martedì 25 novembre 2014

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 106 – Capire il mondo mettendosi nei panni altrui



Spesso, soprattutto se si è giovani, non sempre ci si rende conto che l’uomo contemporaneo possiede due caratteristiche “speciali” che lo rendono diverso da tutte le altre specie viventi. La prima è quella dell’infanzia lunga, la seconda è quella della vecchiaia “apparentemente” sempre più precoce, via via che si prolunga la durata della vita media.
Discuterò qui queste due caratteristiche “speciali”, cercando di mostrarne le implicazioni sulla relazione consulenti/clienti. Partirò narrando la favola della Creazione:

Completato l’universo, molto tempo fa, Dio lo volle popolare di esseri animati. Allora creò molti embrioni, e chiese loro quale tipo d’animale desiderassero divenire da adulti. Chi voleva correre, chi volare, chi nuotare. Grandi, piccoli, veloci, lenti. Solo un embrione stava in silenzio. Allora Dio gli chiese come mai non avesse nessuna preferenza. Il piccolo embrione rispose che lui voleva restare com’era stato creato. Se era stato fatto così, ci doveva pur essere una buona ragione. Dio lodò la risposta, e promise all’embrione che sarebbe rimasto bambino. Grazie alla crescita più lenta, sarebbe stato l’unico essere capace di fantasie, e sarebbe diventato il signore dell’Universo. Da piccolo, giocando, sarebbe riuscito a immaginare altri mondi, modificando nella sua mente quello in cui viveva. Questa capacità, avvicinandolo al Creatore, gli avrebbe permesso di trasformare la terra, che sarebbe diventata ricca delle sue opere.
La favola della creazione, narrata in Ontogenesi e filogenesi di Stephen Jay Gould (che a sua volta si è ispirato a Re in eterno di T. H. White), si avvicina alla storia dell’albero della vita. Nella realtà dell’evoluzione naturale, tuttavia, la favola è stata narrata lentamente, snodandosi per milioni di anni. Il paleo-climatologo Peter deMenocal ha ricostruito i terribili shock climatici prodotti dalla comparsa e scomparsa del lago Turkana, nell’est dell’Africa. L’esame dei fossili nei pressi del lago, numerosi e risalenti a tempi diversi, milioni di anni fa, mostra la difficile vita dei nostri progenitori costretti ad adattarsi a quei mutamenti. La specie umana è un accidente fortunato, e relativamente rapido, dell’evoluzione, ma in questa storia ci dovrebbe essere una profonda lezione di rispetto per l’ambiente naturale da parte di chi ha avuto il dono di restare a lungo bambino.
La caratteristica che ci fa bambini è quella che compare le prime volte nei giochi infantili, e cioè il saper immaginare mondi alternativi a quello in cui siamo in un dato momento. E, a pensarci bene, è questa stessa dote che sta dietro alla gestione dell’incertezza, che è la base del mestiere del consulente. Supporre:
·         che il dollaro, che in questa seconda metà dell’anno si è rinforzato, potrebbe, prima o poi, indebolirsi di nuovo, come suggerisce l’Economist dell’11 ottobre;
·         che le borse, che hanno raddoppiato di valore partendo da p/u molto bassi su basi storiche, potrebbero diventare troppe care rispetto alla debole crescita economica,
·         che il debito pubblico italiano (che, tutto incluso, stato, società, enti locali e famiglie comprese, sembra aver raggiunto il 242% del PIL), un giorno potrebbe diventare - come è successo a quello argentino e a quello greco - difficilmente sostenibile,
·         e così via …

Queste ipotesi, ora di fantasia, mostrano che noi siamo in grado di immaginare mondi alternativi a quelli di cui abbiamo fatto esperienza, e a cui siamo “mentalmente” abituati, avendoli vissuti in presa diretta.

