lunedì 3 marzo 2014

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 74 - Le emozioni del mercato, le emozioni del cliente, le non-emozioni del consulente


Molta finanza comportamentale si basa sugli esperimenti condotti in laboratorio dagli economisti e dagli psicologi. Ma siamo sicuri che fuori dal laboratorio le persone si comportino nello stesso modo? Gli economisti vogliono che chi partecipa a un esperimento venga pagato, per avvicinare la sua situazione a quelle della vita vera e propria dove gli incentivi sono reali. E tuttavia, nel caso dei risparmi e degli investimenti, sono in gioco cifre molto più ingenti dei consueti pagamenti nei laboratori alla fine degli esperimenti. Questa differenza di ordine di grandezza fa la differenza? Per fortuna possiamo considerare le miriadi dei comportamenti dei diversi investitori come il comportamento di una sola ipotetica persona, un teorico “risparmiatore aggregato”, e andare a vedere se ritroviamo regolarità nei comportamenti di questa persona inventata, che rappresenta l’andamento del mercato nel suo complesso (come quando studiamo un gas, e non il comportamento delle singole molecole, per esempio in pv=rt).


Come abbiamo già detto, quando i giornali parlano di “sentiment del mercato”, pur attribuendolo e misurandolo con una serie di indicatori statistici, alludono a qualcosa di più dell’aggregato dei comportamenti di tutti gli investitori. Un esempio tratto non dal mondo dell’economia ma da un giallo di Georges Simenon, Maigret si confida (1959, 2007, Adelphi):

“Alla città di Parigi capitava di dormire male e di svegliarsi aggressiva, pronta a cogliere al volo l’occasione per dare sfogo al suo cattivo umore … “ (p. 120)

Ovviamente il cattivo umore di Parigi non è riconducibile al cattivo umore dei singoli abitanti, ma al clima complessivo, così come quando diciamo che la borsa è euforica o depressa. E’ il confronto tra diversi momenti storici, e non l’esperimento, a farci parlare così.

Questo modo di procedere e di pensare/emozionarsi ha, alla sua origine, i cosiddetti esperimenti naturali: cioè le differenze nel tempo di comportamento come forma di reazione rispetto a quel che accade all’esterno. In parole povere: le lezioni che ci offre la storia grazie a un’analisi comparata delle caratteristiche dei diversi periodi storici delle loro conseguenze. Negli ultimi quindici anni la storia dei mercati finanziari ci ha offerto tre grandi lezioni che corrispondono a tre grandi esperimenti naturali.


Consideriamo l’andamento dell’indice S&P 500 dal 1950 ad oggi. Se utilizziamo una media mobile a cinque anni, cioè una finestra che scorre e cancella le differenze di breve periodo, possiamo constatare i seguenti andamenti:  

1950                                                                                                                                      oggi


Abbiamo cioè una graduale salita fino al 1995, più accentuata dal 1985 al 1995, un’impennata fino al 2000, e poi due rapide cadute e tre rapide risalite.

Facciamo ora finta che sul mercato agiscano due soli operatori: da un lato gli esperti, i consulenti, i fondi pensione e così via. Dall’altro gli operatori singoli, cioè i risparmiatori che decidono di testa propria. Concentriamoci ora su questi ultimi (cfr. anche il testo del 2006, Psicologia e investimenti finanziari, p. 86). Immaginiamo cioè che sul mercato agiscano due soli giganteschi operatori che, per semplicità, chiameremo gli addetti ai lavori e i non addetti ai lavori, e focalizziamo la nostra attenzione sui non addetti ai lavori. In teoria questi ultimi potrebbero in prevalenza affidarsi a una delle seguenti strategie:
  1. avere un mix azioni/altro, con una proporzione corrispondente al profilo di rischio di ciascuno, e sfruttare il premio al rischio che compensa, con maggiori rendimenti, le forti oscillazioni dei mercati azionari, particolarmente evidente negli ultimi vent’anni; al limite questa strategia spiega anche chi decide di non tenere solo azioni in portafoglio (avverso al rischio) o, all’opposto, chi ha solo azioni (propenso al rischio con prospettive temporali molto lunghe);
  2. entrare nei mercati quando il rapporto p/e è sotto la media storica e uscire quando il p/e è sopra la media storica;
  3. entrare e uscire dai mercati alla luce di quello che è successo nel periodo precedente, quello almeno di cui un investitore ha memoria (da una settimana, a un mese, a un anno fino improbabile un periodo più lungo).

Ora se ci limitiamo a quello che fanno i non addetti ai lavori potremmo aspettarci che adottino una strategia come la 1, che non richiede investimenti informativi né particolare attenzione o cure. Ma, nei fatti, i più non lo fanno. Non adottano neppure la strategia 2, in prevalenza. Scelgono invece la 3, ma la scelta si mescola con due sotto-strategie:
  
3a) si cerca di capire qual è il “sentiment” del mercato
3b) quando si è sicuri del “sentiment”, positivo o negativo, si entra o si esce.

La strategia 3, declinata nelle due sotto-strategie 3a e 3b, va incontro a molti inconvenienti che soltanto una buona e solida relazione con il consulente può ovviare. Sono due trappole in cui il risparmiatore, lasciato solo, tende a incappare. Vedremo che cosa può succedere nella prossima lezione.

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