giovedì 11 settembre 2014

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 94 – Il legame fra il vostro cliente e voi; la relazione “ideale”


Nelle lezioni precedenti vi ho parlato delle difficoltà che possono sorgere nel costruire una buona relazione con il cliente. Erano difficoltà che avevano la loro origine nei modi di funzionare della mente dei vostri clienti.

Ora vi voglio parlare di un altro aspetto dello stesso problema, e cioè del lato della relazione che parte da voi. Cercherò di spiegare perché voi dovreste provare a essere un prolungamento della mente del vostro cliente non solo in termini “tecnologici”. Siete cioè degli esperti della gestione dei suoi risparmi, e dovete essere reperibili, come capita con le protesi. Pensate ad esempio al vostro smartphone, che vive con voi. Ma dovete cercare di essere di più, essere cioè dei “prolungamenti affettivi”. Il cliente deve potersi rispecchiare in voi, quasi foste delle protesi affettive. Mi rendo conto che queste prime dieci righe non sono molto chiare, e vi ringrazio se siete arrivati a leggere fin qui. Farò uno sforzo per chiarirmi e, come spesso capita anche a voi, farò degli esempi. Sceglierò come esempi dei film che molti di voi avranno forse visto (ma molti no, e quindi li riassumo!).
Con questo sforzo narrativo vorrei celebrare con voi il mio 72° compleanno (il 27 luglio).
Parliamo allora di questi tre film, che utilizzerò per spiegare che cos’è una protesi tecnologica e una protesi affettiva, i due paradigmi del perfetto “consulente”.
Il film Cast Away di Robert Zemeckis (2000) narra la storia di Chuck Noland, novello Robinson Crusoe, il protagonista del romanzo scritto da Daniel Defoe (1719). Defoe s’ispirava a un fatto di cronaca, e cioè l’abbandono di un naufrago inglese sull'isola Juan Fernandez.
Il film Cast Away ha vinto due premi: uno per il miglior protagonista, dato all’attore Tom Hanks, e l’altro per il miglior oggetto inanimato, dato a Wilson. Wilson è un palla da basket, per l’appunto di marca “Wilson”. Tom Hanks la trova sulla spiaggia tra i detriti, dopo che il suo aereo si è inabissato. Con la mano insanguinata, Hanks disegna sulla palla i tratti di un viso e la trasforma, da oggetto in-animato, a “compagno” della sua vita solitaria.
Sono passati quasi tre secoli dal romanzo di Defoe. In quella storia il protagonista si limita a sfidare la natura. Chuck Noland, invece, per affrontare l’ambiente ostile si crea un confidente, animando (in senso letterale) una semplice palla.
Non mi soffermo su quello che in realtà è successo sull’isola (oggi meta turistica) dell’arcipelago delle Figi, dove è stato girato Cast Away. Partiamo invece dalla situazione dello sceneggiatore del film, recatosi su un’isoletta al largo delle coste messicane, da sempre completamente deserta.
Lo sceneggiatore arriva, e vuole provare su se stesso gli stati d’animo che avrebbe dovuto attribuire a Chuck Noland e a Wilson. Che cosa trova? Le spiagge, le rocce, tutta l’isoletta solitaria è completamente disabitata, un mondo inanimato. Per descriverlo basta un geologo. Pezzi di realtà che, in teoria, si possono ridurre alla composizione dei materiali di cui è fatta l’isola. Altro non c’è. Appena arriva lo sceneggiatore, tutto cambia.
Prima, il frangersi delle onde sulla spiaggia era puro rumore. Poi i rumori incontrano l’apparato acustico umano e diventano suoni. Prima c’era il mondo tout court, né interno né esterno, il nudo mondo descrivibile dai fisici. Poi arriva l’uomo e il mondo diventa mondo esterno incontrato. E’ esterno perché l’uomo ha un suo mondo mentale interno, è incontrato perché le sue caratteristiche, come i rumori che diventano suoni, sono definite dal sopraggiungere dell’uomo. Se sull’isola fosse arrivato un cane, il mondo incontrato sarebbe stato diverso. Così voi, arrivando, cambierete il mondo dei vostri clienti: lo arricchirete.
