Prologo al
2017
Cari
lettori, intanto buon 2017! Questo è un nuovo anno ed io cercherò di aprire un
nuovo corso di lezioni, dopo il ciclo delle 200 lezioni iniziali che troverete
a breve confezionate in un e-book. Non mi stancherò mai di ringraziare GAM per
questo e-book.
In linea generale, il nuovo
corso di lezioni sarà dedicato al tema dell'avere dei clienti che si rivolgono
a un’altra persona per ottenere un servizio o un prodotto.
Nel vostro caso,
almeno fino a ora, molti di voi considerano come servizio la consulenza per la
gestione dei risparmi dei clienti, e i prodotti utilizzati sono quelli
finanziari messi nel portafoglio del cliente. E tuttavia, nel mio ultimo libro
(Economia nella mente, 2016, Cortina editore) vi ho parlato di nuova consulenza
e ho cercato di delineare l’assicurazione comportamentale accanto alla finanza
comportamentale.
Per muovermi verso questa
consulenza “totale” penso sia opportuno riflettere preliminarmente con voi sul
significato dell’avere un cliente, del seguire un cliente, del perché un
cliente si rivolge a noi. Dovrò necessariamente iniziare con un po’ di teoria.
E tuttavia cercherò di non fare un discorso troppo astratto ricollegandomi
subito alla vostra situazione concreta, alla vostra attività professionale.
Alternerò quindi teoria e applicazioni alla vostra quotidianità. Spero come
sempre di non deludervi mostrando che a tutti voi, come ad altri
professionisti, può sembrare ovvio avere clienti. Ma così ovvio forse non è,
per lo meno non in un momento di transizione e di grandi opportunità. Si apre
un futuro nuovo per il nostro settore: la gestione non solo dei risparmi ma di
un cliente/persona “in toto”. Questi sono i nuovi campi d’azione in un paese che
è stato il regno del "fai da te", questa è la nuova sfida, questi i
nuovi territori. E, per spingersi in nuovi territori, bisogna cercare di andare
al di là dell’ovvio.
Teoria:
clienti e consumi
All’inizio non c’erano né clienti né consumi. Mancavano i due ingredienti che hanno permesso lo sviluppo della civiltà umana: saper collaborare e poter competere. Uno sembra il contrario dell’altro, ma ci vogliono entrambi perché il primo è il cemento della società, quello che ci fa stare insieme, e il secondo è il motore per lo sviluppo. Nessuna specie animale ha saputo mescolare meglio di noi il cemento e il motore per lo sviluppo. Dalla collaborazione nasce la fiducia, e ci vuole almeno un po’ di fiducia perché una persona possa divenire cliente di un’altra. Senza competizione non c’è innovazione, e ci vogliono invenzioni perché il mondo dei consumi non si fermi.
Qui intenderemo clienti e
consumi in senso lato. Quando consumiamo qualcosa che non è già presente nella
natura che ci circonda - come ci capita sempre, a meno di praticare la pesca e
la caccia, non più di moda - siamo clienti di qualcuno. Lo siamo in modo
consapevole, perché ci siamo rivolti direttamente a lui, o inconsapevole, e
quindi in modo indiretto, perché il suo aiuto può essere incorporato in un bene
o servizio senza che noi lo sappiamo, alla fine di una lunga catena a noi
sconosciuta. Considerate, per esempio, il consumo di informazione a distanza
che fate con un cellulare. Di sicuro sapete di essere clienti della casa che
l’ha prodotto (nel mio caso Apple) e di una rete (nel mio caso Wind). E
tuttavia conoscete solo vagamente la lunga catena che ha avuto origine nella
teoria della computabilità di Alan Turing, il primo studioso che ebbe l’idea di
riprodurre alcune funzioni del nostro cervello in una macchina, se non volete
risalire ancora più indietro nel tempo.
