Perché
ho cercato di tracciare una sorta di breviario anti-panico proprio di questi
tempi? C’è un motivo particolare? Ci sono diversi motivi.
Il primo è banale. Per solito
è bene prepararsi alle paure, e queste sono più forti se i timori per un calo
significativo dei mercati segue a un periodo di euforia. Ora i mercati azionari
registrano un buon umore “oggettivo”, nel senso che i valori prezzi/utili sono
sopra la media storica. C’è inoltre un atteggiamento “soggettivo” positivo che
Plus24 di sabato 21 marzo ha classificato come “azionario in situazione di
euforia” (p. 29). Però molti temono che questa euforia non potrà durare a
lungo.
E c’è anche un motivo più
profondo.
Esso è da ricondurre al meccanismo della paura. La paura è
un’emozione dalle molte facce, un insieme di molte cose. E tuttavia, sui
mercati finanziari, la paura si manifesta anche come un’emozione anticipatoria
di possibili guai futuri, a differenza della delusione che registra un mancato
soddisfacimento delle attese del passato (cfr. lezioni precedenti; poi, come
vedremo più avanti, alla delusione talvolta seguono il rimorso, il rimpianto e
l’attribuzione di colpe).
Infine un altro motivo è
legato alla presunta, e talvolta troppo anticipata e spesso evocata, fine della
lunga discesa dei tassi. Il momento simbolico individuato per questo lungo
cammino coincide con la risalita dei tassi statunitensi. Le previsioni sono
diverse, come si vede nella figura qui riportata.
A previsioni diverse,
conseguenze e scelte diverse. E anche delle sorprese. Molti pensavano che
il costo del denaro molto basso, e il forte e continuo calo dei rendimenti dei
titoli di stato, avrebbe potuto aiutare i consumi. Purtroppo ciò non avviene
dove la popolazione invecchia, e questo non si verifica solo in Italia.
Quando si è vecchi si ha
paura più spesso di quando si è giovani perché si ricordano più pericoli, veri
o presunti. Una recente analisi dei pensionati sudcoreani mostra che le
emozioni funzionano nello stesso modo in paesi molto lontani. La paura
attraversa le culture. I vecchi pensionati sudcoreani, come molti pensionati
italiani, dichiarano di non essere stati capaci di sfruttare il lungo rialzo
delle borse perché queste fanno loro paura. Temono troppo gli alti e i bassi.
Ora, avendo tutti i risparmi in titoli a reddito fisso o in depositi bancari
hanno visto ridursi progressivamente le loro rendite e, di conseguenza, hanno
condotto una vita sempre più frugale. Le statistiche aggregate sui consumi
mostrano proprio il fenomeno nel suo complesso (cfr. tabella con i dati del
Ministero del Lavoro sudcoreano).
Marco Lo Conte su Plus24
del Sole24Ore di sabato 4 aprile (p.7, nella rubrica che si è ispirata nel
titolo e nello spirito a questa mia rubrica e a un mio precedente libro, sempre
con lo stesso titolo) racconta che nelle ultime settimane “si è impegnato in
diversi dibattiti sull’andamento del real estate e dei mutui”. Marco Lo Conte
ricorda che in Italia il 73% della ricchezza è in mano a chi ha oltre 65 anni.
Questo stato di cose rende particolarmente difficile “in Italia rispetto ad
altrove la comprensione dei mutamenti e l’accettazione dei trend durevoli di
mercato, soprattutto del mercato immobiliare in rapporto all’andamento delle
borse”. Si torna insomma al punto discusso in relazione ai pensionati
sudcoreani (e italiani) e alle conseguenze della paura, in particolare a quella
che potremmo chiamare la “paura classica”.
La “paura classica” è
collegata al seguire in tempo reale i mercati e ai timori che una discesa
diventi un calo prolungato e consistente, com’è già successo due volte nel
corso di questo secolo. E i risparmiatori hanno la memoria lunga. Lunga al
punto che la maggioranza degli italiani non ha partecipato al banchetto delle
borse iniziato nel marzo 2009, e non ancora terminato ad aprile del 2015. Se la
paura classica è anticipatoria, e se stiamo entrando in una fase di mercato
volatile, ci sono i segni latenti per future paure.
