Si è praticamente chiuso il primo bimestre
dell’anno, un bimestre caratterizzato da una poderosa salita dei mercati
azionari nel mese di gennaio alla quale ha fatto seguito una altrettanto
marcata correzione il mese successivo.
La settimana scorsa è stata decisamente
poco volatile, con l’indice Vix dello S&P rientrato a 16,5 dopo l’impennata
di quindici giorni or sono quando il picco massimo superò il livello di 50 punti,
picco sopraggiunto come un fulmine a ciel sereno tanto compressa era stata la
volatilità nei mesi precedenti.
Appena “al di sopra della
linea” stazionano la borsa di Parigi, l’indice mondiale MSCI World e la borsa
indiana. Il restante 40% è rimasto “sotto la linea”, il che sta a significare
che la correzione ha più che azzerato la fase euforica precedente. I mercati in
sofferenza sono quelli del Giappone e della Cina unitamente a quelle europee di
Germania, Svizzera, Gran Bretagna e l’indice Eurostoxx 50. Il fanalino di coda
spetta alla borsa di Londra (-5,77%) e fra il -3 ed il -5% si collocano
Francoforte, Zurigo e Tokyo.
Diversa è la situazione nei
confronti del dollaro. Da inizio anno la valuta comunitaria si è apprezzata di
ca. 2,50 punti percentuali ma è aumentata la volatilità, con il cambio che è
oscillato fra 1,20 e 1,25 per chiudere alla fine della scorsa settimana a
1,229.
Nel corso della scorsa settimana si è avuta
l’impressione che la fase correttiva possa essersi assestata ma ai livelli
attuali permane un’elevata incertezza sulla direzione che le borse prenderanno
nei prossimi mesi.
Andiamo pertanto ad osservare nel grafico
successivo l’andamento dei mercati azionari della settimana uscente:
E’ SOLO
UN RIMBALZO O L’INIZIO DI UNA RIPRESA?
Il ritorno della volatilità a
simili livelli si concretizza nelle perfomance, con tutte le borse asiatiche in
buona intonazione, come pure la borsa carioca che proprio in settimana supera
il precedente massimo storico. Decisamente tonici i mercati statunitensi, la
borsa di Parigi e quella di Francoforte mentre in area europea Gran Bretagna e
Svizzera chiudono la settimana all’insegna di un contenuto ribasso, accumunate
da Piazza Affari sulla quale pesano le dichiarazioni di Juncker
(successivamente ridimensionate) e lo stallo politico a cui sembra destinato il
paese dopo il voto del 4 marzo.
A distinguersi, infine, la
borsa moscovita che, come ben sappiamo, è fortemente correlata al prezzo degli
idrocarburi e, sulla scorta del rialzo del prezzo del petrolio, mette a segno
un rialzo di quasi 3 punti percentuali.
Vediamo dunque il livello del
nostro paniere azionario a far data dall’inizio dell’anno:
Permangono fortemente
positivi i mercati della Russia e del Brasile che svettano con rialzi al di
sopra del 10% seguiti - a valori sostanzialmente dimezzati - dall’indice
Nasdaq; al di sotto del 5% si collocano le borse di Hong Kong, Italia e
l’indice S&P 500.
Per avere un’idea dell’entità
della correzione avvenuta basta osservare il grafico seguente nel quale sono
riportate le perdite di valore dei mercati a un mese:
Solamente le borse di Mosca e
San Paolo hanno mantenuto parte del precedente rialzo mentre tutte le altre
hanno subito perdite racchiuse fra il -2,40% dell’indice Nasdaq e il -8,15%
della borsa di Shangai.
Resta da vedere se quella
avvenuta si possa considerare una semplice correzione o se il trend di crescita,
che ha così a lungo accompagnato i mercati azionari, sia prossimo ad una
inversione. Alcuni indici hanno ancora un’impostazione di fondo positiva, come
quelli nordamericani, ma altri sono a un bivio trovandosi a ridosso di aree
tecniche delicate, come accade per alcuni mercati europei.
