domenica 22 gennaio 2017

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 206 – Clienti e consumi



Prologo al 2017

Cari lettori, intanto buon 2017! Questo è un nuovo anno ed io cercherò di aprire un nuovo corso di lezioni, dopo il ciclo delle 200 lezioni iniziali che troverete a breve confezionate in un e-book. Non mi stancherò mai di ringraziare GAM per questo e-book.
In linea generale, il nuovo corso di lezioni sarà dedicato al tema dell'avere dei clienti che si rivolgono a un’altra persona per ottenere un servizio o un prodotto.
Nel vostro caso, almeno fino a ora, molti di voi considerano come servizio la consulenza per la gestione dei risparmi dei clienti, e i prodotti utilizzati sono quelli finanziari messi nel portafoglio del cliente. E tuttavia, nel mio ultimo libro (Economia nella mente, 2016, Cortina editore) vi ho parlato di nuova consulenza e ho cercato di delineare l’assicurazione comportamentale accanto alla finanza comportamentale.
Per muovermi verso questa consulenza “totale” penso sia opportuno riflettere preliminarmente con voi sul significato dell’avere un cliente, del seguire un cliente, del perché un cliente si rivolge a noi. Dovrò necessariamente iniziare con un po’ di teoria. E tuttavia cercherò di non fare un discorso troppo astratto ricollegandomi subito alla vostra situazione concreta, alla vostra attività professionale. Alternerò quindi teoria e applicazioni alla vostra quotidianità. Spero come sempre di non deludervi mostrando che a tutti voi, come ad altri professionisti, può sembrare ovvio avere clienti. Ma così ovvio forse non è, per lo meno non in un momento di transizione e di grandi opportunità. Si apre un futuro nuovo per il nostro settore: la gestione non solo dei risparmi ma di un cliente/persona “in toto”. Questi sono i nuovi campi d’azione in un paese che è stato il regno del "fai da te", questa è la nuova sfida, questi i nuovi territori. E, per spingersi in nuovi territori, bisogna cercare di andare al di là dell’ovvio.

