domenica 12 gennaio 2014

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 66 – Il mercato non ha rimpianti, solo i singoli investitori li hanno


Nelle tre lezioni precedenti abbiamo parlato dell’ultimo saggio di Greenspan e delle cosiddette “emozioni del mercato”. Per capire bene la natura queste di emozioni, come l’ottimismo e il pessimismo, le più fondamentali emozioni collettive, prodotte dai contagi e, a loro volta, produttrici di bolle, tali emozioni collettive vanno tenute distinte da quelle emozioni che solo un investitore singolo può provare. Queste emozioni innescano i rimproveri irrazionali fatti ai propri consulenti, che fungono da parafulmine rispetto a quelle emozioni irrazionali che presuppongono che il passato sia modificabile.

Partiamo da un esempio banale:


Avete giocato al lotto gli stessi numeri, ogni settimana per un mese. Non sorprendentemente, non avete vinto. Un amico vi suggerisce una serie diversa di numeri. Cambiate i numeri? La probabilità che vincano i nuovi numeri è la stessa dei vostri vecchi numeri (il lotto non ha memoria). Quello che decidete può però innescare due tipi di rimpianti diversi. Il rimpianto può sorgere in voi nel caso in cui continuate a giocare i numeri vecchi e, per caso, i numeri nuovi, suggeriti dall’amico, siano proprio quelli che escono. Questo è un rimpianto da omissione: non avete fatto un’azione che avreste potuto fare (è il tipo di rimpianto più frequente). Per provare rimpianto da omissione si deve essere capaci della seguente sequenza di operazioni cognitive:
 
·         Avere una memoria degli eventi passati;
·         Costruire con l’immaginazione un passato alternativo;
·         Inserire nel passato alternativo un’azione che sarebbe stata effettuabile (cioè sotto il nostro controllo), ma che purtroppo non abbiamo fatto;
·         Simulare le conseguenze di quell’azione se l’avessimo fatta;
·         Scoprire che le conseguenze della simulazione avrebbero poi condotto a uno stato di cose migliore rispetto a quello verificatosi nella nostra vita effettiva;
·         Provare rimpianto per non aver fatto quell’azione: sentimento caratterizzato dal dolore per aver perso un’occasione che forse non si ripeterà (sentimento diverso dal rimorso riconducibile al senso di colpa per un’azione cattiva fatta e che non riusciamo a dimenticare).


Una sequenza abbastanza complessa.

Nell’esempio precedente potrebbe, altrettanto casualmente, succedere che voi passiate ai nuovi numeri e che i vecchi vincano: ecco un rimpianto da commissione, innescato dall’aver fatto un’azione. Sorge spontaneo pensare: “ Sarebbe bastato continuare come si è fatto prima senza cambiare nulla e …”. Nel secondo caso il rimpianto è più forte che nel primo caso: avevate fatto un investimento cognitivo ed emotivo nella scelta iniziale. L’avete buttato via e, per di più, vi è andata male! Ecco che entra in campo il consulente per mitigare tale rimpianto, a posteriori irrazionale. Si è provato a chiedere a campioni di persone che cosa rimpiangessero di più. La maggioranza delle risposte si concentra su azioni che non sono state fatte:

·         Aver perso opportunità formative o professionali;
·         Incapacità di cogliere un’occasione importante;
·         Non aver dedicato abbastanza tempo alla famiglia e agli amici;
·         Aver tralasciato delle relazioni;
·         Non aver dedicato sforzi sufficienti a …..

E così via. Rare sono invece le cose che si sono fatte e che si rimpiange di aver fatto (frequente è invece l’azione cattiva commessa in passato e di cui, successivamente, proviamo rimorso). Il rimpianto funziona con questo meccanismo: tende a concentrarsi sulle cose che non abbiamo fatto e che pur erano sotto il nostro controllo (nel senso che riteniamo che avremmo potuto farle). La morale è che ci facciano meno male con il rimpianto da omissione che quello da commissione. Il primo è preferito al secondo. Evitare rimpianti troppo dolorosi e andare orgogliosi per quel che si è fatto è atteggiamento sano, che ci rende felici e sicuri di noi stessi. Che rapporto c’è tra i diversi tipi di rimpianto e le decisioni di investimento?

Cercando di rispondere a questa domanda Shefrin e Statman hanno scoperto quello che hanno chiamato l’effetto disposizione (di cui parlo nel mio saggetto sulla GESTIONE DEI RISPARMI).


Che cosa sia l’effetto disposizione lo si capisce già dal titolo del famoso articolo dei due studiosi: “The Disposition to Sell Winners Too Early and Ride Losers Too Long: Theory and Evidence” (l’essere inclini a vendere troppo presto i titoli vincenti – cioè quelli saliti rispetto a quando noi li abbiamo comprati – e a cavalcare troppo a lungo i perdenti – quelli che sono scesi rispetto al momento del nostro acquisto). Tra i primi, Ferris, Haugen e Makhija hanno cercato di controllare e analizzare l’effetto disposizione, già individuato da Shefrin e Statman. Hanno misurato il livello di vendite e di acquisti per ogni titolo, determinando statisticamente quello che poteva venir considerato un livello normale. Hanno poi esaminato i volumi di vendite per ogni titolo americano dal 1981 al gennaio 1985 e li hanno raggruppati in diverse categorie in funzione delle percentuali di guadagno o di perdita. Hanno infine confrontato queste categorie con i volumi di vendita di ciascun titolo e hanno scoperto che c’era un anormale, eccessivo, volume di vendita per i titoli che in un periodo immediatamente precedente avevano guadagnato, mentre non venivano venduti quelli che avevano perso (tratto a fondo questa problematica nei miei libri, cui rimando per un approfondimento).

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