Proprio in
questo periodo in cui ci incontriamo in varie città italiane, ho avuto modo,
partendo dai problemi di pianificazione finanziaria delle famiglie, di
discutere le prospettive del futuro di ciascun gruppo familiare e poi, nel
complesso, del paese. In effetti, il paese altro non sarà che la prossima
generazione formata dai figli-eredi di ciascuna famiglia. Che cosa
erediteranno?
Un capitale umano, dovuto alla loro
formazione. Questo si sommerà - non in ogni famiglia - a un cumulo di risparmi
trasmesso dalle generazioni precedenti. Se consideriamo il tema della
pianificazione delle famiglie, possiamo pensare che un buon capitale umano
possa compensare i risparmi, se pochi o nulli, ma non viceversa. Se poi
consideriamo il quadro complessivo del paese, la situazione non è rosea perché
nel 2014 abbiamo avuto soltanto 509mila nascite e 600mila decessi: il bilancio
peggiore da quando è nata l’Italia come stato unitario. I dati Istat sono
preoccupanti anche perché già oggi molti dei ragazzi, tra quelli formati bene,
e quindi competitivi a livello internazionale, vanno a lavorare all’estero
impoverendo così il futuro capitale umano del paese. La povertà di capitale
umano spiega anche l’altro lato della vicenda, e cioè la scarsa qualità dei
risparmi cumulati che verranno trasmessi. Il quadro qui è negativo perché non
si è ancora riusciti, nella maggior parte dei casi, a sostituire dalla mente
della maggioranza dei risparmiatori la psicologia ingenua che impedisce la
comprensione di una buona gestione dei risparmi, in particolare la
diversificazione del portafoglio. Di fronte a questa constatazione, si aprono
tre questioni, affrontate e discusse in questi anni.
Eccole:
1.
il tentativo di
sostituire il consulente con un’adeguata educazione finanziaria;
2.
il concepire
l’educazione finanziaria come supporto di accompagnamento al lavoro del
consulente, così da poter capire meglio quello che fa il consulente sul nostro
portafoglio;
3.
preparare
un’architettura della decisione tale per cui il risparmiatore, autonomamente, è
meno vittima, anche inconsapevolmente, di distorsioni cognitive sistematiche.
Di queste tre
vie la prima non funziona: più volte ho cercato di dimostrare che la conoscenza
dei nostri errori sistematici non implica diventarne esenti, soprattutto quando
abbiamo a che fare con i nostri soldi.
La seconda via, meno pretenziosa, è quella che suggerisco nei nostri incontri e che cerco di incoraggiare con queste lezioni.
La terza è la via è più
paternalistica, e va oggi di moda. Sulla natura di questa terza via mi voglio
soffermare più a a lungo.
Facciamo un esempio di architettura
della decisione volta a favorire i risparmiatori. Maya O. Shaton, una
ricercatrice israeliana che ha appena conseguito un dottorato all’Università di
Chicago, ha analizzato un’opportunità di studio che si è creata in Israele
(cfr. The Display of Information and Household Investment Behavior, novembre
2014, in rete). L’autorità di controllo israeliana ha recentemente proibito ai
fondi pensione di mostrare ai risparmiatori, nel loro estratto conto mensile,
il rendimento dei loro investimenti nel mese precedente. Quello che vede un
risparmiatore, a differenza del passato, non è il rendimento di un mese, bensì
quello di un anno. Anche dopo questo cambio di regole e procedure, è sempre
possibile ritrovare il rendimento dell’ultimo mese. Basta sottrarre al
rendimento dell’anno appena terminato il rendimento annuale maturato alla fine
del mese precedente.
Il vero cambiamento dunque riguarda
soltanto ciò che si vede al primo colpo d’occhio. Per ritrovare la vecchia
informazione si deve fare un calcolo, non complicato ma oneroso sul piano dei
costi cognitivi. Quindi non si tratta di un cambiamento di informazioni,
ma di un mutamento nella gerarchia di accessibilità delle informazioni.
Si tratta insomma di un esempio d’intervento sull’architettura della scelta:
quanto spesso il risparmiatore interviene sul portafoglio a seconda di come gli
viene presentato il rendimento? La nuova disposizione punta sulla pigrizia dei
risparmiatori che, in questo caso, ha effetti benefici. Infatti vengono meno
spaventati dalla volatilità mensile, in particolare dalle perdite che fanno
molta paura, senza costringerli a guardare il loro estratto una sola volta
all’anno (o ancora più raramente).
Le persone vengono cioè tenute
informate in modi che sfruttano la loro pigrizia. In effetti, Maya Shaton ha
mostrato che i risparmiatori scelgono così in modo più saggio, coerente e
meditato, con un beneficio per i loro risparmi. E tuttavia, in realtà, non sono
consapevoli del perché in tal modo fanno meglio, né della loro pigrizia. Non si
tratta cioè di autentica educazione finanziaria, ma di sfruttamento, a fin di
bene, dell’ignoranza finanziaria.
Personalmente ho forse una
distorsione professionale, essendo professore. Credo tuttavia che, alla lunga,
sia meglio capire a fondo come stanno le cose invece di ricorrere a mezzi
paternalistici. Se gli scenari cambiano, chi ha capito bene i meccanismi della
buona gestione riesce a trasferire la sua consapevolezza anche a nuovi
contesti. Al contrario i benefici indotti dall’architettura della scelta
funzionano bene solo fino a quando abbiamo a che fare con una specifica
architettura, quella costruita da chi ci fornisce le informazioni. Non sono
critico di questo modo di fare per motivi moralistici (c’è chi condanna gli inganni
a fin di bene), ma per l’efficacia generale di questo modo di procedere. In
fondo, il fatto che gli italiani non si preoccupassero del valore dei loro
investimenti immobiliari era attribuibile proprio a un meccanismo analogo a
quello studiato da Maya Shaton. Quando si sono accorti di quanto “sbilanciati”
erano i loro risparmi, poteva essere ormai troppo tardi (e spesso lo è stato).
Non vorrei che un ritardo analogo caratterizzasse la pianificazione
finanziaria.
Saper progettare e valutare il
proprio futuro, tra cui il destino previdenziale, è un’attività non semplice,
anche se si hanno tutte le informazioni. I fattori in gioco sono molti:
crescita del Pil, prospettive di carriera, inflazione attesa, dinamiche di
reddito, anzianità contributiva, forme di tassazione, e così via. Molte di
queste variabili sono incerte e quasi tutte implicano una valutazione a lungo
termine, che esula dagli orizzonti temporali normalmente presi in
considerazione nei progetti di vita. La maggioranza delle persone non riesce
neppure a prendere in considerazione gli orizzonti temporali necessari per
gestire bene i risparmi (cfr. Legrenzi, 2013, cap. VII, Tempi, pp. 81-92). Nel
caso specifico dell’Italia, la necessità di fornire una buona architettura
delle scelte è resa impellente dato che nel nostro paese sono più forti che
altrove due miti:
Ø
andare in
pensione presto fa bene al lavoratore anziano;
Ø
andare in
pensione libera il posto per un lavoratore giovane.
Non ci
soffermiamo qui a illustrare l’infondatezza di queste credenze, due miti
appunto, perché questi miti sono stati smontati in modo lucido e documentato da
Della Zuanna e Weber con un’analisi rigorosa dei dati (2011).
Ci concentreremo invece, nella prossima lezione, sul punto dell’architettura delle scelte, un tema che in inglese viene trattato sotto varie etichette.
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