Ho
terminato la lezione precedente parlando di quello che “passa” tra un cliente e
il suo consulente: passano informazioni su come gestire il portafoglio, ma
passano anche emozioni e affetti. Ed è naturale che sia così, perché il cliente
affida al consulente qualcosa di molto importante, spesso il risultato di
prolungati impegni e fatiche della sua vita. E allora vorrei soffermarmi, in
queste prossime lezioni, a scandagliare come nasce e si consolida
quell’emozione che, genericamente, nella vita quotidiana, siamo soliti chiamare
“fiducia”.
La fiducia è la cartina di
tornasole, il segno che rivela una delega sana da parte del cliente al suo
consulente. Vorrei però affrontare anche l’altra faccia della medaglia, e cioè
i pericoli di aspetti insani, talvolta quasi patologici, nei rapporti dove la
fiducia si sfalda. Più avanti, parlerò di emozioni “impure”, quali sono il
rimorso, il rimpianto, la colpevolizzazione impropria, l’attribuzione sbagliata
di responsabilità. Quando queste emozioni “impure” si sono instaurate, talvolta
si consolidano, e finisce che è tardi per tornare indietro. E allora dobbiamo
rintracciarne le cause. E le cause – scusate il bisticcio di parole – stanno
proprio nei nostri modi abituali di individuare le cause di qualcosa.
Nella vita tra le persone, tuttavia,
non è facile individuare le cause di quel che succede nei loro rapporti. La
vita non è un laboratorio scientifico.
La vita è fatta di storie, di
narrazioni, dove capitano molte cose, vicende che s’intrecciano e si
accavallano. Spesso c’è più di una causa. Si tratta allora di individuare
quella cruciale. Quella causa cioè che, sia il consulente sia il cliente,
giudicano importante, nel bene e nel male. Quale fatto ha determinato il “punto
di svolta”, il momento in cui si è chiusa una strada, e non si poteva più
tornare indietro? Quando non si è soli, e c’è un rapporto tra due persone,
soprattutto se è durato un certo tempo, non è facile accertare chi è
responsabile di che cosa. La responsabilità è condivisa, ed è distribuita in
modi diversi nel tempo. Quando un cliente lascia un consulente, cosa che capita
raramente, è su questo terreno che qualcosa non ha funzionato.
Una grande scrittrice di racconti,
che ha vinto quest’anno il Nobel della letteratura, Alice Munro, ha descritto
questi meccanismi in molti racconti. Mi sembra paradigmatico Amundsen, una
storia in cui due persone si perdono di vista, e poi, anni dopo, per caso si
sfiorano in una grande città, ma decidono di “non vedersi” e di continuare per
la loro strada:
Sembrava ancora del tutto possibile
che ci facessimo largo in mezzo alla folla per ritrovarci insieme, l’attimo
dopo. E altrettanto certo che avremmo invece proseguito per la nostra strada (Uscirne vivi, Einaudi, 2014, p. 62).
Alice Munro descrive l’ambiguità del
momento in cui avviene un punto di svolta. Nella vita delle persone, e delle
società, ci sono dei punti di svolta, di non ritorno. Sul momento, non sempre
ci accorgiamo di valicare un confine. Lo capiamo solo quando ci guardiamo
indietro.
C’è un’analogia tra i punti di
svolta nella vita delle persone, quelli descritti da Alice Munro, e i punti di
svolta sui mercati.
Oggi disponiamo del motore di
ricerca Google Trends che ci dice quante volte una parola o un concetto viene
cercato dalle persone che accedono alla rete. Se andate a controllare la
ricerca di “bolla finanziaria” (financial bubble) vedrete che, a fine luglio
2014, gli accessi alla rete non hanno raggiunto i picchi di qualche anno fa, ma
sono in ascesa. Se poi controllate su Google Books Ngram Viewer, che vi dice
quante volte un termine è citato in tutti i libri scannerizzati da Google dai
primi anni dell’Ottocento, vedete che il termine “financial bubble” ha avuto un
picco negli anni Trenta del secolo scorso, e poi si è seduto fino agli anni
Ottanta. Da allora è iniziata una salita che, di questi tempi, ha raggiunto un
picco. Con le parole di un recente articolo di Robert Shiller, tradotto da Il
Sole24Ore il 18.07.14 (p. 17):
La grande preoccupazione degli esperti (nei confronti
della presenza di una bolla) è palpabile e legittima perché la convinzione che
i mercati siano sempre efficienti può sussistere solo quando c’è qualcuno che
non ci crede del tutto e pensa di poter approfittare del mercato al momento
giusto. Al tempo stesso la crescente preoccupazione è insidiosa perché non
sappiamo se condurrà a un’iper-reazione al ribasso… Anche i giornali sono
allarmisti. L’8 luglio la prima pagina del New York Times apriva con il
seguente iperbolico titolo: “E’ un boom o una bolla che investe ogni cosa …”
Ora è ovvio che se i mercati fossero
sempre efficienti, come ci spiegano in linea teorica molti economisti (in base
all’assunto che i prezzi incorporano tutte le informazioni disponibili in un
dato momento), non ci sarebbero bolle. E le bolle invece ci sono. Meno ovvia è
invece un’altra convinzione, di cui parla Shiller. La convinzione cioè che i
mercati siano sempre efficienti. Tale convinzione può sussistere solo nella
misura in cui c’è qualcuno che non ci crede del tutto, e pensa di
approfittarsene. E’ qui l’origine delle bolle, del contagio innescato da chi
non crede che siano efficienti! Spiegatelo ai vostri clienti quando pensano che
voi siate inutili! Quelli che pensano di poter fare tutto bene da soli! Il
risultato è la distribuzione complessiva del risparmio degli italiani, di cui
parlerò nella lezione di fine agosto.
