lunedì 14 maggio 2018

MERCATI FINANZIARI AL 11/5/2018



E’ ANCORA PRESTO PER MOLLARE?

 
Una settimana come quella appena trascorsa va ricordata per la sua generosa tranquillità. Sulla scorta di quella precedente, in frenata nella sola parte iniziale, gli acquisti hanno ripreso vigore e il grafico di apertura ce lo evidenzia egregiamente.
Quasi metà degli indici (7 per la precisione) hanno corrisposto agli investitori guadagni superiori al 2%, un altro terzo guadagni superiori all’1% e al di sotto di questa percentuale troviamo la borsa parigina e l’indice Eurostoxx 50; sotto la linea dello zero, solo soletto, l’indice della nostra borsa italiana “disturbato” dal tira e molla della formazione del nuovo governo.

Con questa settimana molti indici hanno inanellato un filotto di sette settimane consecutive di rialzo e alcuni di questi si stanno riavvicinando ai  massimi storici.

Andando a rileggere il precedente articolo sembrerebbe una piena sconfessione dei timori evidenziati ma resto dell’idea che questo trend, apparentemente inarrestabile, stia giungendo (con molta calma) in una fase matura.
Se andiamo a vedere la situazione year-to-date troviamo una situazione diversa ma non eccessivamente. Le performance più confortanti sono  appannaggio di soli tre mercati, Nasdaq, Brasile e Italia ma quelli globalmente in positivo sono ben l’80% del nostro osservatorio e di quel 20% che si trova sotto la linea dello zero il Giappone lo è di un niente, lo 0,03%.

I due mercati in negativo sono quello svizzero e la Cina che però si sta risollevando dalla brutta sbandata di febbraio quando pagò un dazio del 12% bruciando una salita che durava dal maggio dello scorso anno e per di più i dati di crescita sembrano migliori di quanto si pensasse. Ma come si fa a dirlo con certezza quando sul commercio internazionale grava l’ombra della guerra dei dazi che Trump sembra voler assolutamente avviare?
Questo è uno dei motivi che mi lasciano ancora piuttosto perplesso sul mantenimento dell’attuale trend mondiale. Come potremo mantenerlo se sui prodotti graveranno pesanti dazi? Quanto incideranno in termine di minori acquisti? Quanto incideranno sul livello dell’inflazione che in alcuni paesi sta raggiungendo il livello auspicato?

La teoria da me espressa (non certo auspicata) è quella che prima che il trend possa invertire i grossi operatori stiano dandosi da fare per compiere quelli che potrebbero essere gli ultimi buoni affari per loro per poi mettersi alla finestra.

 

Se ciò si realizzasse è legittimo attendersi che milioni di piccoli investitori si troverebbero a mal partito con mercati in discesa, scarsi margini di guadagno alle spalle, livelli di rischio superiori a quelli effettivamente tollerabili e sottoposti alla consueta angoscia da perdite ben corroborata dai famosi incendi di denaro spesi a profusione dalle reti televisive?

Staremo a vedere, per il momento godiamocela, come il sole di un settembre particolarmente generoso nella certezza di dover lasciare prima o poi spazio alle piogge autunnali.

 
IL DECENNALE AMERICANO SEMPRE A UN PASSO DALLA BARRIERA DEL 3%

E’ ormai da un mese che il bond americano decennale si trova a un nulla dal superamento della barriera del 3%, un livello che psicologicamente sancirebbe il passaggio dalle politiche di facilitazioni monetarie a un iniziale vero ritorno alla cosiddetta “normalità”.

 

Per il momento restiamo in attesa delle  prossime decisioni della Fed nella consapevolezza che la strada è ormai tracciata e che, seppur con il ritardo programmato dal nostro Mario Draghi anche l’Europa si troverà nella stessa situazione fra qualche mese, pochi o tanti non è ancora dato capirlo. Fatto sta che l’inflazione lievemente sta salendo, che una guerra dei dazi non lascerebbe inalterata la situazione e che dopo un governatore francese e uno italiano è difficile pensare che la Germania si lasci sfuggire l’occasione per far accomodare su quella poltrona un suo esponente e ciò che pensano in termini di austerità e rigore è a tutti ben noto.
 

Possiamo vedere nel grafico successivo i gap dei rendimenti dall’inizio dell’anno:
 
 
Diversamente dal report precedente si nota un ritorno del decennale francese verso i rendimenti di inizio anno ma al contempo un incremento dei rendimenti del nostro btp che a fine settimana ha registrato un’impennata dello spread a 132,30 (a inizio mese lo spread sul bund tedesco era a 117,10).

 

VALUTE: SI E’ (MOMENTANEMENTE??) ESAURITA LA FORZA DELL’EURO

 

Siamo tornati a inizio anno nel rapporto di cambio con il dollaro. Dopo aver toccato Il livello di 1,25 dollari per euro all’inizio di febbraio è iniziata la retromarcia della valuta comunitaria che chiude la settimana allo stesso rapporto di cambio di inizio anno: 1,20. Non c’è dubbio che chi si trovava esposto sul dollaro può ora iniziare a respirare ma è probabile che stia per iniziare un periodo piuttosto altalenante, per cui grande prudenza.

 






Ciò che invece sta penalizzando gli investitori eurocentrici rispetto alle altre principali valute è il fatto che la debolezza dell’euro non si ferma al rapporto euro-dollaro ma investe anche importanti monete come yen e yuan.
 
 

E’ evidente la discesa dell’Euro sulle monete delle due superpotenze asiatiche. Lo yen da inizio gennaio ha guadagnato oltre il 3% sulla valuta comunitaria ma anche la moneta cinese, che era rimasta sostanzialmente stabile fino a fine marzo ha iniziato a spingere sull’euro apprezzandosi a sua volta di oltre il 3%.

 
La sterlina, fra alti e bassi è sostanzialmente rimasta al palo, prossima alla parità da gennaio.

 


E IL PETROLIO SALE …

 
L’oro resta più o meno fermo e ciò denota una sostanziale fiducia sul ciclo economico da parte degli operatori mentre il petrolio si muove all’insù superando la barriera dei 70 dollari al barile.
 

 

L’economia tira, un po’ meno rispetto all’anno scorso ma tira. Ciò che è venuta a mancare negli ultimi mesi è la convinzione nella possibilità che l’Iran possa proseguire nell’offerta della propria produzione come è avvenuto dopo gli  accordi con gli Usa; l’insistenza di Trump sulla rinegoziazione o addirittura l’azzeramento degli accordi, così faticosamente raggiunti dall’amministrazione Obama, getta una pesante ombra sulla capacità, o meglio, sulla possibilità del mantenimento dell’offerta del greggio iraniano.
 
A dare manforte a Trump in questi giorni l’esibizione mediatica di Netanyahu che accusa l’Iran di non avere smesso di tentare di dotarsi del nucleare a scopi bellici e le scaramucce fra iraniani e israeliani a suon di missili e attacchi aerei sul suolo siriano. Non sono certo ramoscelli d’ulivo e il petrolio sale con buona pace dei produttori ma con sgradite ripercussioni sulle tasche dei cittadini, in particolar modo quelli su cui gravano pesanti accise come noi italiani.
 

 

 



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