Teoria: clienti e consumi

All’inizio non c’erano né clienti né consumi. Mancavano i due ingredienti che hanno permesso lo sviluppo della civiltà umana: saper collaborare e poter competere. Uno sembra il contrario dell’altro, ma ci vogliono entrambi perché il primo è il cemento della società, quello che ci fa stare insieme, e il secondo è il motore per lo sviluppo. Nessuna specie animale ha saputo mescolare meglio di noi il cemento e il motore per lo sviluppo. Dalla collaborazione nasce la fiducia, e ci vuole almeno un po’ di fiducia perché una persona possa divenire cliente di un’altra. Senza competizione non c’è innovazione, e ci vogliono invenzioni perché il mondo dei consumi non si fermi.
Qui intenderemo clienti e consumi in senso lato. Quando consumiamo qualcosa che non è già presente nella natura che ci circonda - come ci capita sempre, a meno di praticare la pesca e la caccia, non più di moda - siamo clienti di qualcuno. Lo siamo in modo consapevole, perché ci siamo rivolti direttamente a lui, o inconsapevole, e quindi in modo indiretto, perché il suo aiuto può essere incorporato in un bene o servizio senza che noi lo sappiamo, alla fine di una lunga catena a noi sconosciuta. Considerate, per esempio, il consumo di informazione a distanza che fate con un cellulare. Di sicuro sapete di essere clienti della casa che l’ha prodotto (nel mio caso Apple) e di una rete (nel mio caso Wind). E tuttavia conoscete solo vagamente la lunga catena che ha avuto origine nella teoria della computabilità di Alan Turing, il primo studioso che ebbe l’idea di riprodurre alcune funzioni del nostro cervello in una macchina, se non volete risalire ancora più indietro nel tempo.
In questo senso, consumare qualcosa ed essere clienti di qualcuno sono due concetti che si tengono insieme. Qui non s’intende soltanto consumo di beni materiali – cibo, bevande, vestiti – ma anche di beni più eterei e impalpabili, esperienze piacevoli o addirittura conoscenze altrui, come quando andiamo da un esperto perché faccia una cosa che noi non sapremmo fare bene come lui. In tutti questi casi siamo clienti di qualcuno e consumiamo qualcosa che non c’è in natura ma che è stato creato da altri uomini.
Se vogliamo capire il senso dell’avere clienti o del consumare beni e servizi nei modi in cui lo facciamo oggi, è bene riflettere sulle condizioni di vita quando questo non era nemmeno lontanamente possibile. Oggi ci sembrano due cose ovvie. Tutti sanno, o credono di sapere, che cosa sia il consumo e che cosa sia avere clienti, cioè persone che usufruiscono di quanto fornito da altre persone che collaborano per fare un prodotto o un servizio. E tuttavia non è così ovvio. Lo sembra soltanto perché il mondo funziona in questo modo da tanto, tanto tempo. Eppure in principio non era così. Andiamo allora indietro nel tempo, ritorniamo alla pre-istoria, alle condizioni di vita, o meglio di sopravvivenza, da cui si sono originati consumi e clienti.
C’è stato un tempo, un tempo molto lungo, in cui la nostra specie viveva in modo semplice: gruppi di poche decine di persone si muovevano insieme, facevano figlie/i, andavano a caccia o a raccogliere cibo, come pesci o frutti. Quando il territorio in cui vivevano era diventato povero o del tutto esaurito, si spostavano. Così hanno finito per popolare tutta la terra, pur partendo dal centro dell’Africa. Consumi e movimenti hanno creato quella varietà di specie umane su cui ha agito la selezione darwiniana. E ora eccoci qua.
Per poter cacciare, ci voleva collaborazione tra i nostri antenati. Dalla collaborazione nacque il linguaggio che permette di coordinare le nostre azioni: con grida e gesti non si andava molto in là. Fino a quando non inventammo l’agricoltura e l’addomesticazione di alcune specie, circa ottomila anni fa, dovevamo riuscire a catturare animali selvaggi e a ucciderli. Granchi, molluschi, pesci e frutti non fornivano abbastanza proteine per una vita di movimento. Ricordate il film Cast Away (2000), diretto da Robert Zemeckis, con protagonista Tom Hanks che, a causa di un incidente, finisce su un’isola deserta del Pacifico, proprio com’era capitato a Robinson Crusoe nel romanzo (1719) di Daniel Defoe? Tom Hanks si è messo a dieta ferrea ed è dimagrito di venti chili per mostrare gli effetti di un’alimentazione composta solo di pesci e frutta.
Il film è interessante, più in generale, perché rappresenta un caso limite in cui Robinson è cliente solo di se stesso e consuma solo ciò che trova in natura. Nel film si mostra lo straniamento di Robinson appena arrivato: nell’isola non c’è nulla di umano finché lui non arriva. Non ci sono suoni, ci sono soli rumori, in assenza del suo apparato acustico. Non ci sono colori, solo onde elettromagnetiche, in assenza del sistema visivo di un essere vivente. Non ci sono paesaggi, tramonti, albe, sapori, emozioni, esseri con-viventi: così anormale per un uomo contemporaneo da condurlo alla pazzia.
Nel Settecento no, il "primo" Robinson conquista ingegnosamente e gioiosamente la natura ostile (e poi arriva il selvaggio Venerdì). Robinson è un caso limite: è cliente solo di se stesso – cioè senza clienti veri e propri – e consumatore soltanto di ciò che fornisce la natura. Il "secondo" Robinson, quello di oggi finisce invece per provare un senso di spaesamento insopportabile perché è nelle stesse condizioni ambientali di tre secoli prima, un’isola deserta, ma ha conosciuto la civiltà odierna. Nel film di Zemeckis, infatti, il novello Robinson è più fragile e trasforma un pallone in un compagno solo per immaginarsi di non essere unico sull’isola: non bastano i ricordi della vita precedente.

