italiani, sempre nel loro complesso, hanno
risparmi “mobili” per più di quattromila miliardi. La stima è precisa e i
risparmi sono in leggera crescita. E’ certo che gli immobili valevano di più,
anche se è difficile stimare il valore odierno in modo accurato. In questi
ultimi anni è calata la domanda, e sono contemporaneamente aumentate sia
l’offerta che le tasse: è diventato meno conveniente affittare una casa per
procurarsi una rendita. I poco più di quattro miliardi d’immobili sono
caratterizzati da una natura ambigua. Non sono puri risparmi. Spesso le case
servono per viverci dentro, per tutto il tempo dell’anno, altre per intervalli
(case per le vacanze), altre infine vengono affittate per ottenere un
rendimento da capitale. In quest’ultimo caso sono paragonabili ai risparmi
mobili (azioni, obbligazioni, e così via). Sta di fatto che, nel complesso, la
ricchezza complessiva degli italiani, per la prima volta dal dopo-guerra,
scende da anni (cfr. grafico). Questo decremento rende cruciale la questione
previdenziale, dato che la ricchezza era detenuta anche come riserva per la
vecchiaia.
In questa prospettiva, in Italia,
“fino a poco tempo fa si chiedeva di destinare il Tfr verso il fondo pensioni,
mentre ora – osserva Agar Brugiavini, esperta del settore e docente
all’università Ca’ Foscari di Venezia, su La Stampa del 18-01-15 (p. 9) –
spingiamo i lavoratori a spenderlo”. Agar Brugiavini stima che “per una paga di
2mila euro netti al mese si potranno ottenere circa 120 euro in più, pari a un
aumento del 5-6%, a fronte di una perdita significativa del Tfr maturando,
poiché si perde l’accumulo di risorse … per i più giovani la pensione sarà al
50% dell’ultima retribuzione”. Si tratta di un segnale reso ancor più contradditorio
dall’aumento dall’11,5% al 20% della tassazione sui fondi “che sta
definitivamente chiudendo la partita della previdenza integrativa”. Insomma,
secondo Agar Brugiavini stiamo innescando dei “nudge a rovescio”, cioè dei
suggerimenti impliciti rivolti contro gli interessi delle persone coinvolte.
Abbiamo un’insufficiente
consapevolezza dei problemi della pianificazione finanziaria, derivante da
scarsa trasparenza, oltre che da nudge contro-producenti. Nel caso della coppia
immobili/mobili, i risparmiatori, pur aspettandosi una rivalutazione sui tempi
lunghi, si trovano di fronte a due situazioni molto diverse in termini di
trasparenza percepita (dico percepita perché molti sono così lontani dal
prospettarsi il problema che non si pongono neppure il problema della
trasparenza, cioè del valore effettivo dei loro beni). Rendimenti e
rivalutazione sono chiari e trasparenti, in ogni momento, nel caso dei risparmi
“mobili”. Sono invece più opachi per gli immobili. E’ plausibile supporre che
molte case sono state tenute e mantenute dai proprietari con la prospettiva che
fossero un buon investimento, e non per necessità immediate di avere un tetto
sulla testa. Le case probabilmente perderanno ancora valore, ma non c’è molto
da fare: trattandosi d’immobili non si possono muovere e trasferire altrove, in
paesi che stanno diventando più ricchi, e non più poveri come l’Italia (cfr.
grafico). Dato che questo risparmio è stato fatto in chiave
quasi-previdenziale, il consulente deve accollarsi anche queste responsabilità
legate alla previdenza. Negli ultimi tempi, infatti, la “domanda maggiore che i
clienti pongono a consulenti e promotori finanziari è legata alla
pianificazione finanziaria dopo il pensionamento (47%) e all’accesso di
prodotti che possano offrire un reddito stabile” (Plus, 21-02-1025, p. 9). Un
compito fondamentale in questi nuovi scenari è “aiutare i risparmiatori ad
avere un maggior controllo sulla propria sicurezza finanziaria e offrire
portafogli che possano affrontare l’incertezza dei mercati”. Ancora una volta
siamo nel campo della gestione dell’incertezza e questo è un compito dei
consulenti e dei promotori finanziari più che dei gestori: questi ultimi
gestiscono il rischio, ma sono i consulenti che devono farsi carico
dell’incertezza.
Come osserva Marco Lo Conte è il
momento dei promotori e dei consulenti in quanto: “una concorrenza tra
strumenti di secondo pilastro realizzerebbe quel consolidamento del sistema che
i richiami alle funzioni in passato non hanno realizzato” (Plus24 del
28-02-15, p. 18).
Avanti consulenti: tutti i punti di
svolta sono a voi favorevoli!
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