giovedì 11 settembre 2014

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 95 – Che cosa passa tra un cliente e il suo consulente?



Ho terminato la lezione precedente parlando di quello che “passa” tra un cliente e il suo consulente: passano informazioni su come gestire il portafoglio, ma passano anche emozioni e affetti. Ed è naturale che sia così, perché il cliente affida al consulente qualcosa di molto importante, spesso il risultato di prolungati impegni e fatiche della sua vita. E allora vorrei soffermarmi, in queste prossime lezioni, a scandagliare come nasce e si consolida quell’emozione che, genericamente, nella vita quotidiana, siamo soliti chiamare “fiducia”.

La fiducia è la cartina di tornasole, il segno che rivela una delega sana da parte del cliente al suo consulente. Vorrei però affrontare anche l’altra faccia della medaglia, e cioè i pericoli di aspetti insani, talvolta quasi patologici, nei rapporti dove la fiducia si sfalda. Più avanti, parlerò di emozioni “impure”, quali sono il rimorso, il rimpianto, la colpevolizzazione impropria, l’attribuzione sbagliata di responsabilità. Quando queste emozioni “impure” si sono instaurate, talvolta si consolidano, e finisce che è tardi per tornare indietro. E allora dobbiamo rintracciarne le cause. E le cause – scusate il bisticcio di parole – stanno proprio nei nostri modi abituali di individuare le cause di qualcosa.

Nella vita tra le persone, tuttavia, non è facile individuare le cause di quel che succede nei loro rapporti. La vita non è un laboratorio scientifico.

La vita è fatta di storie, di narrazioni, dove capitano molte cose, vicende che s’intrecciano e si accavallano. Spesso c’è più di una causa. Si tratta allora di individuare quella cruciale. Quella causa cioè che, sia il consulente sia il cliente, giudicano importante, nel bene e nel male. Quale fatto ha determinato il “punto di svolta”, il momento in cui si è chiusa una strada, e non si poteva più tornare indietro? Quando non si è soli, e c’è un rapporto tra due persone, soprattutto se è durato un certo tempo, non è facile accertare chi è responsabile di che cosa. La responsabilità è condivisa, ed è distribuita in modi diversi nel tempo. Quando un cliente lascia un consulente, cosa che capita raramente, è su questo terreno che qualcosa non ha funzionato.

Una grande scrittrice di racconti, che ha vinto quest’anno il Nobel della letteratura, Alice Munro, ha descritto questi meccanismi in molti racconti. Mi sembra paradigmatico Amundsen, una storia in cui due persone si perdono di vista, e poi, anni dopo, per caso si sfiorano in una grande città, ma decidono di “non vedersi” e di continuare per la loro strada:

Sembrava ancora del tutto possibile che ci facessimo largo in mezzo alla folla per ritrovarci insieme, l’attimo dopo. E altrettanto certo che avremmo invece proseguito per la nostra strada (Uscirne vivi, Einaudi, 2014, p. 62).

Alice Munro descrive l’ambiguità del momento in cui avviene un punto di svolta. Nella vita delle persone, e delle società, ci sono dei punti di svolta, di non ritorno. Sul momento, non sempre ci accorgiamo di valicare un confine. Lo capiamo solo quando ci guardiamo indietro.

C’è un’analogia tra i punti di svolta nella vita delle persone, quelli descritti da Alice Munro, e i punti di svolta sui mercati.

Oggi disponiamo del motore di ricerca Google Trends che ci dice quante volte una parola o un concetto viene cercato dalle persone che accedono alla rete. Se andate a controllare la ricerca di “bolla finanziaria” (financial bubble) vedrete che, a fine luglio 2014, gli accessi alla rete non hanno raggiunto i picchi di qualche anno fa, ma sono in ascesa. Se poi controllate su Google Books Ngram Viewer, che vi dice quante volte un termine è citato in tutti i libri scannerizzati da Google dai primi anni dell’Ottocento, vedete che il termine “financial bubble” ha avuto un picco negli anni Trenta del secolo scorso, e poi si è seduto fino agli anni Ottanta. Da allora è iniziata una salita che, di questi tempi, ha raggiunto un picco. Con le parole di un recente articolo di Robert Shiller, tradotto da Il Sole24Ore il 18.07.14 (p. 17):

La grande preoccupazione degli esperti (nei confronti della presenza di una bolla) è palpabile e legittima perché la convinzione che i mercati siano sempre efficienti può sussistere solo quando c’è qualcuno che non ci crede del tutto e pensa di poter approfittare del mercato al momento giusto. Al tempo stesso la crescente preoccupazione è insidiosa perché non sappiamo se condurrà a un’iper-reazione al ribasso… Anche i giornali sono allarmisti. L’8 luglio la prima pagina del New York Times apriva con il seguente iperbolico titolo: “E’ un boom o una bolla che investe ogni cosa …”

Ora è ovvio che se i mercati fossero sempre efficienti, come ci spiegano in linea teorica molti economisti (in base all’assunto che i prezzi incorporano tutte le informazioni disponibili in un dato momento), non ci sarebbero bolle. E le bolle invece ci sono. Meno ovvia è invece un’altra convinzione, di cui parla Shiller. La convinzione cioè che i mercati siano sempre efficienti. Tale convinzione può sussistere solo nella misura in cui c’è qualcuno che non ci crede del tutto, e pensa di approfittarsene. E’ qui l’origine delle bolle, del contagio innescato da chi non crede che siano efficienti! Spiegatelo ai vostri clienti quando pensano che voi siate inutili! Quelli che pensano di poter fare tutto bene da soli! Il risultato è la distribuzione complessiva del risparmio degli italiani, di cui parlerò nella lezione di fine agosto.

