lunedì 26 febbraio 2018

MERCATI FINANZIARI AL 23/2/2018


Si è praticamente chiuso il primo bimestre dell’anno, un bimestre caratterizzato da una poderosa salita dei mercati azionari nel mese di gennaio alla quale ha fatto seguito una altrettanto marcata correzione il mese successivo.

Nel corso della scorsa settimana si è avuta l’impressione che la fase correttiva possa essersi assestata ma ai livelli attuali permane un’elevata incertezza sulla direzione che le borse prenderanno nei prossimi mesi. 
 
Andiamo pertanto ad osservare nel grafico successivo l’andamento dei mercati azionari della settimana uscente:


E’ SOLO UN RIMBALZO O L’INIZIO DI UNA RIPRESA?

 
La settimana scorsa è stata decisamente poco volatile, con l’indice Vix dello S&P rientrato a 16,5 dopo l’impennata di quindici giorni or sono quando il picco massimo superò il livello di 50 punti, picco sopraggiunto come un fulmine a ciel sereno tanto compressa era stata la volatilità nei mesi precedenti.

Il ritorno della volatilità a simili livelli si concretizza nelle perfomance, con tutte le borse asiatiche in buona intonazione, come pure la borsa carioca che proprio in settimana supera il precedente massimo storico. Decisamente tonici i mercati statunitensi, la borsa di Parigi e quella di Francoforte mentre in area europea Gran Bretagna e Svizzera chiudono la settimana all’insegna di un contenuto ribasso, accumunate da Piazza Affari sulla quale pesano le dichiarazioni di Juncker (successivamente ridimensionate) e lo stallo politico a cui sembra destinato il paese dopo  il voto del 4 marzo.

A distinguersi, infine, la borsa moscovita che, come ben sappiamo, è fortemente correlata al prezzo degli idrocarburi e, sulla scorta del rialzo del prezzo del petrolio, mette a segno un rialzo di quasi 3 punti percentuali.

Vediamo dunque il livello del nostro paniere azionario a far data dall’inizio dell’anno:
 
 
 
 
Permangono fortemente positivi i mercati della Russia e del Brasile che svettano con rialzi al di sopra del 10% seguiti - a valori sostanzialmente dimezzati - dall’indice Nasdaq; al di sotto del 5% si collocano le borse di Hong Kong, Italia e l’indice S&P 500.
 
Appena “al di sopra della linea” stazionano la borsa di Parigi, l’indice mondiale MSCI World e la borsa indiana. Il restante 40% è rimasto “sotto la linea”, il che sta a significare che la correzione ha più che azzerato la fase euforica precedente. I mercati in sofferenza sono quelli del Giappone e della Cina unitamente a quelle europee di Germania, Svizzera, Gran Bretagna e l’indice Eurostoxx 50. Il fanalino di coda spetta alla borsa di Londra (-5,77%) e fra il -3 ed il -5% si collocano Francoforte, Zurigo e Tokyo.

Per avere un’idea dell’entità della correzione avvenuta basta osservare il grafico seguente nel quale sono riportate le perdite di valore dei mercati a un mese:
 

 
Solamente le borse di Mosca e San Paolo hanno mantenuto parte del precedente rialzo mentre tutte le altre hanno subito perdite racchiuse fra il -2,40% dell’indice Nasdaq e il -8,15% della borsa di Shangai.
 
Resta da vedere se quella avvenuta si possa considerare una semplice correzione o se il trend di crescita, che ha così a lungo accompagnato i mercati azionari, sia prossimo ad una inversione. Alcuni indici hanno ancora un’impostazione di fondo positiva, come quelli nordamericani, ma altri sono a un bivio trovandosi a ridosso di aree tecniche delicate, come accade per alcuni mercati europei.
 
L’attenzione dunque si concentrerà altrove, ai tassi di interesse e al mantenimento o meno delle facilitazioni monetarie, ossia alla capacità e/o volontà delle banche centrali di supportare la crescita nel modo più lineare possibile. Data l’impossibilità di fare previsioni possiamo solo attenderci nell’immediato futuro nervi più scoperti e volatilità più accentuata, in altre parole, vietato sbagliare.
 
