mercoledì 17 settembre 2014

JOHN MAYNARD, QUEL DIAVOLO DI UN INVESTITORE

John Maynard Keynes

Nella lezione del Prof. Legrenzi  viene citato l’articolo di Carlo Benetti su quel grande economista che fu John Maynard Keynes. Dato che per molti lettori sarebbe piuttosto difficile trovare questo articolo provvedo a pubblicarlo affinché sia meglio interpretato il pensiero del Prof. Legrenzi.


“John Maynard Keynes è stato il più grande economista del Novecento ma anche un innovatore nello stile di gestione, anticipando lo stile “value” e intuendo l’importanza della finanza comportamentale. Soprattutto, è stato un investitore capace di imparare dai propri errori. Negli interstizi della Grande Storia si nascondono sempre storie minori, poco note, poco notate, eppure singolari, utili alla comprensione di altre storie ed altre narrazioni.

Se si pensa all’origine degli hedge fund viene in mente (e se non viene in mente c’è sempre l’”aiutino” di Google) il fondo istituito nel 1949 dal giornalista economico Alfred Jones che con una dotazione iniziale di 100.000 dollari volle sperimentare la validità della sua intuizione: detenere titoli azionari nel lungo periodo minimizzando il rischio con vendite allo scoperto di altri titoli a fini di copertura. Alfred Jones fu il primo ad adottare la tecnica “long/short”, oggi diventata un classico. Ma non fu sua l’intuizione del primo fondo hedge! L’intuizione del primo fondo speculativo è una storia minore che si nasconde nelle pieghe della Grande Storia, negli anni successivi alla prima Guerra Mondiale, i cui primi tiri di cannone e fucile sul fronte occidentale vennero esplosi proprio cento anni fa esatti, il 4 agosto 1914, quando l’esercito tedesco violò la frontiera del Belgio.

Fu Sir John Maynard Keynes ad avere l’intuizione che la volatilità sulle valute nei caotici anni del primo dopoguerra offriva l’occasione per guadagnare denaro facilmente e rapidamente.

Il ragionamento era semplice, fino al 1914 i rapporti di cambio delle valute internazionali erano fissi, regolati in un sistema detto “Gold Standard” che assicurava la convertibilità delle banconote in oro. Sospeso durante il conflitto, si rivelò complicato ripristinare il medesimo sistema nel 1918 come se nulla fosse accaduto. Keynes approfittò dunque della elevata volatilità delle divise e di quella che definiva la sua “conoscenza superiore” delle regole del gioco per fare soldi in fretta. Il primo pool di investitori, come diremmo oggi, era composto da familiari e dagli amici del circolo Bloomsbury. Keynes andò “corto” di marco tedesco, franco francese e lira italiana, valute che riteneva sarebbero state indebolite dall’inflazione post-bellica, e costruì posizioni “lunghe” sulle valute che riteneva più forti, sterlina e dollaro.

Quella di Keynes non era una gestione patrimoniale, il “patto di sindacato” stretto con gli amici non era finalizzato alla conservazione e difesa dei loro risparmi, era attività speculativa bella e buona. Come spesso accade, le cose andarono molto bene all’inizio, in pochi mesi il fondo crebbe di circa 80.000 dollari, poco meno di un milione di dollari di oggi. Ma nell’aprile del 1920 accadde un fatto inatteso, la Germania riguadagnò la fiducia dei mercati, il marco e altre divise deboli si apprezzarono rapidamente e in poche settimane si dissolsero performance e capitale.

Deluso ma soprattutto imbarazzato per aver fatto perdere denaro agli amici, Keynes tornò ad operare sui mercati mosso dalla volontà di risarcirli per le perdite di cui si sentiva responsabile.
 
Questa volta lasciò perdere le valute e preferì dedicarsi alle commodity, cercando nello studio delle serie storiche dei prezzi correlazioni e sentieri di prevedibilità. Tra il 1921 e il 1927 Keynes ebbe anche la responsabilità di un fondo costituito con i colleghi del Ministero del Tesoro che investiva in materie prime, valute e titoli azionari. Dal 1923 al 1927 il risultato medio annuo di questo “fondo comune chiuso” fu attorno al 10%. Non andò altrettanto bene al fondo hedge “virtuale” costituito con gli amici di Bloomsbury: alla fine del decennio le performance peggiorarono, il tonfo di Wall Street e la Grande Depressione fecero il resto per consumare ulteriormente il patrimonio collettivo.
Ma Keynes sapeva imparare dai propri errori: se nemmeno lo studio accurato di centinaia di pagine di prezzi, valori e serie storiche era  sufficiente a tracciare modelli previsivi, l’economista cominciò ad interrogarsi su quali fossero le vere, invisibili leve che muovevano il mercato. La risposta è nel capitolo dodicesimo della Teoria Generale, dove Keynes parla degli “slanci vitali”, gli “animal spirits” motore invisibile del progresso economico.

Riconoscere che gli “spiriti animali” non rispondono ai canoni delle leggi economiche e della razionalità e non sono per nulla prevedibili, significò per Keynes mutare radicalmente il proprio approccio agli investimenti. Anziché tentare di anticipare i movimenti del mercato sulla scorta delle sue “conoscenze superiori”, cominciò a concentrarsi sul valore dei titoli azionari nel lungo periodo adottando quello che oggi definiremmo un approccio “value”, individuava cioè titoli il cui prezzo appariva a sconto rispetto al valore intrinseco dei fondamentali.

Insomma Keynes, anche se non riuscì ad evitare disastrosi “sell-off”, è da considerare un investitore sapiente perché si adeguò ai cambiamenti del mercato cambiando a sua volta il modo di pensare. Considerando il periodo drammatico in cui svolse la sua attività di investitore i risultati complessivi sono ragguardevoli.

John Wasik, che ha dedicato un libro al lato meno conosciuto di Keynes, quello dell’investitore (Keynes’s Way to Wealth: Timeless Investment Lessons from The Great Economist, 2013), riporta che nel 1931, uno dei peggiori anni nella storia della borsa americana, il patrimonio di Keynes perse il 25% a fronte di un crollo del listino di oltre il 52%. Nel 1937, altro anno difficile per le azioni (la borsa americana perse quasi il 33%) Keynes consegnò un risultato positivo del +8,5% e riuscì a far meglio della borsa inglese in 12 anni su 18.

L’esperienza di Keynes nel gestire il patrimonio del King’s College resta di eccezionale attualità a distanza di tanti anni, Wasik la definisce una “lezione senza tempo” utile ancora oggi all’investitore individuale e all’operatore professionale. Keynes commetteva errori ma i mercati sono imprevedibili, non è bravo colui che batte sempre il mercato (perché non esiste), ma colui che dagli errori trae insegnamento. Sui primi fallimenti Keynes seppe modificare il proprio approccio, da strategie basate sulle previsioni macro economiche che si dimostrarono perdenti, passò a strategie fondate sulla comprensione del valore delle società. Fu il primo investitore “value” e “bottom-up” perché comprese il significato della valutazione dei fondamentali e la paziente attesa dell’assorbimento delle sottovalutazioni nei prezzi.


Keynes fu investitore moderno, un precursore, anche perché riconobbe l’importanza degli “animal spirits” che scaturiscono dall’emotività, che sfuggono alla razionalità matematica e dunque imprevedibili. In questa intuizione c’è il primo embrione della moderna disciplina della finanza comportamentale. “Non c’è nulla di altrettanto disastroso di scelte di investimento razionali in un mondo irrazionale”, è un monito di Keynes valido negli anni ’30 come anche in questo nostro tempo bizzarro.”

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