Questa
è la prima lezione che scrivo dopo che si è avuta la Brexit, cioè la decisione
britannica di uscire dalla comunità europea. Un’immagine eloquente sintetizza
l’avvenimento: la riunione dei leader europei con il profilo di Cameron
lasciato vuoto.
Un avvenimento che va
visto, per essere ben compreso, anche
dai diversi punti di vista che ruotano attorno alla finanza comportamentale.
dai diversi punti di vista che ruotano attorno alla finanza comportamentale.
La riunione dei primi ministri europei con la foto di
Cameron “cancellata”. Fonte: Economist modificata.
Prima domanda: perché
un’esigua maggioranza di britannici ha fatto pendere l’ago della bilancia a
favore di una scelta indotta dal credere che sarebbe stato meglio abbandonare
la comunità europea? La risposta è complessa e va disarticolata.
Percentuale di opinioni espresse dai cittadini europei
in relazione al miglioramento in merito ai problemi economici e del controllo
dell’immigrazione se si uscisse dalla comunità europea. Fonte: Economist
modificata.
La domanda va infatti
scomposta in altre due domande più precise e dettagliate: quale è la
percentuale di popolazione di un paese della comunità europea che pensa che
starebbe meglio economicamente se non facesse parte di questa comunità? E,
inoltre: quale è la percentuale di popolazione di un paese della comunità
europea che pensa che affronterebbe meglio i problemi legati al controllo
dell’immigrazione se uscisse dalla comunità? Il grafico mostra come si
posizionano i vari paesi europei nelle risposte a queste due domande. Quanto
più un paese è collocato nel grafico a destra e in alto, tanto più l’opinione
pubblica ritiene che, uscendo, si starebbe meglio sia sul piano economico che
su quello del controllo dell’immigrazione. I paesi segnati in rosso pensano che
fuori dalla comunità europea si affronterebbero meglio entrambi i problemi. Se
la posizione nel grafico corrisponde alle opinioni diffuse, non dobbiamo
stupirci del voto britannico, particolarmente attento ai problemi del controllo
dell’immigrazione. Ma attenzione, attenzione alle differenze “dentro la Gran
Bretagna”!
Distribuzione del voto: i timori sul controllo
dell’immigrazione sono più forti dove non ci sono immigrati perché si ha più
paura delle cose che non si conoscono e si temono. Fonte: Economist
modificata.
Ovviamente, come nel caso
di altre nazioni, anche la Gran Bretagna non si compone di sotto-unità
corrispondenti a popolazioni tutte compatte e omogenee. Il grafico mostra la
distribuzione del voto, con la Scozia e Londra che spiccano sul resto del
paese, in senso opposto al voto complessivo finale. Eppure, primo paradosso,
sarà tutto il paese a portare le conseguenze di un voto la cui differenza
cruciale è stata inferiore al milione di votanti! In particolare, in Gran
Bretagna, le aree storicamente diverse per cultura hanno votato in modo diverso
per la Brexit perché la pensano in modo differente rispetto ai due quesiti
sopra riportati.
Se la decisione è stata
relativamente di pochi, il peso della decisione lo porteranno tutti. Questa
decisione può avere due “frame” diversi, cioè due modi diversi di venire
interpretata. Siccome quella che ha deciso di lasciare è stata la Gran
Bretagna, si può pensare che è lei che ha abbandonato l’Europa. Una parte piccola
si è staccata da un “intero” più grande. Ma si può anche pensare che l’Europa
si è liberata della Gran Bretagna, insomma che è stata l’Europa che ha perso la
Gran Bretagna. Non è un semplice gioco di parole. Sappiamo bene la forte
differenza indotta dai “frame” perdite/guadagni secondo la finanza
comportamentale. Sebbene chi ha agito per prima sia stata la Gran Bretagna,
credendo di fare i suoi “interessi”, le reazioni economiche immediate mostrano
è più “la Gran Bretagna che ha perso l’Europa”, che non viceversa, e che da
questa perdita è proprio la Gran Bretagna che sembra aver subito il danno
economico maggiore. Una decisione costosa, titola l’Economist, mostrando il
crollo dei valori di borsa delle banche e delle società immobiliari
britanniche.
Il crollo dei valori di borsa delle banche e delle
società immobiliari britanniche immediatamente successivo alla Brexit. Fonte: Economist modificata.
Come mostra la figura
seguente, anche la sterlina si è indebolita, favorendo le esportazioni. E
tuttavia, sui tempi lunghi, un paese economicamente sano, con poco debito come
la Germania, ha prestazioni di borsa migliori rispetto alla Gran Bretagna e
alla media delle borse europee.
Valori della borsa inglese rispetto a quella tedesca e alla media europea. Però la debolezza della sterlina dovrebbe aiutare la borsa, per lo meno le imprese esportatrici. Fonte: Economist modificata.
La questione è, insomma, chi ha lasciato chi. Nel lontano passato erano stati gli Stati Uniti d’America di quei tempi, molto meno potenti di quelli attuali, a lasciare la Gran Bretagna. Eppure, malgrado le ridotte dimensioni degli Stati Uniti di allora e il molto minor peso economico rispetto alla “casa-madre”, la Gran Bretagna ebbe a soffrirne, almeno sul breve termine.
In seguito al “massacro di Boston”, e alla rottura con
la “casa madre”, la borsa inglese perse fino al 30% e anche i titoli di stato
scesero, fino a rendere più del 5%, un livello assai alto per quei tempi. Fonte:
Economist modificata.
La conclusione di questa
lezione è che non si può capire il fenomeno Brexit in tutti i suoi aspetti se
non si prende in considerazioni quello che è successo nelle menti degli europei
e degli ex-europei, non solo quello che è capitato sui mercati. Proprio come
deve fare un consulente con un suo cliente. Riprenderemo il problema nella
prossima lezione.
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