PROSEGUE L’AUMENTO DEI TASSI
 
Abbiamo appena accennato al fatto che una delle possibili cause di inversione dei mercati sia quella di un aumento dei tassi, una questione tanto complicata quanto delicata soprattutto in una fase come questa in cui ci troviamo avvolti nell’ incertezza più estrema.
 
Limitiamoci pertanto a evidenziare i fatti e a lasciare ai lettori le conclusioni. La prima domanda da porsi è quella di conoscere l’attuale livello dei tassi. Noi come sempre prendiamo il governativo a dieci anni quale indice di riferimento.
 

 
 
 
 
Il bond statunitense è ormai a ridosso del 3% e sta probabilmente incorporando il primo dei ritocchi all’insù attesi dalla Fed per l’anno corrente. Il nostro Btp, rimasto sostanzialmente invariato in questo bimestre, si è improvvisamente innalzato sino al 2,16% e il raggiungimento di questo livello è in parte dovuto alle esternazioni di Junker. Stessa sorte  accumuna gli altri titoli decennali europei del paniere; il bund tedesco remunera lo 0,65%, il titolo inglese l’1,50% e il decennale francese lo 0,93%. Va precisato infine che il balzo in avanti dei rendimenti è avvenuto nella settimana precedente mentre in quella scorsa c’è una generale sottile limatura.

Osserviamo i differenziali dei tassi da inizio 2018:
 
 


Si tratta di incrementi percentualmente significativi da inizio anno: oltre il 50% per il bund tedesco, di oltre il 25% nel caso del gilt britannico e di circa il 20% per il bond statunitense e il decennale francese. I movimenti della scorsa settimana hanno infine surriscaldato lo spread, passato da 127,60 a 150,70 in una sola settimana.
 
PROSEGUE IL RALLENTAMENTO DELL’EURO
 

Fatta eccezione per il dollaro statunitense, in questo scorcio di tempo la forza dell’euro si è affievolita nel confronti delle valute di riferimento del paniere, ossia sterlina inglese, yen giapponese e yuan cinese. Rispetto allo yen l’euro è calato di quasi il 3% da inizio anno e di quasi un punto sulla sterlina mentre è rimasto sostanzialmente invariato nei confronti dello yuan.
 
Diversa è la situazione nei confronti del dollaro. Da inizio anno la valuta comunitaria si è apprezzata di ca. 2,50 punti percentuali ma è aumentata la volatilità, con il cambio che è oscillato fra 1,20 e 1,25 per chiudere alla fine della scorsa settimana a 1,229.





Ecco l’andamento del dollaro:
 

 
 
VOLATILITA’ ANCHE SULLE MATERIE PRIME
 

Abbiamo accennato in precedenza alla risalita del prezzo del petrolio ed infatti, dopo la brusca caduta della prima settimana di febbraio (da 65 a 59 dollari al barile in pochi giorni) in queste due settimane l’oro nero ha ripreso a salire riportandosi a 63,55 dollari il barile. Ciò conforta la tesi di un consolidamento, se non addirittura di un incremento dell’inflazione a tutto beneficio della tenuta della ripresa in atto.
 
 
Sulla scia del petrolio anche l’indice generale delle commodities, il CRB, risale la china passando in due settimane da 188,50 a 196; al palo invece la quotazione dell’oro che sembra aver perso il fascino di bene rifugio in funzione protettiva da eventuali cadute dei mercati azionari; se si osservasse quest’unico indicatore se ne trarrebbe come conclusione che i movimenti tellurici di febbraio siano stati solo una correzione e nulla più.
 
CONCLUSIONI
 
 
Rapidamente ma con altrettanta semplicità invitiamo alla prudenza coloro i quali abbiano intravisto nella correzione di febbraio un’ottima occasione per incrementare le proprie posizioni azionarie. I segnali sono contrastanti e un errore di valutazione per eccesso di confidenza potrebbe costare piuttosto caro. A nostro giudizio meglio attendere conferme. Buona settimana a tutti.
 
 

 
 
 
 
 
 

 

 

 





 

 




 




 
 




 
 
 




 






 
 





 
 
 
 
 
 

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