Il mondo esterno incontrato è fatto di molte cose che c’erano prima della nostra nascita e tali permarranno dopo la nostra morte. Ma è fatto anche di cose che nascono e vivono con noi, come Wilson. Grazie all’incontro con Chuck Noland, la palla, in origine un oggetto materiale (quello dei fisici, fatto di tante particelle sub-atomiche), diventa un oggetto d’investimento affettivo. Non solo Tom Hanks quell’anno si prende l’Oscar. La palla del film vince il premio per il miglior oggetto inanimato proprio grazie ai modi con cui lo sceneggiatore è riuscito ad animarla.
Vi invito a fare un percorso analogo: da semplice consulente “operativo”, tecnologico, a protesi “affettiva”, compagno che può dare conforto.
Come fa lo sceneggiatore a rendere plausibile la trasformazione di Wilson da in-animato a animato? Molte delle condizioni perché ciò avvenga sono analoghe a quelle per cui i bambini si creano dei compagni immaginari. I bambini estendono il proprio io a una sorta di protesi affettiva che s’incarna in giocattoli, bambole, o animali di pezza. Altre volte abbiamo a che fare non con protesi affettive, ma con immaginari “angeli custodi”. Wilson è insieme un oggetto che si anima e un angelo custode.
Per innescare questa trasformazione è sufficiente la decisione di Chuck Noland? Qualsiasi oggetto sarebbe andato bene? No. Sarebbe stato difficile prendere un sasso e farlo diventare un compagno. Un sasso non avrebbe “invitato” questa trasformazione, avrebbe resistito restando duro, freddo, inanimato, anonimo. Conclusione: le nostre capacità d’immaginazione hanno dei limiti ben precisi. E’ plausibile trasformare una palla, ma non un sasso, in un amico immaginario. E tuttavia proviamo a domandarci quali siano le condizioni minime perché qualcosa sia animabile, perché possa esser visto come se fosse un’entità autonoma dotata di sentimenti e emozioni.
Togliamo l’isola, facciamo a meno dell’ambiente ostile, eliminiamo anche la solitudine di Chuck e il disegno del viso che personalizza una palla di marca Wilson. Che cosa resta? Proviamo a ridurre il tutto ai contorni di oggetti geometrici che si muovono su uno schermo. E’ quello che hanno fatto Fritz Heider e Marianne Simmel. Nel 1944 hanno costruito un breve filmato della durata di un minuto e 32 secondi (facile da trovare in rete digitando su Google: “Heider Simmel demonstration”). Di questo film vi ho già parlato nelle lezioni precedenti. Tutte le persone descrivono quel che succede sullo schermo all’incirca come fa Daniel Kahneman:
Gli spettatori vedono un triangolo grande, un triangolo piccolo, e un cerchio girare intorno a una forma che sembra l’abbozzo schematico di una casa con la porta aperta. Hanno l’impressione che un triangolo grande e aggressivo intimidisca un triangolo più piccolo e terrorizzi un cerchio, e che il cerchio e il triangolino uniscano le forze per sconfiggere il prepotente; vedono anche molte interazioni intorno a una porta e poi un finale esplosivo. La percezione dell’intenzione e dell’emozione è molto forte; solo gli individui affetti da autismo non la provano (2012, p. 86).
Il finale esplosivo, per chi non avesse guardato nel frattempo il film, avviene quando il triangolo cattivo riesce a frantumare il rettangolo che, a quel punto, si è trasformato in una prigione dove lui non vuole essere rinchiuso.
Kahneman ci fa sorgere il dubbio che sarà sempre “conveniente”, in certe condizioni, attribuire menti a oggetti inanimati. Allo scopo di rendere più “economica” la rappresentazione del “mondo esterno incontrato”, invece di togliere – come per solito si fa quando si “economizza” - dobbiamo aggiungere qualcosa. Dobbiamo cioè arricchire le ombre che si muovono sullo schermo d’intenzioni, trasformandole in protagoniste di una storia ricca di emozioni.
