lunedì 12 febbraio 2018

MERCATI FINANZIARI AL 9/2/2018 - QUALCOSA E’ CAMBIATO


Era la fine di gennaio e stavamo nel paese della cuccagna: euforia sui mercati azionari, tassi ai minimi storici, liquidità fornita in abbondanza dalle banche centrali, crescita economica robusta e diffusa, inflazione poco più che insignificante, volatilità sparita; eravamo qua …



QUALCOSA E’ CAMBIATO
 

Chissà perché ma quando tutto fila liscio c’è sempre qualcosa che manda tutto a gambe all’aria. Il motivo per cui tutto è cambiato (almeno per ora) è stato un piccolo dato arrivato dall’America, quello del costo del lavoro in aumento e dunque, in poche ore si è temuto che l’inflazione iniziasse a galoppare, che i tassi sarebbero potuti salire rapidamente, che la convenienza ad acquistare azioni piuttosto che obbligazioni potesse venire meno e qualche grosso operatore ha iniziato a liquidare posizioni, qualcun altro se ne è accorto e ha iniziato a seguire il trend, la volatilità si è impennata e le vendite preimpostate nei computer degli operatori sono scattate. Il risultato? Vediamolo dunque. Ecco cosa è accaduto in questi quindici giorni.
 
E’ come essere passati di colpo dalla soffice sabbia degli assolati Caraibi alla gelida neve scandinava. Tutti i mercati in caduta libera, con discese che vanno dal -5,42% del Brasile al -12,04% di Shangai. E ora siamo qui:
Solo il 20% degli indici azionari del nostro paniere hanno conservato il segno positivo dall’inizio dell’anno: il Brasile, la Russia e l’Italia. Del restante 80% si barcamenano di poco sotto lo zero Hong Kong, l’India e l’indice Nasdaq mentre gli altri chiudono questa prima fase tra il -2% dello S&P 500 e il -7,70% della Gran Bretagna.
 
La volatilità è di colpo esplosa, come ci indicano le percentuali appena viste, ma il fenomeno è particolarmente visibile attraverso l’indice Vix dello S&P 500 con un picco a 50,30 contro un massimo per tutto il 2017 a 17. Il picco raggiunto in questi giorni è lo stesso accusato nell’agosto del 2015 quando la svalutazione dello yuan cinese fece tremare i mercati e per ritrovare un analogo picco dobbiamo tornare molto indietro nel tempo, a marzo 2009, quando ebbe inizio la fase prolungata dei rialzi che ha toccato la sua punta massima proprio a fine gennaio scorso.

 
In questo momento capire se siamo di fronte alla fine di un ciclo o se siamo in presenza di una correzione è ancora presto, per cui non è il caso di fasciarsi la testa ma piuttosto di comprendere quale sia l’effettivo rischio sopportabile, d’ora in avanti, se la prima ipotesi fosse quella giusta e, se il nostro portafoglio dovesse effettivamente incorporare un rischio più elevato del dovuto in relazione ai nostri obiettivi di investimento sarebbe opportuno rivedere le nostre aspettative e abbandonare atteggiamenti incoerenti con le nostre esigenze.
 

ANCHE I TASSI SONO IN MOVIMENTO
 
Se le aspettative di una maggiore inflazione sono realistiche (ricordiamoci che le facilitazioni monetarie hanno una limitata e condizionata vita residua) anche i tassi avrebbero dovuto muoversi. E’ accaduto? Ebbene sì. In queste prime due settimane di febbraio i rendimenti obbligazionari sono cresciuti a conferma dei reali timori degli operatori.
Ad eccezione del btp decennale, restato decisamente al palo, gli altri titoli del nostro paniere (governativi decennali) si sono decisamente orientati al rialzo. Vediamo il loro attuale valore.
 

Il bond statunitense si è impennato ad oltre il 2,80% di rendimento, il gilt britannico ha superato l’1,50% e il bund tedesco si è arrampicato sino allo 0,75%. Livelli simili non si registravano dall’inizio del 2014 per il decennale statunitense, da aprile 2016 per quello britannico e da settembre 2015 per il bund tedesco e, se non fosse entrato in fibrillazione a causa delle elezioni politiche della primavera scorsa, anche per il decennale francese avremmo dovuto risalire all’autunno del 2015 per trovare un rendimento analogo.
 
