QUANDO
SI DICE VOLATILITA’ …
Sono trascorsi oltre due mesi e mezzo
dall’inizio dell’anno e possiamo proprio affermare di avere visto un
susseguirsi di
situazioni estreme e talvolta contradditorie. Partiamo dalla settimana appena trascorsa; a guardare il sintetico consuntivo del grafico di inizio articolo parrebbe che i mercati azionari dell’area euro insieme ai due mercati principali dell’estremo oriente, Tokyo e Hong Kong godano di buona salute mentre tutti gli altri stiano attraversando un momento di difficoltà o quantomeno di una pausa di riflessione.
Se andiamo a considerare infine l’andamento
degli ultimi due mesi, ossia il periodo che comprende la fase finale fortemente
rialzista di inizio anno, la fase ribassista immediatamente successiva (che per
molti mercati è coincisa con l’intero mese di febbraio) e il recupero di marzo,
appena esaminato, possiamo ben comprendere quanto volatilità è improvvisamente
spuntata dal nulla e come si possa complicare l’attività di investimento nei
mesi ed anni a venire.
Se ciò accadrà sarà confermata la tendenza alla crescita del saggio si interesse (sponda americana) le cui conseguenze andranno prima o poi ad impattare sul mercato dei bonds con la conseguenza di un calo delle quotazioni correnti e con conseguenti perdite di valore degli asset obbligazionari. Sulla scorta di queste considerazioni da più parti si sollecita il mantenimento, se non addirittura l’incremento degli asset azionari nell’immediato futuro come se l’equity fosse del tutto impermeabile a un rialzo del costo del denaro. Staremo a vedere.
Sembra essersi arrestata la
corsa al mercato obbligazionario, avvenuta nel mese di febbraio, a seguito dei
forti cali del mercato azionario e in queste ultime due settimane i rendimenti
hanno subito delle limature allontanandosi dai massimi dell’anno. Vediamo l’attuale situazione:
Contrariamente a quanto avvenuto nel corso del 2017 in questo primo scorcio d’anno la forza dell’euro si è dapprima affievolita per poi invertire la rotta nei confronti delle valute del nostro osservatorio, eccezion fatta per il dollaro. Ciò in modo marginale nei confronti della sterlina e dello yuan cinese mentre l’indebolimento nei confronti dello yen è più marcato (-3,65%).
Vediamo l’attuale situazione:
Settimana piuttosto stabile per i prezzi delle materie
prime (indice generale), oro e petrolio. In effetti questi indici avevano
subito una forte impennata a fine gennaio ma poi sono andati indebolendosi
successivamente a quella data. La scorsa settimana l’indice Crb ha perso
marginalmente valore, -0,35%; stesso destino per l’oro (-0,70%) mentre un lieve
rialzo ha caratterizzato il mercato
dell’oil, con il Wti salito dell0,23%.
situazioni estreme e talvolta contradditorie. Partiamo dalla settimana appena trascorsa; a guardare il sintetico consuntivo del grafico di inizio articolo parrebbe che i mercati azionari dell’area euro insieme ai due mercati principali dell’estremo oriente, Tokyo e Hong Kong godano di buona salute mentre tutti gli altri stiano attraversando un momento di difficoltà o quantomeno di una pausa di riflessione.
Basta allargare la visione dall’inizio
dell’anno e lo scenario appare radicalmente diverso.
Le borse americane si confermano in buona
salute, soprattutto il Nasdaq con una
crescita di oltre l’8% ma ancor meglio dell’indice tecnologico il mercato
brasiliano e quello russo, forti di performance più che soddisfacenti dell’11%
e dell’8,65% rispettivamente. I soli mercati a far loro compagnia per
positività sono quello italiano (+4,60%) e quello di Hong Kong, in crescita del
5,30%. Tutto il resto del paniere si trova sotto la linea dello zero e si
tratta di oltre il 50% del nostro paniere.
Per capire i forti contrasti e l’ampia
volatilità che hanno caratterizzato questo primo scorcio d’anno, effetti di cui
si era persa memoria per tutto il 2017, basta aprire una finestra a quindici
giorni e una a due mesi.
