venerdì 25 luglio 2014

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 93 – La relazione è agevolata dalle analogie costruttive, non da quelle distruttive


Ho terminato la lezione precedente parlando dei prodotti finanziari. Per la verità anche in campo finanziario ci sono delle vere e proprie innovazioni, non delle costruzioni fatte combinando diversi sottostanti. E’ noto che gli zero-coupon bond sono nati grazie all’intuizione di un operatore della Merrill Lynch che voleva offrire alle nonne e alle vecchie zie della Florida un prodotto “sartoriale” per finanziare gli studi universitari dei loro piccoli nipoti. Questa innovazione ha contribuito a creare un nuovo possibile elemento per il mix con cui andranno poi confezionati i prodotti finanziari finali. Da questi poi, si può risalire alle origini, e si sa sempre come sono fatti. Al contrario la composizione “materiale” dei prodotti negli altri campi è quasi sempre nascosta (ricordate l’esempio della brillantina nella lezione precedente?).

E tuttavia, anche nella cosmesi, almeno all’inizio, ci sono state delle vere e proprie innovazioni, come quando il chimico Eugène Schueller ebbe l’idea di creare un prodotto con cui si poteva stare al sole senza scottarsi. Fu lanciato nel 1936 con il nome Ambre Solaire, proprio nel primo anno in cui i lavoratori francesi andarono al mare con le ferie pagate. Un altro grande salto, iniziato presso la stessa azienda, divenuta multinazionale, alla fine degli anni Sessanta, fu lo scavalco delle categorie tradizionali. Avvenne quando noti stilisti si allearono alle case di cosmesi e crearono insieme profumi. Iniziò un percorso che avrebbe, via via, toccato tutta la cura della persona, fino a culminare nella fusione in un solo marchio di cosmesi, profumi, vestiario, occhiali, gioielli e così via (si pensi ad Armani, di cui ho parlato in Frugalità).
Il transfer da un settore all’altro divenne più agevole con la tendenza a premiare i nomi degli autori a scapito dei nomi dei prodotti, com’è successo in altri campi (arte, cinema, letteratura), dove il “brand” dell’autore che firma il prodotto prevale sulle sue caratteristiche funzionali.
Un altro esempio di analogia “costruttiva”: consideriamo i modi con cui si può proteggere dai virus un computer, cioè una macchina artificiale fatta di sabbia, petrolio e metalli. In campo medico sono stati sviluppati dei vaccini per proteggere gli uomini da infezioni virali. Lo stesso si può fare costruendo dei programmi per computer che abbiano un’analoga funzione protettiva. Ovviamente, ci sono differenze tra i virus dei computer e i vaccini biologici. Un virus non provoca la febbre a un computer. E tuttavia la struttura è analoga: entrambi sono contagiosi, entrambi possono replicarsi una volta che siano penetrati nella macchina o nell’uomo, entrambi possono causare danni all’ospite. Se vogliamo quindi costruire un’analogia tra due fenomeni, dobbiamo trasferire una struttura di conoscenze da un sistema noto (in questo caso i virus biologici) a un sistema nuovo (in questo caso i virus dei computer).
Purtroppo le analogie possono anche portarci fuori strada. Scelte politiche di grande rilevanza sono state influenzate dall’impatto retorico e persuasivo di un’analogia, dal trasferimento incauto dello stesso schema da una situazione a un’altra.
In seguito alla Seconda guerra mondiale, i politici statunitensi hanno più volte giustificato un intervento militare all’estero richiamandosi alla situazione che era poi drammaticamente sfociata nel terribile conflitto 1940-45. Una diffusa narrazione della Seconda guerra mondiale racconta di un «cattivo», Hitler, e di tentativi di pace, timorosi e incerti, compiuti dal titubante primo ministro britannico Neville Chamberlain. Solo l’intervento di «eroi», come l’inglese Winston Churchill e l’americano Franklin Delano Roosevelt, riuscì a sistemare le cose. Il copione, che semplifica le vicende storiche riconducendole a stereotipi, si nutre delle azioni dei cattivi per eccellenza, Germania e Giappone, di vittime come l’Austria, la Cecoslovacchia e la Polonia, e infine degli eroici difensori combattenti per un mondo più giusto, Gran Bretagna e Stati Uniti.
Da questa narrazione scaturisce il ragionamento ipotetico: «Se la Gran Bretagna e, poi, gli Stati Uniti non fossero intervenuti, la violenza e l’ingiustizia avrebbero prevalso». Ecco scattare un’analogia più generale: se non interveniamo militarmente in questo nuovo scenario, che è simile allo stato di cose già incontrato in precedenza, l’ingiustizia e la violenza prevarranno.
Un caso di analogia non creatrice, ma fuorviante, essendo basata soltanto su una storia bella da credere, condivisa dai più, e dalla forte presa emotiva. Vari presidenti statunitensi vi hanno fatto ricorso per giustificare interventi militari in terre lontane: la Corea (Harry Truman, 1950), il Vietnam (Lyndon Johnson, 1965) il Kuwait e l’Iraq (George Bush senior, 1991) e il nuovo intervento in Iraq, ancora in corso nel 2014, con esiti forse drammatici (George W. Bush, 2003).
