venerdì 5 luglio 2013

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 41 – Uscita dal debito e caccia ai rendimenti


Nel mio libro sulla gestione dei risparmi edito dal Mulino, che sarà in libreria a fine mese, avevo ricordato il commento di Giorgio Barba Navaretti che, in Austerità figlia del panico, ricordava la “scarsa credibilità dei governi del Sud”, come la Grecia o l’Italia pre-Monti:
 

In sostanza, le misure di austerità sono state probabilmente più restrittive di quanto giustificato dai fondamenti economici perché dovevano convincere i mercati che i paesi in difficoltà potevano uscire dai guai anche senza la solidarietà fiscale e monetaria europea. Questo surplus di austerità non è stato imposto dal rigore dei paesi del Nord, come spesso si racconta … Ora chi governerà il Bel paese deve avere molto chiaro che il dividendo creato dal surplus di austerità va speso con molta cautela per uscire dalla recessione (Sole 24Ore, 31.3.2013).

In maggio, anche per una svista nei dati utilizzati da due grandi studiosi statunitensi di Harvard, Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, si è aperta una vivace discussione sull’esistenza di una soglia sopra la quale il debito pubblico inizia ad avere un effetto negativo sulla crescita economica. Sul Sole 34Ore del 11 maggio 2013, Panizza e Presbitero, dopo aver passato in rassegna le varie ipotesi concludono che “… il debito provoca una riduzione della crescita, ma soltanto perché un indebitamento elevato genera panico e politiche restrittive” (p. 7). Questa conclusione coincide con quanto osservato a p. 64 del mio saggio: “In conclusione, non solo il senso del rigore, ma anche la paura spinge a imboccare un cammino virtuoso di rientro dal debito”.

Il problema della paura è legato alla questione della reputazione. L’Italia non ha un passato che garantisca una buona reputazione. Nella storia unitaria si sono avuti solo tre periodi (1861/1863; 1926; 1946/1981) in cui è stato rispettato il criterio del trattato di Maastricht, e cioè un debito inferiore al 60% del PIL. Se il debito non è molto, possiamo sperare che la crescita economica, prima, lo riduca, e poi riesca a cancellarlo. Se il PIL è 100 e il debito è 200, come all’incirca in Giappone, il rapporto è di 1 a 2, dato che il PIL annuale è la metà del debito accumulato. Questo rapporto può scendere e divenire più tranquillizzante semplicemente se il PIL cresce e il debito resta costante. Purtroppo quando il debito è grande, come in Italia e negli altri paesi periferici dell’area euro, è impossibile sperare in una crescita così forte da annullare il debito. Restano comunque altri modi per il rientro del debito:

*      non pagarlo ai creditori o non onorarne unaa parte, come ha fatto la Grecia nel 2011-12, e, a suo tenpo, ha fatto l’Argentina. La crisi di Cipro, nel marzo 2013, ha tosato i clienti ricchi delle banche. Talvolta leggerete il termine ristrutturare il debito, che è un semplice eufemismo per dire che non se ne paga una parte ai creditori;
*      usare l’inflazione, per ridurlo gradatamente, com’è stato fatto in molti paesi dopo le guerre e nel corso degli anni Settanta, e come si sta facendo di questi tempi;
*      usare misure di politica fiscale, che è la tecnica più dolorosa, come hanno ben capito gli italiani nel 2012/2013, in seguito all’adozione dell’amara ricetta: taglio (poco) delle spese statali + aumento (molto) delle tasse dei contribuenti.

L’adozione di una o l’altra di tali tecniche ha effetti molto diversi sui risparmi. Usare l’inflazione è un’ottima tecnica per i governi, ma è molto pericoloso per gli investitori, perché la perdita del potere d’acquisto agisce in modo silente, lento e implacabile. Chi gestisce i risparmi deve guardarsi dall’insidia insita nel giudicare i rendimenti a prezzi nominali, senza tenere conto dell’inflazione. Sembra una banalità, ma che non lo sia è dimostrato dall’evidenza: questa tecnica finora ha sempre funzionato! Storicamente l’emissione di titoli con rendimenti reali negativi è stata la strategia più usata per ridurre i debiti statali, e di debiti ce ne sono molti in giro.

Persino in Italia i Bot annuali emessi a maggio 2013 danno rendimenti che non coprono la metà dell’inflazione del nostro paese. Eppure sono stati venduti tutti. Negli USA questa tecnica ha funzionato per ben sedici anni dopo la seconda guerra mondiale: il debito è stato, fortunatamente, quasi annullato. Purtroppo il contributo è stato dato, per lo più, da risparmiatori non patriottici ma inconsapevoli!

Il Sole24Ore è tornato sull’argomento il 16.5.2013 con un articolo di Maximilian Cellino dove si racconta della caccia ai rendimenti, una caccia sempre più affannosa: qualche settimana fa la BofA Merrill Lynch aveva stimato che i bond sovrani in circolazione con rendimenti inferiori all’1% ammontassero a quasi 20mila miliardi di dollari e che costituissero quasi il 90% dell’indice Global Broad market Sovereign Plus. Questi rendimenti non coprono neppure la metà dell’inflazione media. Quindi i 20mila miliardi di dollari prestati agli Stati sono un’ulteriore dimostrazione, se ce n’era bisogno, della difficoltà di tener conto dei rendimenti reali.

Nessun commento:

Posta un commento