lunedì 11 novembre 2013

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 57 – Sicurezza in noi stessi e sicurezza trasmessa ai clienti


La consulenza finanziaria è un tipo di consulenza ben diversa dalle altre. Non solo l’esperto deve essere relativamente sicuro di quel che fa sul portafoglio del cliente, ma deve anche trasmettere sicurezza al cliente stesso.
Le due cose non coincidono necessariamente. In genere quando si diventa esperti, in molti campi, l’overconfidence diminuisce perché se ne sono viste tante.


Si tratta in particolare di quei tipi di consulenza in cui veniamo puniti duramente dalle conseguenze di questo meccanismo, e cioè dare al cliente previsioni più sicure rispetto a quelle che siamo legittimati a fare.
Per esempio, i trivellatori di pozzi di petrolio sono sottoposti ad analisi costi-benefici dei tentativi fatti (sono costosi!) e dei successi ottenuti.
Questo rapporto è facilmente quantificabile e noi impariamo a poco a poco ad essere perfettamente calibrati.
Nella vita, in generale, questi sono casi rari. Per i nostri scopi dobbiamo domandarci: che senso ha questa tendenza della mente umana? Se nel campo della consulenza finanziaria è fuorviante, lo è anche altrove? In altre parole, se tutti siamo un po’ indulgenti con noi stessi, e pecchiamo di overconfidence, qual è l’origine di questo vizio, modesto e perdonabile se praticato in dosi modiche?
In primo luogo, va ricordato che questa tendenza ci rende più sicuri, aumenta l’autostima nella misura in cui riduce soggettivamente la nostra incertezza.
In un mondo ostile e incerto, quello in cui si è evoluta la mente umana, l’overconfidence ci spingeva all’intraprendenza e all’audacia (oggi diremmo “imprenditorialità”). Questa inclinazione alla sicurezza è propedeutica all’azione rischiosa, di cui sottovalutiamo il pericolo.
Intere banche hanno vacillato per l’overconfidence di un singolo operatore. Ricordate il caso di Societé Générale?
Jerôme Kerviel è diventato addirittura oggetto di un libro: in lui c’era sovra-fiducia da parte della banca e lui, a sua volta, aveva acquisito una fiducia eccessiva nelle sue capacità.
Anche nel mondo odierno, non il mondo dei cacciatori-raccoglitori cha ha plasmato la mente umana, vedere la “vie en rose”, con gli occhi dell’overconfidence, rivela una realtà che ci riserva più sorprese, più imprevisti, insomma un mondo più divertente e meno piatto.
In terzo luogo, questa distorsione, beninteso in forme lievi, ci rende più sicuri di noi stessi se svolgiamo quella forma speciale di consulenza che è la consulenza finanziaria. Ci trasforma in consulenti che instaurano una migliore relazione con il cliente.
Certo, come ho già detto, l’overconfidence può divenire, se eccessiva, una trappola micidiale. Considerate, per esempio, il caso delle IPO (Initial Public Offering), e cioè le matricole che vengono messe per la prima volta sul mercato. Come mai, si domanda Marco Liera, l’esperto del Sole-24Ore, ci si attende spesso di guadagnare con certezza aderendo alle IPO?
Questo è un classico caso di overconfidence, tanto più forte quante più asimmetrie sono presenti negli sbarchi sui listini. Di un nuovo titolo si sa solo quello che ci dice chi lo vuol vendere e noi dobbiamo (vogliamo?) credergli.
In realtà i dati aggregati non confortano tale overconfidence . Nei collocamenti su Piazza Affari, dal 1999 a oggi, la maggioranza delle società quotano, dopo un anno, sotto il prezzo di IPO.
L’altro aspetto cruciale, forse il più interessante dal punto di vista della consulenza finanziaria, emerge quando dalle risposte individuali, si passa alla risposta collettiva. Come si fa?
Provate ad aggregare gli intervalli di chi ha partecipato all’esperimento e a costruire la risposta media.
L’intervallo medio, ottenuto facendo la media degli intervalli forniti dai singoli membri di una classe di trenta consulenti, è pressoché imbattibile dalla maggioranza delle singole persone che hanno fatto l’esercizio in aula. Mentre in ogni aula, composta di circa venti consulenti, la media degli errori  individuali va da 3 a 4, se costruite l’intervallo medio dell’aula ottenete quel calibro esatto di cui nessuno di per sé è fornito. Non è vero che, in una classe, metà fa meglio e metà fa peggio della media. Non siamo a scuola. In questo esercizio gli errori individuali si compensano nella prestazione collettiva (il che a scuola e nei quiz non succede). Se, per esempio, una persona stima la lunghezza del Po da 600 a 640, e un’altra da 700 a 750, aggregando i due intervalli sbagliati se ne ottiene uno giusto.
E’ un meccanismo assai semplice quello che fa sì che la risposta media, che emerge da una sorta di mercato dell’incertezza, sia molto più precisa delle risposte fornite dalla grande maggioranza di chi partecipa.
Questo fenomeno, per l’appunto fenomenale, è incomprensibile ai clienti. Questi tendono a giudicare sempre quello che è l’andamento del loro portafoglio, come se non ci fosse null’altro al mondo. E quindi sfugge loro che l’incertezza, una volta aggregata, è inferiore a quella del singolo operatore, ad esempio il loro consulente. In altre parole, si confrontano due entità incommensurabili, senza rendersene conto.
I clienti, anche se hanno un portafoglio ben diversificato, rimpiangono talvolta di non averlo “diversificato male”, mettendo nel portafoglio solo quello che, a posteriori, ha subito più incrementi. Meccanismo mentale molto umano, troppo umano!

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