domenica 9 giugno 2013

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 37 – Come diagnosticare la personalità del cliente


Purtroppo non ci sono scorciatoie nella comprensione della mente altrui. Per esempio, la fiducia, così rilevante nel rapporto consulente/cliente, si forma grazie a un processo di crescita lento. La fiducia nasce dalla capacità di innescare ascolto. Così inizia un romanzo dell’inglese John Le Carré, in cui il protagonista è un ex spia di successo che parla a degli apprendisti: “Udii le prime frasi e vidi i volti degli studenti – non sempre così disponibili – levarsi e rilassarsi e illuminarsi, mentre gli concedevano dapprima la loro attenzione, poi la fiducia e infine il loro “favore”. Immaginate di essere il responsabile del personale di un’azienda che sta per decidere se assumermi. Avete visto il mio curriculum e le lettere di presentazione dei miei precedenti datori di lavoro. E tuttavia quel che volete veramente sapere è se io funzionerò bene per la vostra organizzazione. Sono un lavoratore tenace? Sono onesto? Sono aperto all’innovazione e affronto i problemi in modo creativo?
 

Potreste provare a dare a miei amici e conoscenti un questionario che misuri le dimensioni cruciali della mia personalità:
*      Quanto sono estroverso. Sono socievole o schivo? Aperto agli altri o riservato? Compagnone o solitario?
*      Gradevolezza. Sono una persona che si fida degli altri o è sospettosa? Generoso e cooperativo oppure concentrato su me stesso?
*      Quanto sono coscienzioso. Sono una persona organizzata o disorganizzata? Con auto- disciplina o un po’ balzano? Determinato o privo di grinta?
*      Stabilità emotiva. Sono incline a essere preoccupato oppure no? Sono una persona unpò ansiosa o calma? Sicura o insicura?
*      Quanto sono aperto a nuove esperienze. Sono fantasioso o con i piedi per terra? Indipendente o conformista?

Lo psicologo Samuel Gosling, dell’Università del Texas, scelse un campione di studenti e ai loro più stretti amici chiese di procedere a valutazioni compilando un questionario con domande come quelle sopra elencate. Il risultato non fu sorprendente: gli amici, che ci conoscono bene, sanno fornire di noi descrizioni accurate e coerenti tra loro.

Poi Gosling fece ripetere il processo di valutazione. Questa volta però non si rivolse agli amici. Egli utilizzò come valutatori degli assoluti estranei. Questi ispezionarono con calma gli ambienti di vita dove il valutando dormiva e studiava. Ognuno aveva venti minuti e doveva cercare di stabilire, su una scala da 1 a 5, quanto la persona che abitava lì fosse fiduciosa negli altri, ordinata, collaborativa, e così via. Insomma il tipo di domande dell’elenco precedente. Il visitatore non aveva altre fonti se non la visita degli ambienti di vita di ciascuno (un po’ come fa Maigret, il commissario di Simenon, quando visita il luogo del delitto).

Quale metodo funzionò meglio: la descrizione tramite questionari da parte degli amici o l’ispezione delle stanze da parte degli scrutatori? Gli amici furono più accurati degli ispettori nel misurare l’estroversione. Un estraneo va conosciuto di persona se vogliamo appurare se è aperto e brillante.

Gli amici fecero meglio degli ispettori anche nel valutare la gradevolezza: questa non si manifesta chiaramente tramite gli indizi presenti nei locali. Eppure, nelle tre restanti dimensioni dell’elenco precedente, gli ispettori si rivelarono più accurati degli amici e, nel complesso, se la cavarono meglio. La morale, forse sorprendente, è che una persona, che ci valuta solo attraverso i nostri oggetti e i comportamenti tracciabili osservando i locali in cui viviamo, per certi versi ci giudica meglio tramite questi reperti di quanto non faccia un amico che ci conosce da anni. Se si tratta di studenti, come in questo caso, un’occhiata ai libri preferiti, all’abbigliamento, al modo di tenere la stanza è una buona guida. Questa ispezione non serve se vogliamo sapere se la persona in questione è estroversa, gradevole e degna della nostra fiducia. Soprattutto per quanto concerne l’ultimo e cruciale quesito, dobbiamo ammettere che non ci sono scorciatoie.

Il desiderio di riuscire a categorizzare le persone, così da poterne prevedere il comportamento, non scomparirà mai, anche se privo di solide basi scientifiche. Questa tendenza, purtroppo, emerge anche in casi estremi. In occasione del recente attentato alla maratona di Boston, Richard Clarke, responsabile dell’antiterrorismo ai tempi di  Bill Clinton, ha detto dei due ceceni arrestati e accusati di aver messo le bombe: “Sembrano normali, sono normali, e poi fanno un atto terroristico”. Egli non coglie il punto che fare un attentato non dipende dall’appartenere in modo permanente a un’altra categoria di persone. Quelle cruciali non sono le credenze, ma le circostanze.

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