E’
ANCORA PRESTO PER MOLLARE?
Una
settimana come quella appena trascorsa va ricordata per la sua generosa
tranquillità. Sulla scorta di quella precedente, in frenata nella sola parte
iniziale, gli acquisti hanno ripreso vigore e il grafico di apertura ce lo
evidenzia egregiamente.
Quasi metà
degli indici (7 per la precisione) hanno corrisposto agli investitori guadagni
superiori al 2%, un altro terzo guadagni superiori all’1% e al di sotto di
questa percentuale troviamo la borsa parigina e l’indice Eurostoxx 50; sotto la
linea dello zero, solo soletto, l’indice della nostra borsa italiana
“disturbato” dal tira e molla della formazione del nuovo governo.Con questa settimana molti indici hanno inanellato un filotto di sette settimane consecutive di rialzo e alcuni di questi si stanno riavvicinando ai massimi storici.
Andando a
rileggere il precedente articolo sembrerebbe una piena sconfessione dei timori
evidenziati ma resto dell’idea che questo trend, apparentemente inarrestabile,
stia giungendo (con molta calma) in una fase matura.
Se andiamo a
vedere la situazione year-to-date troviamo una situazione diversa ma non
eccessivamente. Le performance più confortanti sono appannaggio di soli tre mercati, Nasdaq,
Brasile e Italia ma quelli globalmente in positivo sono ben l’80% del nostro
osservatorio e di quel 20% che si trova sotto la linea dello zero il Giappone
lo è di un niente, lo 0,03%.
I due
mercati in negativo sono quello svizzero e la Cina che però si sta risollevando
dalla brutta sbandata di febbraio quando pagò un dazio del 12% bruciando una
salita che durava dal maggio dello scorso anno e per di più i dati di crescita
sembrano migliori di quanto si pensasse. Ma come si fa a dirlo con certezza
quando sul commercio internazionale grava l’ombra della guerra dei dazi che
Trump sembra voler assolutamente avviare?
Questo è uno
dei motivi che mi lasciano ancora piuttosto perplesso sul mantenimento
dell’attuale trend mondiale. Come potremo mantenerlo se sui prodotti graveranno
pesanti dazi? Quanto incideranno in termine di minori acquisti? Quanto
incideranno sul livello dell’inflazione che in alcuni paesi sta raggiungendo il
livello auspicato?
La teoria da
me espressa (non certo auspicata) è quella che prima che il trend possa
invertire i grossi operatori stiano dandosi da fare per compiere quelli che
potrebbero essere gli ultimi buoni affari per loro per poi mettersi alla
finestra.
Se ciò si
realizzasse è legittimo attendersi che milioni di piccoli investitori si
troverebbero a mal partito con mercati in discesa, scarsi margini di guadagno
alle spalle, livelli di rischio superiori a quelli effettivamente tollerabili e
sottoposti alla consueta angoscia da perdite ben corroborata dai famosi incendi
di denaro spesi a profusione dalle reti televisive?
Staremo a
vedere, per il momento godiamocela, come il sole di un settembre
particolarmente generoso nella certezza di dover lasciare prima o poi spazio
alle piogge autunnali.
IL
DECENNALE AMERICANO SEMPRE A UN PASSO DALLA BARRIERA DEL 3%
E’ ormai da un mese che il bond americano
decennale si trova a un nulla dal superamento della barriera del 3%, un livello
che psicologicamente sancirebbe il passaggio dalle politiche di facilitazioni
monetarie a un iniziale vero ritorno alla cosiddetta “normalità”.
Per il momento restiamo in attesa delle prossime decisioni della Fed nella
consapevolezza che la strada è ormai tracciata e che, seppur con il ritardo
programmato dal nostro Mario Draghi anche l’Europa si troverà nella stessa
situazione fra qualche mese, pochi o tanti non è ancora dato capirlo. Fatto sta
che l’inflazione lievemente sta salendo, che una guerra dei dazi non lascerebbe
inalterata la situazione e che dopo un governatore francese e uno italiano è
difficile pensare che la Germania si lasci sfuggire l’occasione per far
accomodare su quella poltrona un suo esponente e ciò che pensano in termini di
austerità e rigore è a tutti ben noto.
Possiamo vedere nel grafico successivo i gap
dei rendimenti dall’inizio dell’anno:
Diversamente dal report precedente si nota un
ritorno del decennale francese verso i rendimenti di inizio anno ma al contempo
un incremento dei rendimenti del nostro btp che a fine settimana ha registrato
un’impennata dello spread a 132,30 (a inizio mese lo spread sul bund tedesco
era a 117,10).
VALUTE:
SI E’ (MOMENTANEMENTE??) ESAURITA LA FORZA DELL’EURO
Siamo tornati a inizio anno nel rapporto di
cambio con il dollaro. Dopo aver toccato Il livello di 1,25 dollari per euro
all’inizio di febbraio è iniziata la retromarcia della valuta comunitaria che
chiude la settimana allo stesso rapporto di cambio di inizio anno: 1,20. Non
c’è dubbio che chi si trovava esposto sul dollaro può ora iniziare a respirare
ma è probabile che stia per iniziare un periodo piuttosto altalenante, per cui
grande prudenza.
Ciò che invece sta penalizzando gli investitori eurocentrici rispetto alle altre principali valute è il fatto che la debolezza dell’euro non si ferma al rapporto euro-dollaro ma investe anche importanti monete come yen e yuan.
E’ evidente la discesa dell’Euro sulle monete
delle due superpotenze asiatiche. Lo yen da inizio gennaio ha guadagnato oltre
il 3% sulla valuta comunitaria ma anche la moneta cinese, che era rimasta
sostanzialmente stabile fino a fine marzo ha iniziato a spingere sull’euro
apprezzandosi a sua volta di oltre il 3%.
La sterlina, fra alti e bassi è sostanzialmente
rimasta al palo, prossima alla parità da gennaio.
E IL
PETROLIO SALE …
L’oro resta più o meno fermo e ciò denota una
sostanziale fiducia sul ciclo economico da parte degli operatori mentre il
petrolio si muove all’insù superando la barriera dei 70 dollari al barile.
L’economia tira, un po’ meno rispetto all’anno
scorso ma tira. Ciò che è venuta a mancare negli ultimi mesi è la convinzione
nella possibilità che l’Iran possa proseguire nell’offerta della propria
produzione come è avvenuto dopo gli
accordi con gli Usa; l’insistenza di Trump sulla rinegoziazione o
addirittura l’azzeramento degli accordi, così faticosamente raggiunti
dall’amministrazione Obama, getta una pesante ombra sulla capacità, o meglio,
sulla possibilità del mantenimento dell’offerta del greggio iraniano.
A dare manforte a Trump in questi giorni l’esibizione
mediatica di Netanyahu che accusa l’Iran di non avere smesso di tentare di
dotarsi del nucleare a scopi bellici e le scaramucce fra iraniani e israeliani
a suon di missili e attacchi aerei sul suolo siriano. Non sono certo ramoscelli
d’ulivo e il petrolio sale con buona pace dei produttori ma con sgradite
ripercussioni sulle tasche dei cittadini, in particolar modo quelli su cui
gravano pesanti accise come noi italiani.
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