Era la fine di gennaio e stavamo nel paese della cuccagna: euforia sui mercati azionari, tassi ai minimi storici, liquidità fornita in abbondanza dalle banche centrali, crescita economica robusta e diffusa, inflazione poco più che insignificante, volatilità sparita; eravamo qua …
QUALCOSA
E’ CAMBIATO
Chissà perché ma quando tutto
fila liscio c’è sempre qualcosa che manda tutto a gambe all’aria. Il motivo per
cui tutto è cambiato (almeno per ora) è stato un piccolo dato arrivato
dall’America, quello del costo del lavoro in aumento e dunque, in poche ore si
è temuto che l’inflazione iniziasse a galoppare, che i tassi sarebbero potuti salire
rapidamente, che la convenienza ad acquistare azioni piuttosto che obbligazioni
potesse venire meno e qualche grosso operatore ha iniziato a liquidare posizioni,
qualcun altro se ne è accorto e ha iniziato a seguire il trend, la volatilità
si è impennata e le vendite preimpostate nei computer degli operatori sono
scattate. Il risultato? Vediamolo dunque. Ecco cosa è accaduto in questi
quindici giorni.
E’ come essere passati di
colpo dalla soffice sabbia degli assolati Caraibi alla gelida neve scandinava.
Tutti i mercati in caduta libera, con discese che vanno dal -5,42% del Brasile
al -12,04% di Shangai. E ora siamo qui:
Solo il 20% degli indici
azionari del nostro paniere hanno conservato il segno positivo dall’inizio
dell’anno: il Brasile, la Russia e l’Italia. Del restante 80% si barcamenano di
poco sotto lo zero Hong Kong, l’India e l’indice Nasdaq mentre gli altri chiudono
questa prima fase tra il -2% dello S&P 500 e il -7,70% della Gran Bretagna.
ANCHE I TASSI SONO IN MOVIMENTO
Se le aspettative di una
maggiore inflazione sono realistiche (ricordiamoci che le facilitazioni
monetarie hanno una limitata e condizionata vita residua) anche i tassi
avrebbero dovuto muoversi. E’ accaduto? Ebbene sì. In queste prime due
settimane di febbraio i rendimenti obbligazionari sono cresciuti a conferma dei
reali timori degli operatori.
Ad eccezione del btp
decennale, restato decisamente al palo, gli altri titoli del nostro paniere
(governativi decennali) si sono decisamente orientati al rialzo. Vediamo il
loro attuale valore.
Il bond statunitense si è
impennato ad oltre il 2,80% di rendimento, il gilt britannico ha superato
l’1,50% e il bund tedesco si è arrampicato sino allo 0,75%. Livelli simili non
si registravano dall’inizio del 2014 per il decennale statunitense, da aprile
2016 per quello britannico e da settembre 2015 per il bund tedesco e, se non
fosse entrato in fibrillazione a causa delle elezioni politiche della primavera
scorsa, anche per il decennale francese avremmo dovuto risalire all’autunno del
2015 per trovare un rendimento analogo.
Andiamo ora ad osservare i
differenziali da inizio 2018:
In questa situazione ne ha
tratto beneficio lo spread del btp verso il bund che è sceso a 127 ma siamo in prossimità di elezioni. I
rendimenti del nostro decennale resteranno a questo livello nelle prossime
settimane? Lo saranno anche se i risultati della tornata elettorale dovessero
deludere gli investitori esteri? Nessuno può dirlo ma temiamo che l’attuale
oasi felice non sia destinata a restare tale anche se al momento le elezioni
del 4 marzo sembrano restare sullo sfondo e non destare particolare attenzione.
LA CORSA DELL’EURO SEMBRA ESSERSI ARRESTATA
Sul fronte valutario giungono
segnali di stop alla corsa dell’euro, fenomeno che aveva contraddistinto i
rapporti di cambio per tutto il 2017.
Da inizio anno abbiamo
assistito ad un rafforzamento della debolezza del dollaro nei confronti
dell’euro il cui rapporto di cambio è arrivato sino a 1,25. In questi giorni le
attese di interventi hawkish della Fed per l’anno in corso hanno arrestato il
trend in atto e al momento il rapporto di cambio è sceso a 1,22. In attesa di
conferme (la situazione resta assolutamente fluida e poco decifrabile) possiamo
pensare che il livello di 1,25 rappresenti al momento il target massimo di
periodo del rapporto fra le due valute.
Se da un lato la forza
dell’euro rimane (al momento) nei
confronti del dollaro ciò non sta accadendo rispetto alle altre monete di
riferimento, sterlina inglese, yen giapponese e yuan cinese che dall’inizio
dell’anno si sono leggermente riprese nei confronti della valuta comunitaria.
Vediamole dunque:
E LE MATERIE PRIME COME HANNO REAGITO?
E’ normale che, quando i
tassi si muovono all’insù e i mercati azionari scendono, le commodities
presentino delle de-correlazioni tali da attenuare, per chi le detiene in
portafoglio, un fattore di attenuazione e un parziale contro-bilanciamento. In
particolare, l’oro è il bene più indicato a questo scopo e nei mesi scorsi è
stato da molti gestori inserito fra gli asset quale parziale tutela nei
confronti di un repentino cambio di direzione dei mercati.
Stavolta ciò non è accaduto e
rappresenta un elemento a favore di coloro che puntano a considerare i
movimenti di queste due settimane quali movimenti correttivi e non
un’inversione di tendenza definitiva. Andiamo a illustrare, nel grafico
seguente, la tendenza delle commodities che teniamo sotto osservazione:
E’ evidente che l’oro non ha
subito variazioni al rialzo ma addirittura abbia subito un lieve indebolimento
nelle ultime due settimane (-2,50%) mentre il petrolio, la scorsa settimana, ha
viste ridimensionate le sue quotazioni di oltre il 9% tornando ai prezzi di
inizio dicembre come si può vedere nel grafico successivo.
CONCLUSIONI
Il movimento correttivo in
atto è da considerarsi al momento tale ma molti fattori ci inducono a pensare
che il letargo della volatilità sia comunque finito e dunque gli investimenti
andranno ripensati spostando il focus dalle possibilità di crescita
apparentemente idilliache del 2017 (anno tanto favorevole quanto anomalo) alla
gestione del rischio e alle personali esigenze di investimento che, guarda
caso, sono i principi sui quali si incardina la normativa entrata in vigore
all’inizio dell’anno, la Mifid2, tanto attesa dagli operatori quanto ancora
sconosciuta presso i risparmiatori. Questa è una buona occasione per conoscerla
e non occorre che compriate alcun libro sull’argomento: il vostro consulente ha
il compito-dovere di illustrarvela, compresi quegli aspetti sui quali sino ad
oggi era stato steso un “assordante silenzio”.
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