Andiamo ora ad osservare i differenziali da inizio 2018:
 
 
 
In questa situazione ne ha tratto beneficio lo spread del btp verso il bund che è sceso a  127 ma siamo in prossimità di elezioni. I rendimenti del nostro decennale resteranno a questo livello nelle prossime settimane? Lo saranno anche se i risultati della tornata elettorale dovessero deludere gli investitori esteri? Nessuno può dirlo ma temiamo che l’attuale oasi felice non sia destinata a restare tale anche se al momento le elezioni del 4 marzo sembrano restare sullo sfondo e non destare particolare attenzione.
 
LA CORSA DELL’EURO SEMBRA ESSERSI ARRESTATA
 
Sul fronte valutario giungono segnali di stop alla corsa dell’euro, fenomeno che aveva contraddistinto i rapporti di cambio per tutto il 2017.
 
Da inizio anno abbiamo assistito ad un rafforzamento della debolezza del dollaro nei confronti dell’euro il cui rapporto di cambio è arrivato sino a 1,25. In questi giorni le attese di interventi hawkish della Fed per l’anno in corso hanno arrestato il trend in atto e al momento il rapporto di cambio è sceso a 1,22. In attesa di conferme (la situazione resta assolutamente fluida e poco decifrabile) possiamo pensare che il livello di 1,25 rappresenti al momento il target massimo di periodo del rapporto fra le due valute.
 

Se da un lato la forza dell’euro rimane (al  momento) nei confronti del dollaro ciò non sta accadendo rispetto alle altre monete di riferimento, sterlina inglese, yen giapponese e yuan cinese che dall’inizio dell’anno si sono leggermente riprese nei confronti della valuta comunitaria. Vediamole dunque:
 
 
 
 
 
E LE MATERIE PRIME COME HANNO REAGITO?
 
E’ normale che, quando i tassi si muovono all’insù e i mercati azionari scendono, le commodities presentino delle de-correlazioni tali da attenuare, per chi le detiene in portafoglio, un fattore di attenuazione e un parziale contro-bilanciamento. In particolare, l’oro è il bene più indicato a questo scopo e nei mesi scorsi è stato da molti gestori inserito fra gli asset quale parziale tutela nei confronti di un repentino cambio di direzione dei mercati.
Stavolta ciò non è accaduto e rappresenta un elemento a favore di coloro che puntano a considerare i movimenti di queste due settimane quali movimenti correttivi e non un’inversione di tendenza definitiva. Andiamo a illustrare, nel grafico seguente, la tendenza delle commodities che teniamo sotto osservazione:
 
 
 
E’ evidente che l’oro non ha subito variazioni al rialzo ma addirittura abbia subito un lieve indebolimento nelle ultime due settimane (-2,50%) mentre il petrolio, la scorsa settimana, ha viste ridimensionate le sue quotazioni di oltre il 9% tornando ai prezzi di inizio dicembre come si può vedere nel grafico successivo.

CONCLUSIONI
 
Il movimento correttivo in atto è da considerarsi al momento tale ma molti fattori ci inducono a pensare che il letargo della volatilità sia comunque finito e dunque gli investimenti andranno ripensati spostando il focus dalle possibilità di crescita apparentemente idilliache del 2017 (anno tanto favorevole quanto anomalo) alla gestione del rischio e alle personali esigenze di investimento che, guarda caso, sono i principi sui quali si incardina la normativa entrata in vigore all’inizio dell’anno, la Mifid2, tanto attesa dagli operatori quanto ancora sconosciuta presso i risparmiatori. Questa è una buona occasione per conoscerla e non occorre che compriate alcun libro sull’argomento: il vostro consulente ha il compito-dovere di illustrarvela, compresi quegli aspetti sui quali sino ad oggi era stato steso un “assordante silenzio”.
 
 

 
 
 
 

 
 
 
 
 


 
 



 
 
 
 

 
 
 
 

 
 
 
 

 
 
 
 

 
 
 
 

 
 
 
 

 
 




 
 




 
 

 
 
 
 
 

 



 
 




 



 




 
 
 
 
 

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