In questo senso, consumare
qualcosa ed essere clienti di qualcuno sono due concetti che si tengono
insieme. Qui non s’intende soltanto consumo di beni materiali – cibo, bevande,
vestiti – ma anche di beni più eterei e impalpabili, esperienze piacevoli o
addirittura conoscenze altrui, come quando andiamo da un esperto perché faccia
una cosa che noi non sapremmo fare bene come lui. In tutti questi casi siamo
clienti di qualcuno e consumiamo qualcosa che non c’è in natura ma che è stato
creato da altri uomini.
Se vogliamo capire il senso
dell’avere clienti o del consumare beni e servizi nei modi in cui lo facciamo
oggi, è bene riflettere sulle condizioni di vita quando questo non era nemmeno
lontanamente possibile. Oggi ci sembrano due cose ovvie. Tutti sanno, o credono
di sapere, che cosa sia il consumo e che cosa sia avere clienti, cioè persone
che usufruiscono di quanto fornito da altre persone che collaborano per fare un
prodotto o un servizio. E tuttavia non è così ovvio. Lo sembra soltanto perché
il mondo funziona in questo modo da tanto, tanto tempo. Eppure in principio non
era così. Andiamo allora indietro nel tempo, ritorniamo alla pre-istoria, alle
condizioni di vita, o meglio di sopravvivenza, da cui si sono originati consumi
e clienti.
C’è stato un tempo, un
tempo molto lungo, in cui la nostra specie viveva in modo semplice: gruppi di
poche decine di persone si muovevano insieme, facevano figlie/i, andavano a
caccia o a raccogliere cibo, come pesci o frutti. Quando il territorio in cui
vivevano era diventato povero o del tutto esaurito, si spostavano. Così hanno
finito per popolare tutta la terra, pur partendo dal centro dell’Africa.
Consumi e movimenti hanno creato quella varietà di specie umane su cui ha agito
la selezione darwiniana. E ora eccoci qua.
Per poter cacciare, ci
voleva collaborazione tra i nostri antenati. Dalla collaborazione nacque il
linguaggio che permette di coordinare le nostre azioni: con grida e gesti non
si andava molto in là. Fino a quando non inventammo l’agricoltura e
l’addomesticazione di alcune specie, circa ottomila anni fa, dovevamo riuscire
a catturare animali selvaggi e a ucciderli. Granchi, molluschi, pesci e frutti
non fornivano abbastanza proteine per una vita di movimento. Ricordate il film
Cast Away (2000), diretto da Robert Zemeckis, con protagonista Tom Hanks che, a
causa di un incidente, finisce su un’isola deserta del Pacifico, proprio
com’era capitato a Robinson Crusoe nel romanzo (1719) di Daniel Defoe? Tom
Hanks si è messo a dieta ferrea ed è dimagrito di venti chili per mostrare gli
effetti di un’alimentazione composta solo di pesci e frutta.
Il film è interessante, più
in generale, perché rappresenta un caso limite in cui Robinson è cliente solo
di se stesso e consuma solo ciò che trova in natura. Nel film si mostra lo
straniamento di Robinson appena arrivato: nell’isola non c’è nulla di umano
finché lui non arriva. Non ci sono suoni, ci sono soli rumori, in assenza del
suo apparato acustico. Non ci sono colori, solo onde elettromagnetiche, in
assenza del sistema visivo di un essere vivente. Non ci sono paesaggi,
tramonti, albe, sapori, emozioni, esseri con-viventi: così anormale per un uomo
contemporaneo da condurlo alla pazzia.
Nel Settecento no, il
"primo" Robinson conquista ingegnosamente e gioiosamente la natura
ostile (e poi arriva il selvaggio Venerdì). Robinson è un caso limite: è
cliente solo di se stesso – cioè senza clienti veri e propri – e consumatore
soltanto di ciò che fornisce la natura. Il "secondo" Robinson, quello
di oggi finisce invece per provare un senso di spaesamento insopportabile
perché è nelle stesse condizioni ambientali di tre secoli prima, un’isola
deserta, ma ha conosciuto la civiltà odierna. Nel film di Zemeckis, infatti, il
novello Robinson è più fragile e trasforma un pallone in un compagno solo per
immaginarsi di non essere unico sull’isola: non bastano i ricordi della vita
precedente.
