“SELL IN MAY AND GO AWAY”. SARA’ PROPRIO COSI’ ?
E’ ora dei
primi consuntivi. Siamo alla fine di aprile e ormai prossimi a conoscere i
risultati ufficiali delle imprese relativamente all’anno precedente e a
verificare la consistenza della crescita per l’anno in corso. Da qui in avanti
le valutazioni saranno maggiormente concrete, le esternazioni e le decisioni
delle banche centrali saranno soppesate con grande cura e ci si appresta a
valutare molto attentamente la coerenza dei portafogli investiti dato
l’approssimarsi dei mesi estivi, spesso forieri di turbolenze. Con l’avvento di
maggio il pensiero corre al vecchio motto di Wall Street, … sell in may and go
away… Sarà proprio così?
Possiamo vedere nel grafico successivo i gap
dei rendimenti dall’inizio dell’anno:
MERCATO
VALUTARIO: IL DOLLARO SI RAFFORZA SULL’EURO
Sin qui
i mercati si sono mossi in modo
piuttosto insolito, con una partenza - a gennaio - molto euforica
caratterizzata da continui record su molti mercati a cui ha fatto seguito una
forte correzione nel mese successivo. Da lì in avanti rimbalzi e storni si sono
susseguiti per giungere a fine aprile con dei grossi punti interrogativi
relativamente alla solidità della crescita economica in atto, sulla possibilità
concreta di una risalita dei tassi di interesse (quantomeno in area dollaro),
sul calo di ottimismo da parte dei gestori, sull’indebitamento delle imprese,
sull’accelerazione delle operazioni straordinarie quasi fossero le ultime occasioni
per farle.
Ovviamente
questa è solo una provocazione volta a far riflettere sulla possibilità che,
dopo anni di rialzi supportati da una “necessaria” accondiscendenza da parte
delle banche centrali, si debba tornare a una situazione di maggiore normalità
e dunque a condizioni meno favorevoli per un’ulteriore balzo in avanti dei
mercati azionari che si trovano nella situazione fotografata nel grafico di
apertura.
Su quindici
indici azionari che compongono il paniere otto sono in area positiva ma
solamente due con risultati particolarmente significativi: Brasile e Italia. A
seguire, con performance racchiuse fra il 2,6 e il 3,2%, troviamo Francia,
India e il Nasdaq. Appena sopra e appena sotto la parità stazionano ben sei
indici azionari fra cui S&P 500, Hong Kong e Giappone. Ben più sotto la
parità finiscono Shangai e Zurigo. In territorio negativo ma in posizione
intermedia gli indici di Francoforte e Londra, rispettivamente a -2,6% e -2,4%.
La scorsa
settimana, ultima di aprile, è stata una settimana piuttosto favorevole ai
mercati azionari, tutti in crescita con le sole eccezioni di Hong Kong e del
Nasdaq, di poco sotto la parità. Particolarmente positivi gli indici di Londra,
Mosca e Mumbay che chiudono con rialzi racchiusi fra l’1,6 e l’1,85%
Aprile, nel
suo complesso, è stato un mese votato alla crescita, con gli indici, tutti
positivi tranne per Russia e Cina. Oltre il 50% di essi ha chiuso il mese con
performance superiori al 3%. L’indice azionario mondiale è cresciuto nel mese
del 2% mentre sotto la media ma pur sempre in territorio positivo si collocano
i due indici statunitensi, Svizzera, Hong Kong e Brasile.
I fattori
più importanti, ad oggi, che potrebbero influenzare a breve l’andamento dei
mercati possono essere individuati a) nelle trattative in corso per la pace fra
le due Coree (con l’auspicio unanime di una conclusione positiva) e b) la
“guerra” dei dazi che potrebbe dare la stura, se non si trovassero accordi di
buon senso, a una fase di indebolimento dell’economia con ripercussioni
evidenti anche sulla tenuta del trend rialzista dei mercati azionari.
IL
DECENNALE AMERICANO A UN PASSO DAL 3%
E’ noto il fatto che la Fed
sta perseguendo una politica di aumento del livello dei tassi di interesse e
nel corso di quest’anno sono attesi ulteriori ritocchi all’insù. E’ anche
scontato il fatto che per coprire il deficit Washington tenda a offrire tassi
tendenzialmente più appetibili di quelli correnti e dunque in questi primi
quattro mesi dell’anno il tasso di interesse del decennale Usa si è
gradualmente innalzato dal 2,40% di inizio anno sino al 2,96% di fine aprile.
