METEOBORSE
GENNAIO: CALDO TORRIDO !!!
Avevamo definito spumeggiante
l’avvio d’anno dei mercati azionari solamente quindici giorni fa ma, giunti in
prossimità della fine del mese di gennaio, vien da dire che la realtà dei
numeri è sbalorditiva. Ben tre mercati hanno conseguito performance a due cifre
in sole quattro settimane; Brasile, Hong Kong e la borsa moscovita si sono
letteralmente impennate e le prime due hanno addirittura sbriciolato i
precedenti record storici. Da notare che nel terzetto ci sono due indici dei
cosiddetti Bric.
Non siamo in presenza di casi
isolati dal momento in cui sulla loro scia ci sono ben altri sei indici le cui
performance si collocano fra il cinque e il dieci per cento. In vetta al sestetto
brilla la borsa di Milano seguita a breve distanza dai due indici di New York,
lo S&P 500 e il Nasdaq, le altre due borse dei Bric (Cina e India) e
l’indice MSCI World. In questo gruppo ci sono gli altri quattro indici che
hanno superato i rispettivi massimi storici. Va evidenziato che da inizio anno
ogni settimana alcuni mercati hanno superato i precedenti massimi ed il numero
di questi non è mai stato inferiore a sei, ossia non meno del 40% del nostro
paniere.
Rialzi più contenuti ma
assolutamente apprezzabili quelli delle borse di Francoforte, Parigi, Zurigo, Tokyo
e l’indice Eurostoxx 50, sotto il 5%, il cui rialzo più contenuto, quello della
borsa svizzera, è risultato pari all’1,42%. Unica nota stonata la negatività
del mercato azionario londinese, alle prese con i problemi derivanti dalla
Brexit, che chiude con un contenuto -0,29%.
Le prime tre settimane sugli
scudi, dunque, mentre nell’ultima si è vista qualche presa di beneficio,
fenomeno che si è registrato unicamente sulle piazze europee e quella
giapponese. Quattro indici chiudono la settimana uscente in territorio negativo
(Germania, Gran Bretagna, Tokyo e l’Eurostoxx) mentre le altre piazze europee
del paniere chiudono con modestissimi rialzi. Vediamo pertanto il grafico
relativo alla settimana scorsa:
DRAGHI CONFERMA LA POLITICA ACCOMODANTE E
L’EURO …
In settimana si è riunita la
BCE e Draghi ha confermato la decisione di lasciare inalterati i tassi (quello
principale fermo allo 0%, quello sui prestiti marginali allo 0,25% e quello sui
depositi -0,40%) e, soprattutto, ha confermato la volontà di estendere la
durata del QE di nove mesi (almeno fino a settembre) e oltre se necessario.
Il Presidente della BCE ha
altresì sottolineato la preoccupazione per l’indebolimento del dollaro
supponendo che il suo livello sia la risultanza di condizioni oggettive economiche
(crescita e livello dell’inflazione) accompagnate però dalle dichiarazioni di
Mnuchin (Segretario al Tesoro USA) che a Davos ha affermato che il dollaro
debole conviene agli Stati Uniti. E’ innaturale, infatti, che di fronte a
un’espansione monetaria di Europa e Giappone e un’espansione fiscale come
quella annunciata da Trump il dollaro si deprezzi invece di rafforzarsi. E’
chiaro che Draghi sospetti manovre combinate fra Fed e Governo USA al fine di
indebolire la valuta nordamericana.
L’avevamo detto alcuni mesi
or sono su queste pagine che un euro forte avrebbe potuto creare difficoltà per
le esportazioni comunitarie ed è proprio quello che Draghi e la BCE temono per
i mesi a venire. Se ciò accadesse, la ripresa in corso potrebbe subire dei
rallentamenti o addirittura potrebbe determinare un’inversione del trend e, con
ciò, le attese di un’inflazione più coerente si scioglierebbero come neve al
sole vanificando, in parte, gli sforzi sinora profusi che non sono stati certo
gratuiti per i cittadini europei.
Vediamo l’andamento del
dollaro in quest’ultimo anno:
Anche sullo yen l'euro conserva una notevole forza ma nelle ultime settimane si è un po' allentata la pressione come vediamo nel successivo grafico:
Dall’inizio dell’anno l’euro
si è ulteriormente rafforzato sul dollaro del 3,5%, è rimasto sostanzialmente
invariato nei confronti dello yen e dello yuan mentre sulla sterlina si è
leggermente indebolito (-1,27%). Persa ormai dall’estate la resistenza del duraturo
trading range fra dollaro e euro (1,15) e superata in settimana quella di 1,25
è da attendersi che il rapporto fra le due valute si sviluppi nei prossimi mesi
nel range 1,20 – 1,30, livello assolutamente favorevole alle attese degli USA
ma potenzialmente penalizzante per l’economia dell’Europa Unita. Al momento è
solo un’ipotesi che dovrà essere confermata nei prossimi due/tre mesi.
I TASSI SALGONO
Nel mese di gennaio i prezzi
delle obbligazioni sono scesi, eccezion fatta per il Btp decennale italiano, e
di conseguenza i rendimenti sono saliti in un clima di crescita economica
generalizzata. Resta il fatto che, con un inflazione ancora contenuta, la
salita dei rendimenti dei decennali della zona euro sia contenuta anche se
risulta tangibile, in termini percentuali, la salita del Bund tedesco.
Vediamo come si presenta la
situazione dei tassi a fine settimana:
I rendimenti del decennale
americano e del corrispondente titolo tedesco sono ora ai massimi dall’inizio
dello scorso anno, il primo a 2,66% (+10% dal primo di gennaio 2018) ed il
secondo a 0,63% (+50% nello stesso arco temporale). Andiamo a vedere per
l’appunto la situazione dei cinque titoli che compongono il paniere da noi
osservato dall’inizio del 2018:
Per quanto riguarda lo spread
fra Btp e Bund siamo ora a quota 137,40, discesa riconducibile unicamente
all’aumento dei tassi del titolo tedesco (quello del Btp è infatti invariato
rispetto al 1^ di gennaio).
ANCHE LE MATERIE PRIME SONO IN MOVIMENTO
La crescita diffusa
dell’economia mondiale sta trainando gli indici delle materie prime per
un’ovvia maggiore pressione della domanda pur nella piena consapevolezza che si
tratta di un settore di mercato in cui è elevata l’operatività in derivati.
Da inizio anno il prezzo del petrolio (Wti) è salito
di oltre 10 punti percentuali mentre l’oro e l’indice generale delle
commodities sono cresciuti rispettivamente del 3,6 e del 3,40%. Se continuasse
così anche l’inflazione inizierà a risentirne e gli scenari sarebbero destinati
a dei mutamenti. Staremo a vedere.
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