martedì 2 agosto 2016

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 185 – Brexit e finanza comportamentale: chi ha perso chi?



Questa è la prima lezione che scrivo dopo che si è avuta la Brexit, cioè la decisione britannica di uscire dalla comunità europea. Un’immagine eloquente sintetizza l’avvenimento: la riunione dei leader europei con il profilo di Cameron lasciato vuoto.

Un avvenimento che va visto, per essere ben compreso, anche
dai diversi punti di vista che ruotano attorno alla finanza comportamentale.

La riunione dei primi ministri europei con la foto di Cameron “cancellata”. Fonte: Economist modificata.
Prima domanda: perché un’esigua maggioranza di britannici ha fatto pendere l’ago della bilancia a favore di una scelta indotta dal credere che sarebbe stato meglio abbandonare la comunità europea? La risposta è complessa e va disarticolata.



Percentuale di opinioni espresse dai cittadini europei in relazione al miglioramento in merito ai problemi economici e del controllo dell’immigrazione se si uscisse dalla comunità europea. Fonte: Economist modificata.
La domanda va infatti scomposta in altre due domande più precise e dettagliate: quale è la percentuale di popolazione di un paese della comunità europea che pensa che starebbe meglio economicamente se non facesse parte di questa comunità? E, inoltre: quale è la percentuale di popolazione di un paese della comunità europea che pensa che affronterebbe meglio i problemi legati al controllo dell’immigrazione se uscisse dalla comunità? Il grafico mostra come si posizionano i vari paesi europei nelle risposte a queste due domande. Quanto più un paese è collocato nel grafico a destra e in alto, tanto più l’opinione pubblica ritiene che, uscendo, si starebbe meglio sia sul piano economico che su quello del controllo dell’immigrazione. I paesi segnati in rosso pensano che fuori dalla comunità europea si affronterebbero meglio entrambi i problemi. Se la posizione nel grafico corrisponde alle opinioni diffuse, non dobbiamo stupirci del voto britannico, particolarmente attento ai problemi del controllo dell’immigrazione. Ma attenzione, attenzione alle differenze “dentro la Gran Bretagna”!


Distribuzione del voto: i timori sul controllo dell’immigrazione sono più forti dove non ci sono immigrati perché si ha più paura delle cose che non si conoscono e si temono. Fonte: Economist modificata.
Ovviamente, come nel caso di altre nazioni, anche la Gran Bretagna non si compone di sotto-unità corrispondenti a popolazioni tutte compatte e omogenee. Il grafico mostra la distribuzione del voto, con la Scozia e Londra che spiccano sul resto del paese, in senso opposto al voto complessivo finale. Eppure, primo paradosso, sarà tutto il paese a portare le conseguenze di un voto la cui differenza cruciale è stata inferiore al milione di votanti! In particolare, in Gran Bretagna, le aree storicamente diverse per cultura hanno votato in modo diverso per la Brexit perché la pensano in modo differente rispetto ai due quesiti sopra riportati.
Se la decisione è stata relativamente di pochi, il peso della decisione lo porteranno tutti. Questa decisione può avere due “frame” diversi, cioè due modi diversi di venire interpretata. Siccome quella che ha deciso di lasciare è stata la Gran Bretagna, si può pensare che è lei che ha abbandonato l’Europa. Una parte piccola si è staccata da un “intero” più grande. Ma si può anche pensare che l’Europa si è liberata della Gran Bretagna, insomma che è stata l’Europa che ha perso la Gran Bretagna. Non è un semplice gioco di parole. Sappiamo bene la forte differenza indotta dai “frame” perdite/guadagni secondo la finanza comportamentale. Sebbene chi ha agito per prima sia stata la Gran Bretagna, credendo di fare i suoi “interessi”, le reazioni economiche immediate mostrano è più “la Gran Bretagna che ha perso l’Europa”, che non viceversa, e che da questa perdita è proprio la Gran Bretagna che sembra aver subito il danno economico maggiore. Una decisione costosa, titola l’Economist, mostrando il crollo dei valori di borsa delle banche e delle società immobiliari britanniche.


Il crollo dei valori di borsa delle banche e delle società immobiliari britanniche immediatamente successivo alla Brexit. Fonte: Economist modificata.
Come mostra la figura seguente, anche la sterlina si è indebolita, favorendo le esportazioni. E tuttavia, sui tempi lunghi, un paese economicamente sano, con poco debito come la Germania, ha prestazioni di borsa migliori rispetto alla Gran Bretagna e alla media delle borse europee.



Valori della borsa inglese rispetto a quella tedesca e alla media europea. Però la debolezza della sterlina dovrebbe aiutare la borsa, per lo meno le imprese esportatrici. Fonte: Economist modificata.

La questione è, insomma, chi ha lasciato chi. Nel lontano passato erano stati gli Stati Uniti d’America di quei tempi, molto meno potenti di quelli attuali, a lasciare la Gran Bretagna. Eppure, malgrado le ridotte dimensioni degli Stati Uniti di allora e il molto minor peso economico rispetto alla “casa-madre”, la Gran Bretagna ebbe a soffrirne, almeno sul breve termine.




In seguito al “massacro di Boston”, e alla rottura con la “casa madre”, la borsa inglese perse fino al 30% e anche i titoli di stato scesero, fino a rendere più del 5%, un livello assai alto per quei tempi. Fonte: Economist modificata.
La conclusione di questa lezione è che non si può capire il fenomeno Brexit in tutti i suoi aspetti se non si prende in considerazioni quello che è successo nelle menti degli europei e degli ex-europei, non solo quello che è capitato sui mercati. Proprio come deve fare un consulente con un suo cliente. Riprenderemo il problema nella prossima lezione.

Nessun commento:

Posta un commento