lunedì 1 aprile 2013

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 29 – Valutazioni delle agenzie di rating, aspettative e paure


Le statistiche compilate da Bloomberg, seguendo i cambiamenti sui rating dei debiti sovrani di Moody’s e S&P, mostrano che:

Ø  nel 2012 abbiamo avuto ben 32 cambiamenti di rating che sono stati ignorati il 56% delle volte, nel senso che si sono rivelati in seguito ininfluenti;
Ø  dal 1974 alla fine del 2012, per ben il 47% delle volte, il rendimento del titolo degradato è sceso invece di salire! L’esempio recente, e più clamoroso, è quello della Francia: perde la tripla AAA di Moody’s il 19 novembre 2012, e lo yield scende al 1,98%, in quanto il titolo, cioè l’OAT, sorprendentemente, si apprezza invece di deprezzarsi (il rendimento del decennale poi risale al 2,23 in data 25 febbraio 2013 per le difficoltà legate al debito europeo).

L’istinto “contrarian” dei mercati si spiega con il fatto che, quando un’agenzia cala la scure su un titolo, il mercato ha spesso già anticipato la decisione. Il giudizio dell’agenzia si rivelerà quindi ininfluente, essendo già scontato nei prezzi (e, in effetti, il decennale con la tripla AAA francese rendeva – ben prima di novembre 2012 – quasi un punto in più del Bund, cioè l’analogo decennale emesso dalla Germania; per una trattazione analitica e un commento Cfr. il pezzo di Poggi su IlSole24Ore del 19.12.2012, p. 37).

In un articolo, un po’ tecnico ma illuminante, di Alessandro Piergallini e Michele Postiglia (Fiscal Policy and Public Debt Dynamics in Italy, Rivista Italiana degli Economisti, XVII, 2012, 417-440), si mostra come, nella storia unitaria del paese, si siano avuti solo tre periodi (1861/1863; 1926; 1946/1981) in cui è stato rispettato il criterio del trattato di Maastricht, e cioè un debito inferiore al 60% del PIL (il prodotto interno lordo, in inglese GPD). Quando il debito ha raggiunto livelli ritenuti preoccupanti, e percepiti come tali dall’opinione pubblica, si è intervenuti con appropriate e decise politiche fiscali. Non sempre è stata utilizzata la tecnica della riduzione del debito tramite inflazione, quella che oggi è spesso definita come “repressione finanziaria”. La repressione finanziaria era stata utilizzata in Italia e in altri paesi, per esempio gli USA, dopo l’ultima guerra mondiale. Così il Giappone, che deve gestire il più alto debito dello stato rispetto al PIL, dichiara oggidi voler fare, con un obiettivo/inflazione al 2% (Cfr. 26.12.12, ynohara1@bloomberg.net) . Nel frattempo, il valore dello yen è già sceso di più del 10% nei confronti di dollari e euro.

L’Italia, nella sua storia unitaria, ha mostrato di saper reagire ai cumuli eccessivi di debito. Per solito l’entità del debito è divenuta centrale all’interno del dibattito pubblico ed è emersa la paura delle conseguenze della spesa eccessiva. Secondo le parole di Quintino Sella, parole rivolte al parlamento l’11 dicembre 1872: è quando si votano le spese, e non le tasse, che si chiedono sacrifici ai contribuenti.

Le tecniche adottate per il rientro del debito sono storicamente più di una. Per lo meno le seguenti, o un loro mix:

Ø  non pagarlo ai creditori, come ha fatto la Grecia nel 2011/2012 e, a suo tempo, l’Argentina;
Ø  usare l’inflazione, per ridurlo gradatamente, come in molti paesi dopo le guerre;
Ø  ricorrere a misure di politica fiscale, che è la tecnica più dolorosa, come hanno ben capito gli italiani nell’ultimo anno in seguito all’adozione dell’amara ma necessaria ricetta: taglio spese/aumento tasse.

Ovviamente l’adozione di una o l’altra di tali tecniche ha effetti molto diversi sui risparmiatori. Se si usa l’inflazione, la repressione finanziaria non è notata dai più e agisce in modo silente. Ragion per cui è molto pericolosa per gli investitori, soprattutto per quelli con titoli a reddito fisso. Se invece si adottano politiche fiscali esplicite, allora l’eccessivo debito viene per solito presentato al pubblico come un pericolo nuovo e sconosciuto, pauroso, e come tale da richiedere sacrifici. In conclusione, non solo il senso del rigore, ma anche la paura spinge a imboccare un cammino virtuoso di rientro dal debito.

La paura indotta dal verificarsi di un evento singolo, non previsto, rappresenta un caso limite. In generale la mente umana è più allenata e abile nel valutare la probabilità di un singolo evento, collocabile dentro una serie storica di eventi analoghi, rispetto alla stima del cambiamento di probabilità di eventi singoli, come si può mostrare con molti esperimenti (tipico quello dei tre contenitori, descritto nel libro I soldi in testa). Abbiamo già detto che noi abbiamo paura degli eventi soggettivamente paurosi, e non di quelli oggettivamente pericolosi.

La paura indotta da un evento singolo, che giudicavamo del tutto improbabile, se non impossibile, ci può purtroppo condurre a scelte non molto ponderate, che possono auto-danneggiarci, come si è già accennato. Questo avviene non solo per le paure finanziarie, quando per esempio, in casi eccezionali, i mercati sono molto scesi di valore, e abbiamo patito in modo prolungato per uno stato di cose ansioso da cui vogliamo liberarci (allontanando a ogni costo la sorgente della paura, e quindi vendendo ciò su cui siamo in perdita e ci ha fatto soffrire). Capita anche per altri tipi di paure.

Un caso tragico è costituito dalle morti dei 256 passeggeri che viaggiavano sugli aerei l’11 settembre 2001. Le persone che stavano vicino a New York, impressionate dall’evento, potendo spostarsi in macchina, preferirono evitare i viaggi in aereo.

Una ricerca dettagliata di Wolfgang Gaissmaier e Gerd Gigerenzer (9/11, Act II: A Fine-Grained Analysis of Regional Variations in Traffic  Fatalities), pubblicata nel novembre 2012 su Psychological Science, mostra che la scelta di andare in macchina, invece che in aereo, causò negli USA 1.600 morti addizionali rispetto alle consuete statistiche stagionali. Questo incremento (di circa sei volte i morti in aereo: erano stati 256) si spiega con l’impatto della paura (determinata da quanto uno abitava distante o vicino a New York), e con la possibilità effettiva di sostituire il trasporto aereo con l’uso di autostrade.

Le sottostanti due mappe degli USA indicano, in basso, con colori sempre più scuri, la distanza da New York e la presenza di autostrade in quello specifico stato. Vediamo le conseguenze di questi due fattori nella mappa grande degli USA, che riporta l’aumento delle morti, avvenuto rispetto alle medie storiche, nei tre mesi successivi (più scuro = più incremento).

In conclusione la possibilità di evitare di viaggiare in aereo e il livello di paura, in funzione del luogo di residenza (più o meno vicino a New York), spiegano le scelte apparentemente irrazionali del tipo di mezzo di trasporto, così come i due mercati “orso”, nell’ultimo decennio, spiegano la paura, e il conseguente acquisto di obbligazioni supersicure, che non pareggiano neppure il tasso di inflazione. Una scelta forse auto-lesionistica, dal punto di vista del portafoglio. Di sicuro tranquillizzante in termini di stati d’animo.


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