Il nostro antenato pre-istorico, decine di migliaia di anni fa, non aveva conosciuto una vita “civile” precedente, come capita ai due Robinson, quello del Settecento e quello contemporaneo. E tuttavia aveva il vantaggio di vivere con altri con cui collaborare così da potersi procurare proteine catturando e mangiando animali più grandi di lui. Per un uomo solitario non era facile uccidere un animale di grande taglia per poi cibarsene. In gruppo, invece, ci si dava una mano e tutto funzionava meglio. Diventava possibile circondare l’animale e poi farlo prigioniero. Oppure si poteva cercare di spaventarlo così da spingerlo verso un dirupo. Fin da decine di migliaia di anni fa, ci siamo accorti dei grandi vantaggi della collaborazione. Per collaborare, bisogna stare insieme sullo stesso territorio e inevitabilmente ci capita di dover competere per le stesse risorse, essendo queste limitate.

Collaborare e competere non stanno bene insieme. Se vogliamo continuare ad avere i vantaggi del gruppo, dobbiamo cercare un compromesso. Fino a quando il compromesso regge, godiamo i vantaggi della collaborazione. Il compromesso non è però uno stato di cose stabile, che possa durare in eterno. Su un dato territorio di vita le risorse naturali sono necessariamente limitate. Lo sono sia il cibo sia i partner per accoppiarsi e riprodursi. E allora, in determinate circostanze, in cui è evidente la "rarità" delle risorse, si torna a competere.
Oggi non abbiamo modo di tornare a vedere, agli albori della collaborazione, come si sono sviluppate le prime forme di consumo. Un segno, un’indicazione, una testimonianza indiretta di come funzionava il nostro passato, però, è possibile averlo indirettamente, osservando come si comportano i nostri cugini scimpanzé. Fino a quando questi vanno a caccia di animali di piccola taglia o di frutti, allora abbiamo competizione per le stesse risorse, necessariamente di quantità limitata su un territorio circoscritto. Se le risorse sono di quantità limitata, quelle che prendo io non le prende un altro, e viceversa. Un gioco, anzi una competizione, a somma zero. Le ricerche sui nostri “cugini” mostrano che in molti casi la caccia alle prede assomiglia a un inseguimento disordinato in cui più scimpanzé rincorrono una scimmia per catturarla. Se però il territorio non è spoglio, come quello dell’Africa orientale, ma è coperto di foreste, allora è necessario il coordinamento e la collaborazione. La vegetazione è fitta e le scimmie corrono via veloci: se non ci si mette insieme e non ci si coordina è impossibile catturarle.
Se noi collaboriamo, il gioco non è più a somma zero. Possiamo estrarre dal territorio risorse, come gli animali di grande taglia, che non potremmo procurarci se ci dessimo da fare da soli.

Da soli > competizione per risorse fisse > gioca a somma zero tra perdenti e vincenti
In gruppo > collaborazione > aumento delle risorse per tutti
La collaborazione genera risorse nuove e, grazie a questo vantaggio, tende a stabilizzarsi: viviamo per sempre insieme, in gruppo. Il gruppo ha però bisogno di compromessi, si deve cioè formare una gerarchia in modo che in un attimo si sappia chi deve comandare e chi deve obbedire. Questo formarsi di gerarchie stabili è l’esito di un lungo processo storico.
Ecco una prima conclusione: veniamo da un mondo in cui si consumava solo “in natura”. Non c’era libertà di scelta in merito a chi si voleva scegliere per diventarne cliente: la collaborazione era governata da gerarchie basate sulla competizione e prevaleva la forza. Però, in modo embrionale c’erano già clienti, cioè persone che si servivano delle competenze e dell’aiuto altrui, e c’erano già consumi.

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