Marzo, almeno sino ad ora, è stato un mese
piuttosto generoso di positività; fatta eccezione per i mercati Bric (Cina
esclusa) sono tutti in ampio terreno positivo (ed è l’80% dei mercati del
paniere); addirittura due terzi di questi hanno rendimenti collocati nel range +2%/+4,30%
ossia in pieno recupero rispetto alla fase pesantemente ribassista di febbraio.
Si evince in modo evidente che solamente due
indici si posizionano in terreno positivo; si tratta dello S&P 500 e della
borsa brasiliana. Tutti gli altri indici si trovano in territorio negativo con
ribassi nella maggioranza dei casi compresi in una fascia che va dal -4% al
-9,50%. Se volevamo un classico esempio di alta volatilità eccoci serviti.
IN
ATTESA DEL “DEBUTTO” DI JEROME POWELL
Con la burrasca di questi due
mesi si sono anche assopite le paure dell’inflazione, rientrata dai picchi di
inizio anno a livelli più moderati sia in Usa che nell’Unione Europea, e la
tensione sembra essersi allentata ma nei prossimi giorni l’attenzione si andrà
ad appuntare sulla riunione della Fed nella quale si presenterà il successore
di Janet Yellen, Jerome Powell, dato come sufficientemente indipendente
rispetto a Trump ma dal quale ci si attende pur sempre un modesto ritocco dei
tassi.
Se ciò accadrà sarà confermata la tendenza alla crescita del saggio si interesse (sponda americana) le cui conseguenze andranno prima o poi ad impattare sul mercato dei bonds con la conseguenza di un calo delle quotazioni correnti e con conseguenti perdite di valore degli asset obbligazionari. Sulla scorta di queste considerazioni da più parti si sollecita il mantenimento, se non addirittura l’incremento degli asset azionari nell’immediato futuro come se l’equity fosse del tutto impermeabile a un rialzo del costo del denaro. Staremo a vedere.
NEL
FRATTEMPO I TITOLI OBBLIGAZIONARI …
Il decennale Usa remunera gli
investitori con un tasso del 2,85% che è lo stesso rendimento fissato durante
la prima settimana di febbraio con i mercati azionari in subbuglio, tasso che
comunque è in calo rispetto ai massimi delle scorse settimane quando ci si
avvicinò alla soglia del 3%. Stessa sorte per gli altri governativi del nostro
paniere, tutti in sensibile rientro dai massimi di febbraio, sottolineando che
il bund, titolo rifugio dell’area euro, è più elevato del 35% rispetto a inizio
anno. Unico titolo decennale in assoluto equilibrio dal 1^ gennaio, pur
essendosi impennato dell’8% meno di un mese fa, il nostro btp. Ma andiamo ora a
vedere la situazione attuale confrontata con i rendimenti di inizio gennaio.
L’EURO MANTIENE LA SUA FORZA SUL DOLLARO
Contrariamente a quanto avvenuto nel corso del 2017 in questo primo scorcio d’anno la forza dell’euro si è dapprima affievolita per poi invertire la rotta nei confronti delle valute del nostro osservatorio, eccezion fatta per il dollaro. Ciò in modo marginale nei confronti della sterlina e dello yuan cinese mentre l’indebolimento nei confronti dello yen è più marcato (-3,65%).
Rispetto al dollaro invece la
forza dell’euro permane ma la pressione verso il biglietto verde si è
indebolita da febbraio. In coincidenza con la forte ascesa dei mercati azionari
la valuta comunitaria arrivò a portarsi ad un rapporto di cambio in febbraio a
1,25 dall’1,20 di inizio anno ma poi è andato indebolendosi finendo sotto 1,23;
l’euro resta pur sempre apprezzato di oltre il 2,4% sulla moneta statunitense ma sembra per ora aver
perso lo smalto dei mesi scorsi.
Salvo novità di provenienza
Fed si può ritenere che nel breve il rapporto fra euro e dollaro possa restare
in un range 1,22/1,26 salvo poi prendere una più definita direzione; molto
dipenderà dal livello dei tassi Usa e dalla domanda di liquidità riveniente dal
sistema produttivo statunitense (in crescita) e dalle necessità di copertura
originate dall’applicazione della riduzione delle aliquote fiscali volute da
Donald Trump.
SETTIMANA DI STABILITA’ PER LE MATERIE PRIME
Vediamo l’andamento da inizio
anno del petrolio e dell’oro a conferma di quanto appena affermato.
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