domenica 14 gennaio 2018

MERCATI FINANZIARI AL 12/1/2018


2018, INIZIO COL BOTTO

 

Poche volte abbiamo visto in passato un avvio d’anno tanto spumeggiante, soprattutto con, alle spalle, performance annuali di tutto rispetto e nella consapevolezza che questa situazione è soprattutto figlia delle manovre più che straordinarie delle banche centrali.
 
Tutti gli indici del paniere si trovano in area positiva, uno dei quali ad un passo da un rialzo a due cifre - la Russia – che trae vantaggio dal forte rialzo del petrolio (lo vedremo più avanti); Italia e Nasdaq seguono con performance superiori al 5% e ben otto indici si trovano fra il +2 ed il +5%. In coda a questa straordinaria classifica troviamo Svizzera, India e Gran Bretagna, buona ultima, che chiude con un “misero” 1,18%.

L’estrema positività non si limita all’elencazione di ottime percentuali ma va evidenziato anche che ben otto di questi indici, nelle prime due settimane dell’anno, hanno superato i loro massimi storici e la Germania si appresta a violare questo limite, raggiunto solo due mesi or sono, sull’onda degli accordi politici che si ritiene andranno a stabilizzare il governo del paese economicamente più forte della comunità europea dopo che le elezioni dell’autunno scorso avevano frantumato le precedenti alleanze.

Ecco dunque la situazione dei mercati:
 
 

Per dovere di cronaca va altresì aggiunto che nel corso della scorsa settimana non tutto il paniere non è stato brillante in modo omogeneo. Germania, Svizzera e Giappone hanno chiuso la settimana con dei risicati ribassi che nulla tolgono al forte trend in atto.
Vediamo dunque la chiusura della settimana scorsa:
 

 
 
L’EURO IN ULTERIORE RAFFORZAMENTO

Fatta eccezione per la sterlina inglese, anche in questa prima quindicina del 2018 il rafforzamento dell’euro prosegue, in particolar modo nei confronti del dollaro, con un ulteriore rialzo dell’1,60%.

Questo positivo trend della valuta comunitaria va ormai avanti da oltre un anno e ad oggi sfiora il +20%. Alla parziale correzione dei mesi estivi ha fatto seguito la risalita (+5% da novembre) il cui valore di cambio ha superato in questi giorni la barriera di 1,20 dollari per euro (1,2185 per essere precisi) che delimitava il lungo trading range nel quale correvano i cross tra le due valute. Questo superamento potrebbe ulteriormente incrementarsi andando a modificare le possibilità dell’export europeo, cosa che ovviamente nessuno si augura dopo i tanti anni di crisi, a cui si accompagna la forza relativa sulle valute delle altre due superpotenze economiche, Giappone e Cina delle quali andiamo a illustrarne l’andamento.
 
 
I TASSI SI MUOVONO

Se da un lato in questo inizio d’anno c’è stato un forte interesse per il mercato azionario così non è stato sul fronte del mercato obbligazionario. Fatta eccezione per il Btp, il cui rendimento è di fatto stagnante, gli altri governativi decennali che teniamo sotto osservazione hanno registrato un’impennata dell’offerta e, di conseguenza, un rialzo dei rendimenti, in alcuni casi piuttosto evidente.

 

Vediamo come si presenta la situazione dei tassi a fine settimana:
 
 
 
Rispetto all’inizio dell’anno il Bund tedesco è passato dallo 0,42% a oltre lo 0,50% che in termini percentuali corrisponde a un +22% e, in misura più contenuta, lo stesso è avvenuto per gli altri governativi, Usa inclusi. Visualizziamo pertanto le differenze di rendimento in questa prima parte dell’anno:
 

 
 
 
Per quanto riguarda lo spread fra il nostro Btp ed il Bund ora è a quota 147,50 in virtù del rialzo dei rendimenti germanici anche se - va sottolineato - permane una differenza di 50 bp rispetto alla Spagna a sfavore dei nostri Btp. Evidentemente la positività della nostra crescita non è ancora sufficiente a riportare la fiducia dei mercati a un livello teoricamente più adeguato, il che significa che c’è molta strada da fare ed in mezzo ci attende una chiamata alle urne piuttosto delicata.
 

 
PETROLIO IN GRANDE SPOLVERO
 

Nel febbraio 2016 il petrolio piombava sotto i 30 dollari al barile, ossia ai prezzi di 14 anni prima, un evento che determinò l’uscita dal mercato di molti produttori. Da quel momento, fra alti e bassi, l’oro nero ripiegò nuovamente fino al prezzo di 40 dollari per barile. Eravamo a giugno dello scorso anno.
 
Da quel momento il prezzo iniziò a salire superando le varie barriere psicologiche impennandosi sino ai 64 dollari della settimana scorsa, il che equivale ad una crescita del 40%, che certamente non è poca cosa.
 

Si tratta di un risultato sorprendente ma ancora più sorprendente è lo scarso impatto che tutto ciò ha avuto sul livello dell’inflazione a livello globale o, quantomeno, ha avuto sino ad ora perché il consolidamento dei prezzi agli attuali livelli, se non addirittura superando la barriera dei 70 dollari, soglia ormai a portata di mano, potrebbe innescare quella crescita dell’inflazione che determinerebbe un ritorno alla cosiddetta normalità dei mercati per molti versi attesa, se non augurata.

 

Per chiudere vediamo le performance settimanale dei principali indici sulle materie prime:
 
 
 

 




 














 














 
 















 
















 
 
 















 


 















 


















 
 
 
 

















 


















 

















 
 

















 


 

















 




















 

 


















 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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