sabato 15 giugno 2013

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 39 – Rischio, volatilità, paura

Molto spesso, in economia e finanza, la definizione di rischio si basa sul concetto di volatilità. La volatilità si misura con la deviazione standard, che in parole semplici, esprime l’oscillazione di un valore, più tecnicamente una misura della dispersione delle rilevazioni di quel valore nel tempo. Un esempio chiarirà la nozione.

Supponiamo di avere due responsabili, A e B , che fabbricano due prodotti finanziari, a e b. Tutti e due i responsabili ottengono rendimenti annuali del 15%. E tuttavia la deviazione standard annua è del 5% per il prodotto a, gestito da A, e del 20% per il prodotto b, gestito da B. Benché A e B ottengano lo stesso rendimento del 15% annuo, l’incertezza dei rendimenti è molto maggiore per b che per a. Ci sono 95% delle probabilità che il rendimento annuale di a caschi in una forchetta di valori tra il 5% e il 25%. Di conseguenza nel caso di a c’è un’alta probabilità, più precisamente il 95%, che A riesca ad ottenere almeno un rendimento del 5%, anche nel peggiore dei casi possibili. Al contrario, nel caso del prodotto gestito da B il rendimento annuo può spaziare tra il 55% e il -25%. E’ cioè più probabile una perdita per b, mentre a otterrà probabilmente un guadagno, anche se modesto. In altre parole, in finanza, quando si parla di un prodotto che ha basso rischio, si allude a un prodotto che ha bassa volatilità. Se, al contrario, la volatilità è alta, è più probabile che il rendimento possa discostarsi da quello medio ottenuto in passato.

E’ importante capire che la deviazione standard misura le variabilità dei rendimenti, quanto cioè oscillano nel tempo, ma non riflette necessariamente la probabilità di perdere denaro. Immaginiamo un caso del tutto immaginario. Supponiamo che un ipotetico fondo perde l’1% ogni mese, mese dopo mese. Questo fondo avrà una deviazione standard di 0.0, perché non c’è variabilità nei rendimenti, e, nello stesso tempo, abbiamo la certezza assoluta di perdere denaro. In altre parole, l’informazione sul valore della deviazione standard, per avere un senso per il risparmiatore, deve sempre accompagnarsi all’informazione sul rendimento medio di quel prodotto. Altrimenti è inutile, anzi insidiosa perché può venire male interpretata.

Un esempio chiarirà questo punto. Immaginiamo un fondo Z il cui andamento viene rappresentato nella figura sottostante.


Esaminiamo l’andamento del fondo Z da Ottobre 2005 al Dicembre 2007. Benché il fondo Z abbia un’alta volatilità, 35% annua, tale volatilità è compensata da un alto rendimento annuo, più precisamente il 79%. Inoltre si può constatare dalla figura che, nel periodo da Ottobre 05 a Dicembre 07, il fondo Z ha più di 70 mesi con chiusure positive e soli due mesi con perdite superiori al 4%. Il fondo Z, sulla base del periodo esaminato, ha una probabilità del 95% che il rendimento annuo spazierà all’interno di una forchetta che va dal 9% al 149%. La forchetta è assai ampia perché il fondo è molto volatile. Comunque, sulla base del periodo esaminato, ci sono 95% delle probabilità che il fondo avrà un rendimento del 9% o più.

Aggiungiamo ora un solo mese, il gennaio 2008. In seguito a questo solo mese, il rendimento, che nell’anno precedente era stato positivo per un +89%, diventa negativo per un -69%. Questo rendimento negativo è molto sotto il tetto del 9% ricavato dall’andamento del periodo precedente. Che cosa è successo? Perché la previsione sulla base della deviazione standard precedente non ha funzionato? La risposta è cruciale nel definire il ruolo della volatilità: la volatilità è un buon indicatore della probabilità di perdere solo se i rendimenti storici, quelli cioè del passato, sono rappresentativi dei rendimenti che possiamo aspettarci nel futuro. E non possiamo mai essere sicuri di questo presupposto. Inoltre le persone per solito sono asimmetriche: soffrono molto di più per le perdite di quanto non godano per un guadagno della stessa entità. In conclusione la volatilità non corrisponde perfettamente a quello che succede nella testa della maggioranza delle persone, particolarmente preoccupate per le perdite.


Come sottolinea Jack Schwager, dal cui libro Market Sense an Nonsense (2013, pp 56-93), sono tratti questi esempi: “Si sono persi più soldi fraintendendo il concetto di rischio che non evitando di misurarlo. E’ più pericoloso guidare un’auto il cui tachimetro indica sempre 25 km all’ora che non un’auto senza tachimetro” (p. 87). Ricordate la differenza tra accuratezza e precisione?

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