giovedì 16 gennaio 2014

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 67 – Perché è importante la relazione con il consulente: solo così è possibile evitare i paradossi del rimpianto


Uno dei motivi per cui è talvolta molto vantaggioso affidare i propri risparmi a un consulente è proprio il fatto che solo così è possibile evitare la terribile trappola dei rimpianti, che sono poi l’ostacolo più forte a un’accettazione serena di una strategia di diversificazione. Strategia che, a sua volta, discende dall’accettazione dell’incertezza del futuro e dalla necessità di prevenirla.

Provate a immaginare una situazione in cui il vostro cliente decida, insieme a voi, di investire in un titolo che sembra assai promettente. Per fare questo deve vendere il titolo A oppure il titolo B, che sono entrambi già in suo possesso, e che sono stati acquistati nello stesso momento. Nel frattempo, il titolo A ha guadagnato il 20% da quando è stato comprato. Il titolo B ha invece perso il 20% da quando è stato comprato. E’ indifferente vendere uno dei due? Quale dei due il vostro cliente preferirebbe vendere? Sulla base di quale criterio? Quello che è successo in passato, oppure quello che succederà in futuro? Insomma un criterio “personale” o un criterio basato sullo sviluppo dei mercati e di un’analisi comparata di quei due titoli?

Le domande sono qui formulate in modo secco e impersonale, per evitare che il consulente, preso dal suo orgoglio professionale, coinvolga il cliente raccontandogli altre informazioni utili per decidere, al di là dei prezzi (cosa che sarebbe peraltro, nella vita reale, più che plausibile). Insomma se sapete soltanto che A e B in passato sono, rispettivamente, saliti e discesi di prezzo, e se  la domanda è proiettata su quello che tende a fare un cliente-tipo, nessun consulente esita a dare la risposta: la grandissima maggioranza dei clienti agirà secondo il cosiddetto effetto disposizione. Di conseguenza il cliente-tipo preferisce vendere A, indipendentemente dalle prospettive future di A e di B, solo cioè alla luce di quello che è avvenuto a lui, nel suo passato, decidendo in base ai “suoi” prezzi d’acquisto.

Tutto ciò sembra banale, ma non lo è. Non lo è perché l’effetto disposizione chiama, a sua volta, in gioco il rimpianto. E’ questa emozione che farà sì che il cliente venderà più volentieri A. Dell’acquisto di A, come investitori, siete orgogliosi: avevate fatto la scelta giusta. Se invece vi trovaste a dover vendere B, inevitabilmente si proverà del rimpianto, innescato dal fatto che una scelta precedente si è rivelata purtroppo sbagliata. Orgoglio, rimpianto e speranza, insomma pregiudizi e emozioni, vincolano le scelte del risparmiatore, se non coadiuvato dal consulente (un consulente spiegherebbe che è il futuro che conta, il futuro di A e di B, e non il prezzo d’acquisto di quello specifico cliente). 


E la catena purtroppo non è finita. Se provate rimpianto perché una delle scelte del passato si è rivelata infelice, questo tipo d’emozione costituisce un grosso ostacolo ad accettare la diversificazione. La strategia di diversificazione, per funzionare bene, deve contemplare proprio che ci siano in futuro, all’interno di un portafoglio ben differenziato, variazioni non correlate. In parole povere che alcuni investimenti vadano meglio di altri. Di conseguenza la diversificazione implica per definizione rimpianti. Le cose stanno sempre così? E sempre possibile una diversificazione ottimale? Purtroppo non sempre. 

Le tre grandi fonti di diversificazione sono i mercati monetari, quelli obbligazionari e quelli azionari, distribuiti per paese e per valute. Ora alcuni esperti, come Ewen Cameron Watt sul Financial Times di martedì 19 dicembre 2013 (p. 24), temono che in futuro, quando il cosiddetto quantitative easing cesserà del tutto, (per ora è solo passato da 85 a 75 miliardi al mese), queste variabili potrebbero perdere nel contempo di valore, come è successo nel periodo maggio-giugno del 2013. Questo è un punto sottolineato anche dall’Economist del 30 novembre 2013, in una più ampia analisi degli scarsi rendimenti degli hedge funds negli ultimi tre anni. L’Economist sostiene che la programmazione dei computer volta a sfruttare i trend di mercato non funziona perché le svolte sono determinate da decisioni politiche dei banchieri centrali e dei governi, e sono quindi imprevedibili in termini di trend e tendenze “storiche”. Non sappiamo se l’analisi sia corretta, fatto sta che la filosofia degli hedge da tre anni non ha funzionato. 

Ecco una ragione in più per stare calmi con una buona diversificazione. Ma qui ritorna il paradosso del rimpianto: anche se il non addetto ai lavori non lo sa, una buona diversificazione ci mette nelle condizioni di poter provare rimpianti. Vuol dire che una parte del portafoglio è andata bene, e una è invece andata meno bene: di qui il rimpianto per non aver puntato di più su quella specifica componente del portafoglio che è andata meglio. Ma quando sia il comparto delle obbligazioni che quello delle azioni vanno male, il rimpianto “differenziale”, basato cioè sulle differenze tra gli andamenti, purtroppo si riduce. Resta la malinconia, o meglio, il rimpianto per non aver messo tutto il nostro gruzzolo sul mercato monetario (che, di questi tempi, ben che vada, compensa a stento l’inflazione). Un’emozione inutile, non costruttiva, e che mina la fiducia in noi stessi. Solo la relazione con il consulente può salvarci.

Nessun commento:

Posta un commento