domenica 2 marzo 2014

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 73 - Il triangolo scaleno la relazione diventa sempre più cruciale


Tanti e ben noti sono i motivi per cui la relazione con il cliente è rilevante, sempre più rilevante. E tuttavia, di questi tempi, c’è un nuovo motivo sempre più pressante, e tale motivo sposta l’equilibrio, all’interno del famoso triangolo consulente-cliente-portafoglio. Sposta l’equilibrio verso una concezione delle funzioni del consulente come una persona che gestisce una relazione, e non tanto e soltanto come un esperto dei prodotti da mettere in portafoglio. I recenti dati del 2013 confermano questa tendenza verso un triangolo sempre più sbilanciato, meno equilatero. Un triangolo scaleno, in cui la relazione diventerà sempre più importante rispetto a tutti gli altri aspetti coinvolti negli altri due lati del triangolo. 


Partiamo da uno di questi lati, e cioè il lato che unisce il consulente al portafoglio e, quindi, la capacità dei gestori dei fondi comuni italiani di battere il benchmark. Diciamo, per semplicità, e in prima approssimazione, che il benchmark corrisponde a un ETF di quella categoria. Ricordate che, nella lezione di giovedì 13 febbraio, avevo citato le scelte degli statunitensi nel corso del 2013: tolti 67 miliardi di dollari dai fondi obbligazionari, messi 21 nei fondi azionari e 141 miliardi negli ETF (cfr. Bloomberg, Lu Wang, 30 dicembre 2013). Ebbene, gli italiani hanno terminato il 2013 trovandosi di fronte a uno scenario in cui:

  • sono a disposizione 5mila fondi circa;
  • di questi solo 788 sono di diritto italiano;
  • di questi 788 fondi, 388 sono flessibili, e quindi privi di benchmark;
  • dei 470 restanti, solo il 45% ha battuto il benchmark;
  • la maggioranza, 90% circa, non ha obbligo alcuno, essendo fondi di diritto estero.


Commento di Gianfranco Ursino (Plus 24, 4.1.14, p. 25):

L’obbligo di confrontarsi con un benchmark, accolto con favore nel 2000, ha via via trovato sempre minor consenso tra le società di gestione sulla scia della manifesta incapacità di batterlo. L’obbligo non è previsto per i fondi di diritto estero e per tutti i fondi flessibili, motivo in più per spingere le case di investimento italiane a lanciare quasi esclusivamente fondi domiciliati in Lussemburgo e Irlanda (in aggiunta alla
maggiore facilità di applicazione di commissioni).

Questa riflessione, a seguito del cambiamento di prospettiva rispetto a 13 anni fa, ha un impatto rilevante sull’immagine del consulente agli occhi del cliente. Il ruolo di guida del consulente, e cioè la sua relazione con il cliente, si allarga e diviene sempre più centrale e rilevante. La relazione deve contare più della gestione del portafoglio!

Il consulente si trova a dover affrontare tutto l’arco del benessere del cliente, oltre, soprattutto, a gestire diversificazione e timing. Queste d’altronde si sono rivelate la variabili cruciali, almeno nell’ultimo decennio.
Tratterò separatamente diversificazione e timing.

Partiamo dalla diversificazione. Limitandoci all’ultimo quinquennio, è evidente il grande spazio e la rilevanza che può rivestire il ruolo del consulente come “para-fulmine” e diversificatore del benessere della famiglia media italiana.

Da sempre l’obiettivo del consulente è stato, almeno tradizionalmente e nella maggioranza dei casi, la quota non immobiliare del patrimonio del cliente. Ma questa concezione va riveduta, anzi avrebbe dovuto essere già stata rivista se la relazione consulente-cliente fosse stata buona ed estesa al “benessere complessivo”. Pensate agli 8 quinquenni di Warren Buffett e mettetevi nei panni del risparmiatore medio italiano. La ricchezza totale degli italiani è oggi, all’inizio del 2014, di circa 8mila miliardi di euro, tenendo conto che il valore della quota immobiliare tende spesso a venire sovrastimato, dati i tipi di sondaggi con cui viene valutata. Ora, questa quota è sempre salita di valore, almeno a valori nominali (se non reali: all’inizio degli anni novanta è scesa). Più precisamente questo è avvenuto per i primi 7 degli ultimi 8 quinquenni. Nell’ultimo quinquennio è scesa del 10%, anche a valori nominali. E così la più “cieca” famiglia media italiana, anche lei, purtroppo, ha cominciato ad accorgersene. Oggi è più povera di cinque anni fa, proprio perché la componente maggioritaria della ricchezza complessiva delle famiglie è scesa almeno del 10%. E’ successo qualcosa di simile a quello che è successo al fondo di Buffett: si pensava che dovesse salire per sempre perché era salito in 7 quinquenni su 8. E invece le cose non sono andate così. 

Oggi il consulente deve tener presente questa realtà, e cercare di convincere il cliente a fare una diversificazione complessiva del portafoglio. Deve contare sulla sua buona relazione per intaccare una certezza in passato granitica, tenendo presente anche la componente immobiliare, soprattutto quando questa è preponderante.  

Tale attenzione è cruciale anche in considerazione del fatto che il risparmiatore italiano ha una buona quota di ricchezza media pregressa, cumulata in passato, ma ha redditi annuali stagnanti. Per esempio, è molto più ricco patrimonialmente della famiglia media tedesca o britannica, ma ha un reddito inferiore e tendenzialmente stabile, se non decrescente. Quindi, anche in funzione della prossima generazione, il consulente deve avere una prospettiva complessiva e a lungo termine. Deve inoltre prendere in considerazione il fatto che, per la parte non immobiliare, e cioè circa 3.500 miliardi, abbiamo quasi 1.000 miliardi congelati in depositi bancari e postali. E’ evidente che questa è una forma più o meno consapevole di investimento, dato che l’ammontare eccede le necessità del servizio alla quotidianità. 


Queste risorse sono inchiodate, e la loro origine risiede proprio nel non rivolgersi a un consulente e, di conseguenza, alla scarsa propensione e inclinazione a diversificare. Tenendo queste somme liquide si pensa che si è aperti a tutte le possibilità. Il ragionamento tipico è il seguente: ” … per ora questi soldi li tengo sul conto … poi si vedrà”. Ma questa inerzia non ha nulla a che fare con la diversificazione. Tale ragionamento discende anche dall’essere paralizzati dall’incertezza e dal non capire, appunto, che l’incertezza va battuta con la diversificazione e non con il procrastinare le scelte. Esaurito il tema (inesauribile) della diversificazione, la prossima settimana ci dedicheremo al timing, cioè a come, con quali strategie d’entrata e uscita, l’italiano medio entra e esce dai mercati.

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