Ecco questo vale anche per voi: a voi, come “gestori” è opportuno sovrapporre alla funzione di “consulenti esperti” un nuovo ruolo di “angeli custodi”.
Un fenomeno curioso, interessante per un consulente: appena possibile, appiccichiamo a ogni oggetto, a ogni invenzione grafica presente nei fumetti, nei cartoni animati e nella pubblicità, emozioni e sentimenti. Non solo quando abbiamo a che fare con esseri viventi, animali e piante. Capita anche oggetti astratti, immateriali, che possono gioire e soffrire, pur essendo a noi sconosciuti e pur muovendosi in scenari ignoti.
Possiamo persino animare una voce artificiale se, dietro a questa voce, immaginiamo che ci sia una mente. Così avviene nel film Her (Lei) di Spike Jonze, dove il protagonista s’innamora di un sistema operativo che si presenta nelle vesti di un’affascinante assistente (2013, premio Oscar per la sceneggiatura). Animare la voce seducente di un sistema operativo (nel senso letterale di dare un’anima) garantisce la certezza che Lei è nostra, e che ci amerà per sempre. Purtroppo poi Chuck scopre che Lei intrattiene altri 641 partner, e la gelosia lo divorerà. Lei gli dice di non preoccuparsi: il suo amore non è influenzato dal numero di persone a cui è diretto. Dichiarazione molto plausibile nel caso di un sistema operativo, ma che svela l’auto-inganno di Chuck. Egli preferisce pensarla come una donna di cui è geloso, piuttosto che come un sistema operativo che può tener “compagnie in parallelo”. Il dramma non è l’amore in parallelo, come nel classico triangolo à la Jules et Jim di François Truffaut (1962), ma la possibilità tecnologica di Her di farlo con un numero quasi infinito e incontrollabile di partner sconosciuti (gli uni agli altri), sempre facendoli innamorare.
Dove sta la differenza tra Chuck Noland e Robinson Crusoe?
Robinson è un naufrago “illuminista”: non ha bisogno di “esternalizzare” la sua mente, gli basta cercare di dominare il mondo esterno. Noland invece è un uomo dei nostri tempi, e si costruisce un compagno immaginario. Il protagonista di Her, infine, è l’uomo del futuro. La sua solitudine non è dovuta a qualcosa che avviene nel mondo esterno incontrato, ma dentro di lui, a causa della vita solitaria dopo che la sua donna l’ha abbandonato. A Robinson Crusoe basta la forza della sua mente, Chuck Noland ha bisogno di una palla animata, il protagonista di Her di un raffinato sistema operativo.
Queste tre storie ci permettono di riprendere la questione sollevata all’inizio. Quanti volti ha la vostra funzione? Potrebbe sembrare riduttivo paragonare un consulente a uno smartphone. Ma non è riduttivo se pensate, nell’ottica del film Her, a tutte le sue funzione di protesi. Già oggi, uno smartphone è uno strumento che potenzia funzioni naturali. Come telefono, ci fa parlare con una persona con cui potremmo conversare se fosse vicina a noi. Come macchina fotografica ci permette di fissare un’immagine che potremmo dimenticare. Ma come computer ci fa scoprire conoscenze e altre mirabilie. Mi sembra quindi che il confine tra relazioni basate sull’expertise e relazioni basate su un transfer affettivo (cfr. lezione precedente) si stia assottigliando e spostando. Naturalmente non è bene instaurare una relazione semplicemente basata su “informazioni + affetti”. La relazione va modulata caso per caso: anche quando il sistema operativo di Her si attiva, cerca di farlo in modo “sartoriale”, informandosi sulle esigenze di quel particolare cliente.

L’ideale di un buon consulente è che il cliente possa un giorno diventare geloso di lui.

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