In teoria si potrebbe supporre di confrontare il rendimento dei risparmi affidati a esperti con quello dei risparmi gestiti soltanto dai proprietari. Questo confronto tuttavia non è molto sensato, come ha osservato, tra gli altri, Luigi Guiso nella sua rubrica su Plus, il supplemento del Sole24Ore del sabato:

Raffrontare il rendimento degli investimenti di chi usa la consulenza con quello di chi non la usa non ha molto senso … Chi ricorre alla consulenza è meno capace di chi non la usa … inoltre ci si può affidare perché sappiamo (o pensiamo) «di essere in buone mani».

Come ho ripetuto anche recentemente sulla rivista “Sistemi Intelligenti”, in teoria non bisognerebbe conoscere molto del funzionamento della propria testa per non affidarsi a un esperto. Basterebbe padroneggiare alcuni principi di base:

·         la differenza tra rischio e incertezza, e cioè l’impossibilità di prevenire, sulla base dei rischi del passato, l’incertezza imprevedibile del futuro (da cui le bolle);

·         la nozione di diversificazione, e cioè la distribuzione dei nostri risparmi in più forme possibili d’investimenti de-correlati, strategia efficace anche in altre scelte di vita;

·         la differenza tra paura e pericolo, in forza della quale proviamo paura per le cose paurose e non per quelle pericolose (delle bolle prendiamo paura dopo, quando è tardi! Ecco un altro motivo per rivolgersi a un consulente!);

·         la regressione verso la media, e cioè la lenta tendenza dei vari parametri, utilizzati per misurare l’andamento dei risparmi, a ritornare verso i valori secolari, dopo aver raggiunto un picco e un punto di svolta.

Un conto però è conoscere questi principi, altro conto saperli praticare sistematicamente. Inoltre questi principi non prendono in considerazione le forti pressioni psicologiche e le emozioni indotte nei momenti di punti di svolta sui mercati. Anche nella vita i punti di svolta sono molto importanti, ma non sempre ce ne accorgiamo quando capitano.

Il mio punto di svolta personale fu il 1972. Nacque mio figlio, morì mio suocero, tornai a Venezia. Forse meglio sarebbe stato continuare a lavorare Londra: “Se solo non fossi piaciuto a Kanizsa, il capo dell’istituto universitario di Trieste, grande accademico ….”.

La mia vita sembrava muoversi nel bel mezzo di scenari del tutto fortuiti. “Se solo non avessi letto gli esperimenti di psicologia di Peter Wason nel 1968 … Se solo fossi rimasto a Londra …”. Tra tante, c’era stata una “vera” causa, quella che aveva determinato il punto di svolta? Molte volte, nei decenni successivi, mi lambiccavo con questo pensiero.

A forza di rimuginare, mi trovai a leggere un passo di Ernst Bloch, nella sua fantastica Apologia della Storia, tradotta da Einaudi:

Immaginiamo un uomo che cammini su un sentiero di montagna. Fa un passo falso e cade in un precipizio. Perché quell’incidente accadesse, ci volle il concorso di molti elementi determinanti. Quali, tra gli altri: la legge di gravità, la presenza di un rilievo, risultante a sua volta da lunghe vicende geologiche, il tracciato di un sentiero destinato, per esempio, a collegare un villaggio ai suoi pascoli estivi. Sarà dunque perfettamente legittimo dire che, se le leggi della meccanica celeste fossero differenti, se l’evoluzione della terra fosse stata un’altra, se l’economia alpina non si fondasse sulla transumanza stagionale, la caduta non sarebbe avvenuta. Domandiamo però quale fu la causa? Ciascuno risponderà: il passo falso … Fra tutti gli antecedenti, ecco che si distingue per parecchi caratteri che colpiscono: è stato l’ultimo a verificarsi, il più eccezionale nell’ordine generale del mondo … (1969, p. 161, p. 108 nella versione originale, in rete).

Senza dubbio quasi tutti rispondono così. Io però mi domandavo: la causa della caduta nel precipizio andava individuata nel passo falso perché quello era stato il fatto più eccezionale (cioè improbabile)? Oppure perché era quello che si era verificato per ultimo nella lunga catena delle pre-condizioni: forza di gravità, presenza del rilievo, transumanza, tracciato del sentiero? A me non sembrava che le cose fossero andate proprio così, almeno nella mia vita. Era l’improbabilità, oppure il fatto che fosse stato l’ultimo evento a verificarsi, la caratteristica che ci fa dire che il passo falso è la causa dell’incidente? Così, a naso, mi sembrava che le cause di quello che era successo fossero le scelte che avrei potuto fare in modo diverso, quelle cioè influenzate dalle mie decisioni personali.

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