Questa capacità di simulare mondi diversi è quella che conduce alla diversificazione e, quindi, a rivolgersi a un esperto che sappia costruire e gestire un portafoglio “ben temperato”. Questo esperto è un consulente, e non un gestore, che comprensibilmente si appassiona alle “sue” ipotesi.
E tuttavia c’è un altro punto rilevante, che discende dal riuscire a non “appassionarsi alle proprie ipotesi”. E’ la capacità di mettersi dal punto di vista altrui, un’altra capacità che si affievolisce con l’età. Un buon esempio è dato proprio dall’attuale scenario economico, in cui gli italiani devono cercare di vedere le cose dal punto di vista dei tedeschi, se vogliono davvero capire dove va l’Europa.
Ha scritto Morya Longo sul Sole24Ore di giovedì 2 ottobre (p. 4):
In Germania i tassi dei titoli di stato sono molto bassi ormai da anni, anche per effetto della politica espansiva della Bce: dato che circa il 40% del debito pubblico tedesco è in mani locali, questo erode inevitabilmente i rendimenti di risparmiatori, assicurazioni e fondi pensione. L’unica loro salvezza, per mantenere un rendimento reale accettabile, è dunque la deflazione.
La situazione italiana è opposta: abbiamo un debito molto alto che è cresciuto rapidamente, e che continua a crescere, a differenza di quel che accade in Germania. L’unica nostra speranza per abbattere il peso del debito è la crescita e l’inflazione.
I debiti, prima o poi, si pagano sempre: il problema è chi li paga, quando li paga, e come li paga. Si può cercare di rimandarne il pagamento, facendo nuovi debiti per pagare gli interessi dei debiti vecchi, sperando di scaricarli sulle nuove generazioni. Si può ridurli con una tassa occulta come l’inflazione (come facevamo ai tempi di lira/marco), oppure con tasse “esplicite” (ma da noi ormai non ci sono più margini). Oppure si può, infine, ristrutturarli (che vuol dire non pagarne una parte, come in Grecia). Un paese con poco debito e “sano”, come la Germania, vede le cose ben in altro modo che un paese fossilizzato come l’Italia. In altre parole l’invecchiamento, processo comune ai due paesi, ha però effetti diversi nei due paesi.
Questa capacità di proiettarsi nei punti di vista altrui, in prospettive e mondi alternativi al nostro, purtroppo, è proprio la dote che si perde diventando vecchi. E quanto più si è vecchi, tanto più si ha bisogno di un consulente perché si tende a vedere il mondo con gli occhi del passato, con gli schemi già esperiti. E il grosso dei risparmi, in Italia, è concentrato purtroppo proprio nelle mani, anzi nelle menti di persone non più giovani. E qui dobbiamo affrontare il secondo problema, quello della perdita della plasticità del cervello.
E’ stato il trucco dell’infanzia prolungata a dotare l’uomo di un cervello potente e, soprattutto, plastico, cioè capace di cambiare funzionamento e struttura. Il periodo di grande plasticità del cervello umano dura parecchi anni, mentre quello degli altri animali si misura in settimane o mesi.
Se l’evoluzione ci ha donato lentezza nella crescita, la sopravvivenza in ambienti ostili ci ha costretto a decisioni “concentrate su un punto”, cioè focalizzate e rapide. E’ proprio questo tipo di decisioni intuitive il maggior ostacolo a renderci conto che, anche se vecchi, non abbiamo “imparato proprio tutto”.
In un esperimento pubblicato quest’anno da Alexander Todorov, si chiede a bambini di 5-6 anni d’esaminare coppie di facce e d’indicare quale, tra le due, è più bella, forte, capace di ispirare fiducia. Basta un colpo d’occhio per formulare il giudizio, che non differisce da quello degli adulti. Questo è uno dei tanti esempi di quel pensiero intuitivo che spesso ci inganna, perché le persone non sempre sono come sembrano. E tuttavia la rapidità del pensiero intuitivo, la forza delle prime impressioni, non deve fuorviare i consulenti quando sono di fronte a un nuovo cliente! I consulenti siano pazienti, aspettino a cumulare abbastanza informazioni! Un giudizio rapido sugli sconosciuti era spesso vitale per i nostri progenitori. Oggi è diventata una trappola che non ci permette di capire come stanno veramente le cose.
Possiamo accontentarci, di fronte a un problema, di ciò che sembra ovvio, ma spesso la riflessione è d’aiuto, ed è questa riflessione che è sempre più difficile, via via che il cervello diventa meno plastico. Provate con questo indovinello:
Se 5 macchine ci mettono 5 minuti per fare 5 apparecchi, quanto ci mettono 100 macchine per fare 100 apparecchi?
L’intuizione immediata è 100 minuti. E tuttavia, se riflettiamo, ci accorgiamo che la risposta corretta è 5 minuti.
L’evoluzione ci ha regalato la fiaba della prolungata infanzia. Purtroppo, la prolungata giovinezza resta un sogno. Negli ultimi secoli, gli sviluppi della medicina sono riusciti ad allungare la vita media del resto del nostro corpo, mentre i tempi di vita efficiente del cervello sono rimasti, in media, sempre gli stessi. La vecchiaia è un dolente ossimoro, una fisiologia patologica, nel senso di un progressivo e prevedibile decadimento della “sostanza bianca” del cervello, che si riduce di volume. E’ anche patologica perché, quando siamo anziani, la lentezza non è più una scelta, ma un vincolo, che pur cerchiamo di contrastare in modo efficace, per quanto il processo sia ineludibile.
Quale è la morale di questa storia – che ho raccontato in dettaglio sul Domenicale del Sole24Ore - in rapporto a quello che qui ci interessa? Il fatto è che quelli che a un giovane consulente sembrano “errori” incomprensibili fatti dalle persone meno giovani, quasi una loro cecità cognitiva o un abbaglio emotivo, non sono altro che perdita di plasticità, incapacità di capire le cose che cambiano. La persona non più giovane stenta a rendersi conto che, se si è sempre fatto così, e se le scelte del passato sono state coronate dal successo, non è detto che le cose andranno così anche in futuro. Ecco spiegata la vera, lontana, e purtroppo immodificabile, origine di quella che è la realtà sconsolante dell’attuale sbilanciata allocazione dei risparmi italiani. Risparmi così mal distribuiti, e purtroppo spesso gestiti autonomamente da persone anziane, che confidano troppo nella loro “esperienza passata”. Questo stato di cose deve indurre nel consulente giovane un elevato grado di pazienza, comprensione e atteggiamenti genuini da “formatore”, in luogo di forme di superiorità paternalistiche.

Nelle prossime lezioni cercherò di approfondire il tema delle relazioni con i nuovi clienti, le trappole delle prime impressioni, la capacità di capire bene chi abbiamo davanti, le doti della pazienza e della prudenza. Credo che il tema delle “prime impressioni” non sia solo un’affascinante questione psicologica, ma anche un punto rilevante su cui riflettere se si desidera stabilire relazioni soddisfacenti tra consulenti e nuovi clienti.

Nessun commento:

Posta un commento