In teoria si potrebbe supporre di
confrontare il rendimento dei risparmi affidati a esperti con quello dei
risparmi gestiti soltanto dai proprietari. Questo confronto tuttavia non è
molto sensato, come ha osservato, tra gli altri, Luigi Guiso nella sua rubrica
su Plus, il supplemento del Sole24Ore del sabato:
Raffrontare il rendimento degli
investimenti di chi usa la consulenza con quello di chi non la usa non ha molto
senso … Chi ricorre alla consulenza è meno capace di chi non la usa … inoltre
ci si può affidare perché sappiamo (o pensiamo) «di essere in buone mani».
Come ho ripetuto anche recentemente
sulla rivista “Sistemi Intelligenti”, in teoria non bisognerebbe conoscere
molto del funzionamento della propria testa per non affidarsi a un esperto. Basterebbe
padroneggiare alcuni principi di base:
·
la differenza
tra rischio e incertezza, e cioè l’impossibilità di prevenire, sulla base dei
rischi del passato, l’incertezza imprevedibile del futuro (da cui le bolle);
·
la nozione di
diversificazione, e cioè la distribuzione dei nostri risparmi in più forme
possibili d’investimenti de-correlati, strategia efficace anche in altre scelte
di vita;
·
la differenza
tra paura e pericolo, in forza della quale proviamo paura per le cose paurose e
non per quelle pericolose (delle bolle prendiamo paura dopo, quando è tardi! Ecco un altro
motivo per rivolgersi a un consulente!);
·
la regressione
verso la media, e cioè la lenta tendenza dei vari parametri, utilizzati per
misurare l’andamento dei risparmi, a ritornare verso i valori secolari, dopo
aver raggiunto un picco e un punto di svolta.
Un conto però è conoscere questi
principi, altro conto saperli praticare sistematicamente. Inoltre questi
principi non prendono in considerazione le forti pressioni psicologiche e le
emozioni indotte nei momenti di punti di svolta sui mercati. Anche nella vita i
punti di svolta sono molto importanti, ma non sempre ce ne accorgiamo quando
capitano.
Il mio punto di svolta personale fu
il 1972. Nacque mio figlio, morì mio suocero, tornai a Venezia. Forse meglio
sarebbe stato continuare a lavorare Londra: “Se solo non fossi piaciuto a
Kanizsa, il capo dell’istituto universitario di Trieste, grande accademico ….”.
La mia vita sembrava muoversi nel
bel mezzo di scenari del tutto fortuiti. “Se solo non avessi letto gli
esperimenti di psicologia di Peter Wason nel 1968 … Se solo fossi rimasto a
Londra …”. Tra tante, c’era stata una “vera” causa, quella che aveva
determinato il punto di svolta? Molte volte, nei decenni successivi, mi
lambiccavo con questo pensiero.
A forza di rimuginare, mi trovai a
leggere un passo di Ernst Bloch, nella sua fantastica Apologia della Storia,
tradotta da Einaudi:
Immaginiamo un uomo che cammini su un sentiero di
montagna. Fa un passo falso e cade in un precipizio. Perché quell’incidente
accadesse, ci volle il concorso di molti elementi determinanti. Quali, tra gli
altri: la legge di gravità, la presenza di un rilievo, risultante a sua volta
da lunghe vicende geologiche, il tracciato di un sentiero destinato, per
esempio, a collegare un villaggio ai suoi pascoli estivi. Sarà dunque
perfettamente legittimo dire che, se le leggi della meccanica celeste fossero
differenti, se l’evoluzione della terra fosse stata un’altra, se l’economia
alpina non si fondasse sulla transumanza stagionale, la caduta non sarebbe
avvenuta. Domandiamo però quale fu la causa? Ciascuno risponderà: il passo
falso … Fra tutti gli antecedenti, ecco che si distingue per parecchi caratteri
che colpiscono: è stato l’ultimo a verificarsi, il più eccezionale nell’ordine
generale del mondo … (1969, p. 161, p. 108 nella versione originale, in rete).
Senza dubbio quasi tutti rispondono
così. Io però mi domandavo: la causa della caduta nel precipizio andava
individuata nel passo falso perché quello era stato il fatto più eccezionale
(cioè improbabile)? Oppure perché era quello che si era verificato per ultimo
nella lunga catena delle pre-condizioni: forza di gravità, presenza del
rilievo, transumanza, tracciato del sentiero? A me non sembrava che le cose
fossero andate proprio così, almeno nella mia vita. Era l’improbabilità, oppure
il fatto che fosse stato l’ultimo evento a verificarsi, la caratteristica che
ci fa dire che il passo falso è la causa dell’incidente? Così, a naso, mi
sembrava che le cause di quello che era successo fossero le scelte che avrei
potuto fare in modo diverso, quelle cioè influenzate dalle mie decisioni
personali.
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