2018,
INIZIO COL BOTTO
Poche volte abbiamo visto in
passato un avvio d’anno tanto spumeggiante, soprattutto con, alle spalle, performance
annuali di tutto rispetto e nella consapevolezza che questa situazione è
soprattutto figlia delle manovre più che straordinarie delle banche centrali.
Tutti gli indici del paniere si trovano in area positiva, uno dei quali ad un passo da un rialzo a due cifre - la Russia – che trae vantaggio dal forte rialzo del petrolio (lo vedremo più avanti); Italia e Nasdaq seguono con performance superiori al 5% e ben otto indici si trovano fra il +2 ed il +5%. In coda a questa straordinaria classifica troviamo Svizzera, India e Gran Bretagna, buona ultima, che chiude con un “misero” 1,18%.
L’estrema positività non si
limita all’elencazione di ottime percentuali ma va evidenziato anche che ben
otto di questi indici, nelle prime due settimane dell’anno, hanno superato i
loro massimi storici e la Germania si appresta a violare questo limite,
raggiunto solo due mesi or sono, sull’onda degli accordi politici che si
ritiene andranno a stabilizzare il governo del paese economicamente più forte della
comunità europea dopo che le elezioni dell’autunno scorso avevano frantumato le
precedenti alleanze.
Ecco dunque la situazione dei
mercati:
Per dovere di cronaca va
altresì aggiunto che nel corso della scorsa settimana non tutto il paniere non è
stato brillante in modo omogeneo. Germania, Svizzera e Giappone hanno chiuso la
settimana con dei risicati ribassi che nulla tolgono al forte trend in atto.
Vediamo dunque la chiusura
della settimana scorsa:
L’EURO IN ULTERIORE RAFFORZAMENTO
Fatta eccezione per la
sterlina inglese, anche in questa prima quindicina del 2018 il rafforzamento
dell’euro prosegue, in particolar modo nei confronti del dollaro, con un
ulteriore rialzo dell’1,60%.
Questo positivo trend della valuta comunitaria va ormai avanti da oltre un anno e ad oggi sfiora il +20%. Alla parziale correzione dei mesi estivi ha fatto seguito la risalita (+5% da novembre) il cui valore di cambio ha superato in questi giorni la barriera di 1,20 dollari per euro (1,2185 per essere precisi) che delimitava il lungo trading range nel quale correvano i cross tra le due valute. Questo superamento potrebbe ulteriormente incrementarsi andando a modificare le possibilità dell’export europeo, cosa che ovviamente nessuno si augura dopo i tanti anni di crisi, a cui si accompagna la forza relativa sulle valute delle altre due superpotenze economiche, Giappone e Cina delle quali andiamo a illustrarne l’andamento.
I TASSI SI MUOVONO
Se da un lato in questo
inizio d’anno c’è stato un forte interesse per il mercato azionario così non è
stato sul fronte del mercato obbligazionario. Fatta eccezione per il Btp, il
cui rendimento è di fatto stagnante, gli altri governativi decennali che
teniamo sotto osservazione hanno registrato un’impennata dell’offerta e, di
conseguenza, un rialzo dei rendimenti, in alcuni casi piuttosto evidente.
Vediamo come si presenta la
situazione dei tassi a fine settimana:
PETROLIO IN GRANDE SPOLVERO
Rispetto all’inizio dell’anno
il Bund tedesco è passato dallo 0,42% a oltre lo 0,50% che in termini
percentuali corrisponde a un +22% e, in misura più contenuta, lo stesso è
avvenuto per gli altri governativi, Usa inclusi. Visualizziamo pertanto le
differenze di rendimento in questa prima parte dell’anno:
Per quanto riguarda lo spread
fra il nostro Btp ed il Bund ora è a quota 147,50 in virtù del rialzo dei
rendimenti germanici anche se - va sottolineato - permane una differenza di 50
bp rispetto alla Spagna a sfavore dei nostri Btp. Evidentemente la positività
della nostra crescita non è ancora sufficiente a riportare la fiducia dei
mercati a un livello teoricamente più adeguato, il che significa che c’è molta
strada da fare ed in mezzo ci attende una chiamata alle urne piuttosto
delicata.
Nel febbraio 2016 il petrolio
piombava sotto i 30 dollari al barile, ossia ai prezzi di 14 anni prima, un
evento che determinò l’uscita dal mercato di molti produttori. Da quel momento,
fra alti e bassi, l’oro nero ripiegò nuovamente fino al prezzo di 40 dollari
per barile. Eravamo a giugno dello scorso anno.
Da quel momento il prezzo
iniziò a salire superando le varie barriere psicologiche impennandosi sino ai
64 dollari della settimana scorsa, il che equivale ad una crescita del 40%, che
certamente non è poca cosa.
Si tratta di un risultato
sorprendente ma ancora più sorprendente è lo scarso impatto che tutto ciò ha
avuto sul livello dell’inflazione a livello globale o, quantomeno, ha avuto
sino ad ora perché il consolidamento dei prezzi agli attuali livelli, se non addirittura
superando la barriera dei 70 dollari, soglia ormai a portata di mano, potrebbe
innescare quella crescita dell’inflazione che determinerebbe un ritorno alla
cosiddetta normalità dei mercati per molti versi attesa, se non augurata.
Nessun commento:
Posta un commento