Ora, la situazione della Seconda guerra mondiale era complessa, e non è facile fare paralleli adeguati con i nuovi scenari. Al punto che il ricorso alla consueta distinzione buoni/cattivi è stato talvolta controproducente. Per esempio, la guerra in Vietnam era «anche» una continuazione dell’insurrezione anticolonialista contro i francesi  in Indocina, non solo una lotta contro i comunisti del Nord, più tipica del caso coreano. L’Iran, da super-cattivo, sta passando in poco tempo dalla parte dei “buoni”, coloro cioè che combattono contro i guerriglieri sunniti dell’ISIS (Califfato Islamico dell’Irak e del Levante). Applicare sempre la stessa analogia, con un transfer meccanico e ripetitivo, si è rivelato efficace per convincere i cittadini sul piano emotivo.
Era facile richiamare la solita narrazione per spiegare la situazione ed evocare sentimenti di giustizia e di soccorso al più debole. E tuttavia, in molti casi, la forza dell’analogia impediva di capire come stavano veramente le cose. Gli effetti non furono quelli evocati dal pigro, per quanto spontaneo, trasferimento di uno schema antico.
Vi sono, insomma, i trasferimenti innovativi e quelli meccanici e ciechi.
Inoltre, v’è anche un terzo tipo di meccanismo. Si tratta dei casi in cui, grazie a un’analogia, si scopre qualcosa di nuovo, ma poi, proprio perché la scoperta si traduca in un’efficace e seducente novità, l’analogia deve venir nascosta. Per esempio, trasferire lo stesso gusto alla nocciola può portare all’invenzione di un cioccolatino “analogo” a una forma di merenda. Ma subito, appena inventato il nuovo prodotto, dovete nascondere il transfer con una pubblicità adeguata, che alluda al mondo peccaminoso dei “grandi”. A pochi adulti piace l’idea di apprezzare la vecchia merenda per bambini. In fondo la stessa operazione era stata fatta con il transfer dalla brillantina al gel. L’analogia strutturale tra i due tipi di prodotti era stata poi “coperta” dalla confezione e dalla retorica pubblicitaria, com’è stato fatto nel trasferire quel gusto alla nocciola dalla merenda al cioccolatino.
In questi casi prima si fa un transfer e, immediatamente dopo, lo si nasconde. Questo stesso meccanismo, rovesciato, governa molti film e romanzi e, soprattutto, la suspense che li caratterizza. Il prototipo è La spia che venne dal freddo di John Le Carré (libro del 1963, film del 1965). Qui si evoca lo schema della spia disillusa e alcolizzata, e lo si trasferisce sul protagonista, all’inizio della storia. In seguito si racconta il finto smascheramento di una rete di pagamenti, e lo si traferisce al presunto traditore. Infine l’agognata salvezza dei protagonisti, Lei+Lui, serve in realtà a sacrificare Lei. Lei è l’unico personaggio “vero”, e, in un finale commovente, anche Lui decide d’essere un uomo autentico, non una spia corrotta in un mondo falso. In conclusione, il film funziona come una matrioska: suggerisce, e poi smonta, prima innescando e poi distruggendo schemi noti.
Il più grande problema di un consulente consiste nello spiegare che non sempre è facile fare i transfer giusti, quelli che conducono a nuove idee. Purtroppo altre volte, in modo pigro e istintivo, ci accontentiamo di quelli sbagliati. Ci basiamo su schemi che abbiamo in testa, e che non confrontiamo con la dovuta attenzione rispetto alle nuove realtà che abbiamo davanti. Altre volte, infine, costruiamo storie servendoci dei transfer consueti per creare un’atmosfera di suspense e sorpresa. Poi, quando vengono questi vengono smascherati, si finisce per mostrare che le cose stanno in tutt’altro modo.
Come distinguere i transfer produttivi da quelli ingannevoli? Non c’è una regola semplice. E tuttavia, per solito, quelli ingannevoli, scattano spontanei perché basati sull’esperienza passata, nostra o di una collettività. In questi casi dobbiamo diffidare, con la consueta strategia del sospetto/rispetto nei confronti della realtà delle cose. Si tratta di andare a vedere se ci sono veramente le condizioni che garantiscono la possibilità di prendere una decisione basata su un ragionamento analogico. I transfer produttivi, invece, sono nascosti. Fu solo con fatica che si scoprì che quella crema per merende da bambini (fissata così nella memoria dei più perché chiamata in origine Super-crema) celava la possibilità di un trasferimento a un dolce. L’indizio era stato il consumo, nel privato, da parte di acquirenti non-più bambini, vagamente vergognosi della fanciullaggine del gusto evocante tempi lontani. Bastava a quel punto trasferire nel pubblico ciò che era nascosto privato, mascherando l’analogia.
In conclusione, diffidiamo dei transfer che facciamo in modo immediato, e andiamo invece a vedere (dietro e dentro) quelli che sono difficili, chiedendoci perché lo sono.

Uno dei più grandi problemi con i clienti è che tendono a fare analogie soltanto sulla base della loro limitata esperienza passata. Tornerò su questo problema nelle prossime lezioni.

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