domenica 20 luglio 2014

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 91 – Trasferire le conoscenze da noi al cliente


Il problema del trasferimento delle conoscenze si collega a quello della lezione precedente.
Perché è così difficile trasferire le nostre conoscenze da noi al cliente? Per rispondere a questa domanda vi racconterò l’inizio dei miei studi, quando lavoravo in Inghilterra con Phil Johnson-Laird.
All’inizio degli anni Settanta, da Londra comunicavo, con i miei, in Italia, con delle lettere non incollate sul retro, perché, se lasciate aperte, costava meno spedirle (ai miei bastava sapere che stavamo bene). E Phil Johnson-Laird osservò che la stessa regola era allora vigente in Gran Bretagna.

Avemmo così l’idea di modificare l’esperimento della lezione precedente presentando ai partecipanti all’esperimento cinque buste comuni, da corrispondenza:
·         una appoggiata sulla faccia dell’indirizzo con un bollo da 50 lire,
·         una uguale con un bollo da 40 lire,
·         una senza bollo,
·         una rovesciata e chiusa,
·         una rovesciata e visibilmente aperta.
Le istruzioni dicevano ai partecipanti d’immaginare di essere un postino che doveva controllare se le lettere spedite obbedivano a questa regola:

Se una lettera è chiusa, allora deve essere affrancata con un bollo da 50 lire.
Avevamo due versioni, una con bolli italiani (50 e 40 lire) e una con bolli inglesi. Il bello è che la sperimentatrice, Maria Sonino, per accelerare le cose, andava a fare gli esperimenti nella Commonwealth House (un famoso edificio del 1939 destinato agli studenti provenienti dai paesi dell’ex-impero britannico). Gli studenti sapevano bene l’inglese, ma non tutti conoscevano la regola postale utilizzata nell’esperimento. E tuttavia ne capivano subito il senso, e cioè che per avere il beneficio della riservatezza, sigillando la lettera, bisognava pagare un po’ di più. E che se uno avesse cercato di ottenere il beneficio senza pagare, avrebbe imbrogliato le poste. Ebbene, 22 partecipanti su 24 capivano il senso del compito e lo risolvevano correttamente, in un soffio. La proporzione era inversa quando si trattava del solito rompicapo con lettere e numeri di cui vi ho parlato nella lezione precedente.
Phil, inoltre, aveva avuto un’idea geniale, cioè chiedere alle stesse persone di fare entrambi i compiti, quello postale e il tradizionale rompicapo astratto, uno dopo l’altro, ruotando l’ordine di presentazione. E così arrivò la scoperta più importante, e cioè che non c’era transfer tra i due tipi di problemi, realistico (postino) e astratto (lettere e numeri). In altre parole, aver risolto prima il compito con la storia del postino non agevolava la soluzione del compito di selezione, presentato subito dopo. Questo risultato è importante per il problema che interessa a noi, e cioè quello del transfer delle conoscenze dal consulente al cliente. Problema che è al cuore della questione della diversificazione esperta, su cui sono tornato più volte.
Ed è un risultato importante anche sul piano teorico. Mark Singley e John Anderson, celebri studiosi del dipartimento di scienze cognitive migliore al mondo (Carnegie-Mellon), scrivendo nel 1989 un testo fondamentale sul transfer nella soluzione di problemi (The transfer of cognitive skill, Harvard U.P.), citarono questo lavoro come anticipatorio delle tesi di Tversky e Kahneman. L’incapacità di transfer dimostra che “le persone non sono molto abili nell’applicare i principi generali della logica e della statistica (p. 234)”.
In effetti, da un punto di vista logico-formale, tutte le versioni fin qui raccontate sono identiche. Si tratta sempre di indicare la combinazione p e non-q come l’unico stato di cose capace di rendere false ipotesi o regole del tipo se p allora q (o anche p solo se q, oppure tutti i p sono q). Si tratta però di formulazioni che possono essere considerate identiche solo nei cristallini mondi della logica. Non lo sono invece per gli esseri umani in carne ed ossa.
