giovedì 22 novembre 2012

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 10 – Che cosa sono i bilanci mentali?


Esaminiamo un famoso esperimento naturale che sta a cavallo tra la psicologia e l’economia, ovvero il terreno della finanza comportamentale. L’esperimento aiuta a capire la scelta consumo/risparmio, il primo tipo di decisione da cui prende vita la possibilità d’investire.
 Le persone decidono di spendere e consumare non soltanto in base alla ricchezza e al reddito corrente di un dato periodo della vita, ma anche in funzione di quello che pensano succederà loro in futuro. Capire il ruolo che giocano le aspettative è cruciale. Come si possono districare gli effetti del reddito corrente da quelli del reddito futuro? Talvolta è possibile trovare in natura, cioè in condizioni naturali, non guidati dallo sperimentatore, casi in cui reddito corrente e reddito atteso si muovono in direzioni diverse.

L’esperimento, studiato da Poterba del Massachusetts Institute of Technology (MIT), è costituito dai tagli fiscali scaglionati dall’amministrazione Reagan negli anni  1981-1983. Le aliquote d’imposta sul reddito dovevano essere ridotte in tre fasi: del 5% nel 1981, del 10% nel 1982 e dell’8% nel 1983, fino alla riduzione totale del 23%. Tali misure, d’impatto rilevante, furono approvate dal Congresso degli Stati Uniti nel luglio 1981 e diventarono legge nell’agosto successivo.

Ecco le condizioni per un esperimento naturale: vi è l’aspettativa di una variazione cospicua del reddito netto derivante da una riduzione attesa  delle  imposte. Tali condizioni ci permettono di formulare la seguente domanda: la prospettiva della riduzione delle tasse, con conseguente incremento del reddito, ha modificato il risparmio delle famiglie americane? Usando le tecniche statistiche dell’econometria, Poterba ha dimostrato che l’attesa di tale incremento ha avuto scarsissimi effetti sui consumi della seconda metà del 1981.

Questo dato dimostra che i consumatori non tengono conto del reddito atteso nelle loro decisioni di consumo? Non è detto. Trattandosi di un esperimento naturale, si può soltanto dire che le condizioni per un presunto aumento del reddito non comportano necessariamente un aumento dei consumi. È plausibile che gli americani pensassero che le misure sarebbero potute non diventare esecutive; o forse le persone tenevano conto delle variazioni attese del reddito ma non di quelle indotte da una variazione attesa delle imposte. Molte possono essere le motivazioni.

Dagli studi successivi è emerso che gli americani sono ricorsi a quello che in finanza comportamentale è chiamato  bilancio mentale. La mente umana opera in modo locale, suddividendo in categorie separate entità economiche analoghe, ad esempio tutto quello che possediamo, e le nostre entrate mensili. Nel caso analizzato da Poterba, il punto di origine dell’incremento del reddito mensile influì sulle decisioni di consumo: se fosse stato sicuro che l’aumento derivasse da qualcosa che era considerato permanente, l’atteggiamento generale sarebbe stato più incline al consumo. Quando Greenspan mitigò gli effetti dello scoppio della bolla dei mercati finanziari, dopo il 2000, azzerando quasi il costo del denaro, gli americani furono più propensi ad acquistare case e il prezzo degli immobili s’impennò. 

Le persone si mostrarono più sicure del valore della proprietà immobiliare che delle promesse di Reagan. Così le banche prestarono i soldi a chi possedeva già una casa, garantendosi con l’aumento di valore dell’immobile. Questi prestiti tennero alti i consumi nonostante i redditi non salivano. Oggi invece, dopo l’ultima crisi, anche se il costo del denaro è molto basso, la paura del futuro induce al risparmio

Insomma, non trattiamo il reddito al pari di una torta omogenea, e facciamo lo stesso con i nostri risparmi. Siamo persone immerse nella nostra storia. Andiamo verso il futuro volgendogli le spalle e scrutando il passato.

Lo studio degli effetti dei bilanci mentali presenta alcune complessità a livello metodologico. Può essere artificioso ricorrere a un esperimento classico e simulare la stessa situazione, raccontando, per esempio, una storia e domandando poi ai soggetti come si comporterebbero. Rispetto a tale artificiosità è talvolta preferibile l’imprecisione dell’esperimento naturale. E questo vale per molti quesiti della finanza comportamentale. Ecco il dilemma di chi lavora in questo campo di studi: esperimenti in condizioni artificiali o esperimenti in condizioni prive di controlli rigorosi o, ancora, semplice esame di serie statistiche di dati? La risposta più saggia è ovvia: cercare di controllare un’ipotesi con quanti più metodi possibili. In questa prospettiva è cruciale, per la finanza comportamentale, un metodo usato da settori della psicologia: la simulazione.

Consideriamo, per esempio, il dilemma della scarsa partecipazione ai mercati azionari. Un’analisi mostra che la percezione del rischio non è attribuibile soltanto al profilo finanziario dei titoli, ma anche alle caratteristiche personali degli investitori. È stato costruito un modello che tiene conto dei dati già noti (per esempio la diffidenza verso titoli sconosciuti). Questo modello è basato su due proposizioni che precisano in termini formali come solo gli investitori con un certo livello di fiducia investiranno sui mercati azionari. Si calibra il modello tenendo conto dei vari parametri, per esempio i rendimenti di azioni e obbligazioni del dopoguerra: rispettivamente 12% e 5%. Si riesce così ad abbassare la percezione del rendimento delle azioni (12%), tenendo conto del rischio percepito di essere frodati (tale rischio è misurabile, indirettamente, tramite la sfiducia nei confronti delle grandi società). Si implementa il modello incorporando la differenza tra sfiducia e percezione del rischio. Infine si mostra che il modello spiega non solo le differenze tra gli individui (percezione del rischio), ma anche tra le culture (si passa dal 3% del Brasile al 67% della Danimarca). Gli autori di tale  modello,  Guiso,  Sapienza  e  Zingales  commentano: “Le nostre simulazioni suggeriscono che questo problema della fiducia è abbastanza rilevante da spiegare la percentuale di statunitensi benestanti che non investono sui mercati azionari”.

L’eleganza del modello simulativo dei nostri ricercatori ha permesso di correlare comportamenti finanziari con variabili psicologiche personali e fattori culturali. Tale metodo ha il grande vantaggio di far emergere correlazioni che, talvolta, al senso comune, possono sembrare contro-intuitive.

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