domenica 21 luglio 2013

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 45 – Quattro principi di base


In vari modi abbiamo sempre cercato di controllare l’incertezza del futuro. Anche un santone o un ciarlatano era meglio di niente. In seguito abbiamo inventato le assicurazioni. Le assicurazioni sono rese possibili dal poter calcolare le serie storiche dei rischi: si può calcolarle quando il futuro è, entro certi limiti, una replica del passato.

Questo tipo di prevenzione assicurativa non è applicabile quando l’incertezza del futuro non è calcolabile estrapolando i rischi del passato. Consapevoli di ciò, tendiamo a dare in gestione i nostri risparmi a presunti esperti dei mercati. Può capitare, purtroppo, che i risparmiatori si affidino senza una minima idea di quel che implica tale delega, e senza saperne giudicare gli effetti. In teoria si potrebbe confrontare il rendimento dei nostri risparmi affidati ad esperti con quello dei risparmi gestiti soltanto dal proprietario. Questo confronto tuttavia non è molto sensato, come osserva, tra gli altri, Luigi Guiso su Plus-Sole 24Ore (2013): “Raffrontare il rendimento degli investimenti di chiusa la consulenza con quello di chi non la usa non ha molto senso .. Chi ricorre alla consulenza è meno capace di chi non la usa … inoltre ci si può affidare perché sappiamo (o pensiamo) ‘di essere in buone mani’ ”.

Che cosa bisognerebbe conoscere delle scienze cognitive, per non doversi affidare ciecamente a un esperto? In sintesi soltanto quattro principi di base:

*      la differenza tra rischio e incertezza, e cioè l’impossibilità di prevenire, sulla base della misura dei rischi del passato, l’incertezza dei rischi imprevedibile del futuro;
*      la nozione di diversificazione, e cioè la distribuzione dei nostri risparmi in più forme di possibili di investimenti decorrelati, strategia efficace anche in altre scelte di vita (White et al., 2013);
*      la differenza tra paura e pericolo;
*      la regressione verso la media, e cioè la tendenza dei vari parametri, utilizzati per misurare l’andamento dei risparmi, a ritornare verso i valori storici di lungo periodo, a patto di avere sufficiente pazienza.

Questi quattro principi sono i pilastri della diversificazione, dato che garantiscono che le fette della torta diversificata dei risparmi producano un mix di insuccessi e successi, adattandosi ai cambiamenti dei mercati e controbilanciandoli. Credendo invece di sapere in anticipo quali siano gli investimenti “giusti”, puntando cioè solo su presunti successi, ci troviamo con un portafoglio troppo concentrato e una diversificazione insufficiente. Questa difficoltà purtroppo si assomma a quella dei ritardi costanti dei flussi di entrate/uscite, ritardi che si constatano non solo sul mercato italiano (lezione 43), ma anche su quello statunitense, che potremmo supporre più evoluto.


La figura precedente mostra un ritardo meno drammatico di quello che si verifica sul mercato italiano. E tuttavia l’effetto “specchietto retrovisore” lo troviamo anche negli Stati Uniti: dopo che i mercati sono saliti si entra, e dopo che sono scesi, si esce. Siamo così giunti a poter definire il primo e il secondo paradosso del risparmio. Il primo consiste nel fatto che si risparmia per difendersi da un futuro incerto, ma si è costretti a depositare i risparmi in portafogli in cui l’andamento futuro è incerto. Il secondo paradosso nasce dalla constatazione che sarebbe meglio, per il benessere dei nostri risparmi, che il loro andamento, una volta che li abbiamo investiti, non ci stesse troppo a cuore. Perché, se ci sta molto a cuore, finiamo per controllare troppo spesso come vanno. Seguire con apprensione gli alti e bassi dei risparmi innesca errori nella scelta dei momenti di entrata/uscita dai mercati, e ci spinge a tenere una percentuale bassa o nulla di azioni.

Il secondo paradosso spiega come mai prendiamo decisioni troppo basate su quello che succede sui tempi corti, e che ci preoccupa. Finiamo così per fare peggio rispetto a uno stile di gestione che non controlla spesso il valore dei risparmi. Dovremmo comportarci come Ulisse e le sirene: magari controllarne l’andamento, ma dopo esserci legati le mani, in modo da non agire, soprattutto se non abbiamo imparato a difenderci dalle nostre emozioni, in particolare dal dolore delle perdite. Sembra facile, ma non lo è. Il secondo paradosso è all’origine dell’interrogativo con cui siamo partiti: come mai gli italiano hanno circa due  terzi dei loro 9mila miliardi di risparmi bloccai in immobili? La risposta è che il presunto valore degli immobili ci conforta e non ci preoccupa. L’ipotetico prezzo di un immobile, rispetto a quello di un’azione o di un’obbligazione, ha il grande vantaggio di essere ignoto fino a quando non si riesce a vendere ‘immobile.

Gli immobili non sono quotati e quindi sono, per definizione, immuni dallo svantaggio derivante dal poterne controllare il prezzo. La non trasparenza dei prezzi è uno svantaggio economico, ma un grande vantaggio psicologico, anche se non dovrebbe essere tale dal punto di vista della razionalità economica. Quando gli immobili scendono molto di valore, come negli ultimi anni, le persone smettono di  venderli in attesa di tempi migliori. Ecco Alessandro Penati, sulla Repubblica del 6 marzo 2013: “Il crollo delle transazioni immobiliari indica che i valori attuali non sono significativi e che si sta accumulando un disequilibrio tra domanda e offerta che alla lunga troverà sfogo in una riduzione di prezzi”.

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