Phil fu presago al riguardo. Il titolo dell’articolo, Reasoning and a sense of reality, allude a A sense of reality di Graham Greene, una raccolta di quattro storie che hanno a che fare non con la realtà ma con la fantasia, il sogno. Anche nel nostro lavoro non era importante che la storia fosse “realistica”. Il punto era che nella mente dei lettori la combinazione p&non-q diventasse rilevante, facile da identificare e scegliere. Lo era a maggiore ragione se la combinazione p e non-q corrispondeva a situazioni in cui qualcuno cercava di aggirare una regola.
Nei quarant’anni successivi, il problema di Wason conobbe numerose varianti. Io stesso, memore dei miei bambini, quando insegnavo alle elementari, e accortomi che bastava rendere plausibile una storia in cui si doveva controllare una regola come quella postale, insegnai a bambini di 6-7 anni una storia sul colore che dovevano avere certi grembiuli scolatici. Dimostrai, insieme al mio laureando Mauro Murino, che anche i bambini sono in grado di risolvere il problema, proprio come avevano fatto gli adulti della Commonwealth House.
Allora ero giovane, e non sapevo che Reasoning and a sense of reality sarebbe stato il nostro lavoro più citato, anche tra quelli, numerosissimi, che Johnson-Laird, in quasi mezzo secolo, avrebbe poi condotto con noi o altri collaboratori.
Mi divertii, ma poi dimenticai la cosa senza darle troppo peso. Ed è l’unica pubblicazione di cui non ho una copia cartacea. Per fortuna la British Psychological Society decretò l’importanza dell’articolo, e si può prelevarlo gratuitamente dalla rete.
La longevità di questo esperimento, e più in generale del compito di selezione, è rara in psicologia, una disciplina dai continui cambi di paradigma. La sua fortuna è dovuta al ruolo del compito di selezione come cartina tornasole per varie teorie. La più recente, molto in voga, è la teoria evoluzionista, e cioè la psicologia intrecciata con la teoria dell’evoluzione di Darwin. In questa prospettiva acquista rilievo la capacità di ragionare bene quando si tratta di smascherare imbroglioni rispetto a quando si devono risolvere compiti astratti. Nella terza edizione del manuale di Lance Workman e Will Reader, il più utilizzato come introduzione alla psicologia evoluzionista (Evolutionary Psychology, Cambridge UP, 2014), molte pagine sono dedicate a varianti del compito di selezione. Le ricerche condotte servendosi di questo tipo di compito sono citate per provare la tesi che è stata l’evoluzione della nostra specie a selezionare la capacità di scovare gli imbroglioni, soprattutto quando abbiamo a che fare con il bene di una comunità (proprio come nel caso del postino). Purtroppo oggi si usano le mail elettroniche, raramente le buste cartacee. E così, almeno nei manuali, la versione del problema del postino è stata soppiantata da regole circa i livelli di età (18 anni) e i permessi di bere alcolici (birra). A parte il narcisismo ferito, nulla è cambiato, nella sostanza.
A ripensarci, quante cose erano successe, prima dell’idea e delle brevi passeggiate di Maria fino alla Commonwealth House per fare gli esperimenti. Bastava che uno solo, tra i tanti capitoli precedenti della storia, si fosse inceppato: se Maria Sonino non mi avesse regalato il libro di Peter Wason … , se Beniamino Andreatta non ci avesse permesso di andare a Londra (in congedo dall’ente di ricerca di Trento da cui allora Maria ed io dipendevamo) … , se un generale turco della Nato non ci avesse dato i fondi per restarci …, se le regole postali fossero state diverse …, e così via. Pensai a lungo a questa storia del “se solo …”. Rimuginandoci sopra (rimuginare è molto importante per farsi venire le idee), arrivai a un esperimento che racconterò tra due lezioni.
Ora è tempo di terminare questa lezione: abbiamo mostrato che il problema del transfer è proprio all’origine della difficoltà di trasferire le conoscenze, e, nel nostro caso specifico, di fare il consulente in campo finanziario.


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