Il nostro antenato
pre-istorico, decine di migliaia di anni fa, non aveva conosciuto una vita
“civile” precedente, come capita ai due Robinson, quello del Settecento e
quello contemporaneo. E tuttavia aveva il vantaggio di vivere con altri con cui
collaborare così da potersi procurare proteine catturando e mangiando animali
più grandi di lui. Per un uomo solitario non era facile uccidere un animale di
grande taglia per poi cibarsene. In gruppo, invece, ci si dava una mano e tutto
funzionava meglio. Diventava possibile circondare l’animale e poi farlo
prigioniero. Oppure si poteva cercare di spaventarlo così da spingerlo verso un
dirupo. Fin da decine di migliaia di anni fa, ci siamo accorti dei grandi
vantaggi della collaborazione. Per collaborare, bisogna stare insieme sullo
stesso territorio e inevitabilmente ci capita di dover competere per le stesse
risorse, essendo queste limitate.
Collaborare e competere non
stanno bene insieme. Se vogliamo continuare ad avere i vantaggi del gruppo,
dobbiamo cercare un compromesso. Fino a quando il compromesso regge, godiamo i
vantaggi della collaborazione. Il compromesso non è però uno stato di cose
stabile, che possa durare in eterno. Su un dato territorio di vita le risorse
naturali sono necessariamente limitate. Lo sono sia il cibo sia i partner per
accoppiarsi e riprodursi. E allora, in determinate circostanze, in cui è
evidente la "rarità" delle risorse, si torna a competere.
Oggi non abbiamo modo di
tornare a vedere, agli albori della collaborazione, come si sono sviluppate le
prime forme di consumo. Un segno, un’indicazione, una testimonianza indiretta
di come funzionava il nostro passato, però, è possibile averlo indirettamente,
osservando come si comportano i nostri cugini scimpanzé. Fino a quando questi
vanno a caccia di animali di piccola taglia o di frutti, allora abbiamo competizione
per le stesse risorse, necessariamente di quantità limitata su un territorio
circoscritto. Se le risorse sono di quantità limitata, quelle che prendo io non
le prende un altro, e viceversa. Un gioco, anzi una competizione, a somma zero.
Le ricerche sui nostri “cugini” mostrano che in molti casi la caccia alle prede
assomiglia a un inseguimento disordinato in cui più scimpanzé rincorrono una
scimmia per catturarla. Se però il territorio non è spoglio, come quello
dell’Africa orientale, ma è coperto di foreste, allora è necessario il
coordinamento e la collaborazione. La vegetazione è fitta e le scimmie corrono
via veloci: se non ci si mette insieme e non ci si coordina è impossibile
catturarle.
Se noi collaboriamo, il
gioco non è più a somma zero. Possiamo estrarre dal territorio risorse, come
gli animali di grande taglia, che non potremmo procurarci se ci dessimo da fare
da soli.
Da soli > competizione per risorse fisse > gioca a somma zero tra perdenti e vincenti
Da soli > competizione per risorse fisse > gioca a somma zero tra perdenti e vincenti
In gruppo > collaborazione
> aumento delle risorse per tutti
La collaborazione genera
risorse nuove e, grazie a questo vantaggio, tende a stabilizzarsi: viviamo per
sempre insieme, in gruppo. Il gruppo ha però bisogno di compromessi, si deve
cioè formare una gerarchia in modo che in un attimo si sappia chi deve
comandare e chi deve obbedire. Questo formarsi di gerarchie stabili è l’esito
di un lungo processo storico.
Ecco una prima conclusione:
veniamo da un mondo in cui si consumava solo “in natura”. Non c’era libertà di
scelta in merito a chi si voleva scegliere per diventarne cliente: la
collaborazione era governata da gerarchie basate sulla competizione e prevaleva
la forza. Però, in modo embrionale c’erano già clienti, cioè persone che si
servivano delle competenze e dell’aiuto altrui, e c’erano già consumi.
Nessun commento:
Posta un commento