Ciò significa che il rendimento del Treasury si
è incrementato del 23% in quattro mesi e siamo ora alla soglia del
fatidico 3%, un livello al di sopra del quale possiamo considerare
chiusa l’era dei tassi ai minimi.
Andiamo a
vedere qual è l’attuale situazione:
Dall’inizio dell’anno, fatta eccezione per il
Btp decennale, i governativi di pari durata del nostro paniere si sono tutti
incrementati. Del Treasury abbiamo già detto ma sottolineiamo pure che in
misura quasi analoga sono cresciuti i rendimenti in Gran Bretagna e addirittura
maggiore in Germania, con il Bund passato dallo 0,42% di inizio gennaio allo
0,57% di fine aprile; apparentemente poco ma in termini percentuali si tratta
di un +37%.
Piuttosto anomalo,infine, il rendimento del Btp
che sembra dare come scontato un accordo per la formazione del nuovo governo italiano
manifestando così ottimismo per la guida del paese. Ciò che sta accadendo in
queste ore sembra andare piuttosto nella direzione opposta per cui staremo a
vedere se le prossime sedute confermeranno o meno il livello di 1,75 e lo
spread sul Bund a 117.
Dopo essersi impennato a gennaio a 1,25 dollari
per euro la valuta comunitaria si è dapprima leggermente indebolita per poi
entrare in un range tra 1,22 e 1,24 mantenuto sino alla terza settimana di
aprile; nel corso della scorsa settimana il dollaro ha assunto la veste di
mattatore recuperando il livello di inizio gennaio con le principali valute.
L’euro, dal canto suo, pur conservando una
minima percentuale di apprezzamento nei quattro mesi sul dollaro è in flessione
sulle altre valute del paniere, sterlina, yen e yuan. Mentre sulle prime due
monete la nostra moneta è in temporanea fase di risalita dai minimi toccati
nelle settimane precedenti, la debolezza sullo yuan è al momento strutturale,
come evidenziato al grafico sottostante.
Toccato il suo massimo sulla valuta cinese a
gennaio, l’euro ha avuto alti e bassi sino alla metà di febbraio per poi
assumere un trend di indebolimento che tuttora perdura. La Ferrari e i
produttori di vino brindano mentre gli importatori di beni dalla Cina si
apprestano a qualche impercettibile ritocco dei listini, guerra dei dazi permettendo.
SETTIMANA
DI DEBOLEZZA PER LE MATERIE PRIME MA …
Veniamo ora alle materie prime. La settimana testé
conclusa si presenta come debole sul fronte delle materie prime. L’indice
globale, il CRB, arretra di un nulla (-0,26) e lo stesso dicasi per il petrolio
che ne costituisce l’elemento principale e ne condizione pesantemente
l’andamento.
Un calo più sensibile, ancorché modesto
(-1,02%) quello dell’oro a ulteriore conferma che al momento gli operatori non
avvertono l’utilità di de-correlare gli asset di investimento incrementando le
posizioni sul metallo giallo.
Osservando l’andamento del petrolio si può
notare che da febbraio ha iniziato una risalita che l’ha portato a una crescita
del 15% in tre mesi fermandosi poco sotto la scoglia dei 70 dollari al barile.
Su questo teend pesano le minacce di dazi da parte di Trump e, non ultimo,
l’avversione per gli accordi con l’Iran che potrebbe venire penalizzato sul
lato delle esportazioni riducendo l’offerta complessiva.
Piuttosto evidente il trading range dell’oro le
cui quotazioni oscillano in un’area racchiusa fra 1.320 e 1.350 dollari per
oncia a conferma della mancanza di convinzione sulla necessità di coperture da
shock borsistici, almeno sino ad ora.
Tornando infine alla domanda iniziale,
“vendiamo tutto e stiamo alla finestra?”, direi che avere convinzioni nette e
precise in questo momento è a dir poco velleitario. Dunque, avanti ma con
giudizio, per citare il Manzoni. Meglio ancora se abbiamo un piano “B”, ma
questa è strategia e sconfiniamo nel sofisticato e nel professionale, temi da
trattare con il proprio consulente. A presto.
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