L’attenzione dunque
si concentrerà altrove, ai tassi di interesse e al mantenimento o meno delle
facilitazioni monetarie, ossia alla capacità e/o volontà delle banche centrali
di supportare la crescita nel modo più lineare possibile. Data l’impossibilità
di fare previsioni possiamo solo attenderci nell’immediato futuro nervi più
scoperti e volatilità più accentuata, in altre parole, vietato sbagliare.
PROSEGUE L’AUMENTO DEI TASSI
Abbiamo appena accennato al
fatto che una delle possibili cause di inversione dei mercati sia quella di un
aumento dei tassi, una questione tanto complicata quanto delicata soprattutto
in una fase come questa in cui ci troviamo avvolti nell’ incertezza più estrema.
Limitiamoci pertanto a
evidenziare i fatti e a lasciare ai lettori le conclusioni. La prima domanda da
porsi è quella di conoscere l’attuale livello dei tassi. Noi come sempre
prendiamo il governativo a dieci anni quale indice di riferimento.
Il bond statunitense è ormai
a ridosso del 3% e sta probabilmente incorporando il primo dei ritocchi
all’insù attesi dalla Fed per l’anno corrente. Il nostro Btp, rimasto
sostanzialmente invariato in questo bimestre, si è improvvisamente innalzato
sino al 2,16% e il raggiungimento di questo livello è in parte dovuto alle
esternazioni di Junker. Stessa sorte
accumuna gli altri titoli decennali europei del paniere; il bund tedesco
remunera lo 0,65%, il titolo inglese l’1,50% e il decennale francese lo 0,93%.
Va precisato infine che il balzo in avanti dei rendimenti è avvenuto nella
settimana precedente mentre in quella scorsa c’è una generale sottile limatura.
Si tratta di incrementi
percentualmente significativi da inizio anno: oltre il 50% per il bund tedesco,
di oltre il 25% nel caso del gilt britannico e di circa il 20% per il bond
statunitense e il decennale francese. I movimenti della scorsa settimana hanno
infine surriscaldato lo spread, passato da 127,60 a 150,70 in una sola
settimana.
PROSEGUE IL RALLENTAMENTO DELL’EURO
Fatta eccezione per il
dollaro statunitense, in questo scorcio di tempo la forza dell’euro si è
affievolita nel confronti delle valute di riferimento del paniere, ossia
sterlina inglese, yen giapponese e yuan cinese. Rispetto allo yen l’euro è
calato di quasi il 3% da inizio anno e di quasi un punto sulla sterlina mentre è
rimasto sostanzialmente invariato nei confronti dello yuan.
Ecco l’andamento del dollaro:
VOLATILITA’ ANCHE SULLE MATERIE PRIME
Abbiamo accennato in precedenza alla risalita del prezzo
del petrolio ed infatti, dopo la brusca caduta della prima settimana di
febbraio (da 65 a 59 dollari al barile in pochi giorni) in queste due settimane
l’oro nero ha ripreso a salire riportandosi a 63,55 dollari il barile. Ciò
conforta la tesi di un consolidamento, se non addirittura di un incremento dell’inflazione
a tutto beneficio della tenuta della ripresa in atto.
Sulla scia del petrolio anche
l’indice generale delle commodities, il CRB, risale la china passando in due
settimane da 188,50 a 196; al palo invece la quotazione dell’oro che sembra
aver perso il fascino di bene rifugio in funzione protettiva da eventuali
cadute dei mercati azionari; se si osservasse quest’unico indicatore se ne
trarrebbe come conclusione che i movimenti tellurici di febbraio siano stati solo
una correzione e nulla più.
CONCLUSIONI
Rapidamente ma con altrettanta
semplicità invitiamo alla prudenza coloro i quali abbiano intravisto nella
correzione di febbraio un’ottima occasione per incrementare le proprie
posizioni azionarie. I segnali sono contrastanti e un errore di valutazione per
eccesso di confidenza potrebbe costare piuttosto caro. A nostro giudizio meglio
attendere conferme. Buona settimana a tutti.
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