Un caso classico di “paura
anticipatoria” è quello della tanto temuta, ma sempre rinviata, crescita dei
tassi. Noi sappiamo che i tassi a lungo termine hanno avuto un picco fino a
quasi il 10% nel Seicento, per poi oscillare per secoli intorno al 5%. In
seguito alla grande crisi degli anni Trenta, i tassi sono scesi sotto al 2%,
per poi salire gradatamente fino al 15% al principio degli anni Ottanta. Da
allora fino a oggi sono scesi per raggiungere livelli che non sono mai stati
così bassi da sempre, addirittura negativi nel caso dei più sicuri emittenti
europei.
(Per i tassi “storici”
basta digitare su Google “Haldane speech 797” per leggere la recente conferenza
“Growing Fast and Slow”, di Andy Haldane, capo ufficio ricerche della Banca
d’Inghilterra. In questa lezione farò riferimento a figure e dati contenuti
nella sua recente conferenza).
Tutto quello che succede
tende a venire interpretato alla luce di questa paura che prende la forma
dell’ansia anticipatoria: nel mese di marzo sono stati creati negli Stati Uniti
meno posti di lavoro del previsto, ed ecco una reazione immediata. Il dollaro
s’indebolisce, ma solo temporaneamente, perché la notizia tende a far
credere che il tanto atteso rialzo dei tassi verrà ulteriormente dilazionato.
Il brevissimo periodo
spesso prevale sulla media di lungo periodo fornita dalla Federal Reserve e dal
Ministero del lavoro, indicata in blu nella figura qui riportata. Sul momento,
quello che conta è il dato immediato:
E non si bada neppure
all’influenza del tutto temporanea del freddo eccezionale (che ha impattato su
costruzioni e svaghi: cioè alberghi, viaggi e ristorazione). Ora il freddo, in
realtà, ha pesato meno del solito, come ci dice l’Ufficio del lavoro con le sue
statistiche:
La “paura da anticipazione”
ha creato il paradosso tale per cui le forme di investimento – in primis i
titoli degli stati super-sicuri - che avrebbero dovuto allontanare sui
tempi lunghi la paura sono una scelta dettata dalla “paura”. Sembra infatti che
solo la paura può indurre ad acquistare un titolo che non rende quasi nulla e
che scenderà di valore appena che i tassi saliranno. Questo stato di cose
diviene chiaro nella tabella seguente che indica “la stortura nei rendimenti”.
La tabella riportata mostra
come oggi i titoli considerati più sicuri, cioè i titoli di stato doppia AA
(britannici e statunitensi) e quelli tedeschi (tripla AAA) diano appunto un
senso di sicurezza perché sono stabili, e ci renderanno molto probabilmente il
capitale prestato, appunto perché sono AA o AAA. E tuttavia quelli tedeschi, i
più sicuri, hanno un difetto impensabile fino a poco tempo fa: non rendono
nulla. Quindi siamo costretti a scambiare sicurezza e stabilità con rendimenti
nulli. Anche quelli italiani, diffusi tra i nostri risparmiatori, pur essendo
più rischiosi (tripla BBB), offrono cedole risibili rispetto a quelle di un
tempo, nel lungo trentennio della progressiva discesa dei tassi. Non tutti i
risparmiatori sono disposti a questo scambio anche perché per decenni si è
contato sulla regolarità di cospicue cedole per integrare il reddito. La paura,
e il conseguente desiderio di sicurezza, si accompagnano oggi a rendimenti che
sono quasi nulli e talvolta sono negativi: questi titoli sono diventati molto
costosi pur di approdare alla sicurezza. E tuttavia basta che i tassi salgano
un po’ e questi titoli scenderanno: questo è quello che in inglese si chiama
“negative skew”, una possibile deviazione di valore verso il basso, assai più
probabile di un ulteriore rincaro. Tutto ciò è pericoloso e gli inglesi
paragonano il “negative skew” al “chinarsi a raccogliere le monetine di fronte
a uno schiacciasassi che avanza” (Economist, Buttonwood, Skewiff, 21 marzo
2015). Se scenderanno di valore, si dovrà tenerli fino alla scadenza e
accontentarsi nel frattempo di rendimenti bassissimi. Ma le scadenze possono
essere lontane. E così questa parte dei portafogli si comporterà, sebbene per
motivi diversi, in modo simile ai nostri investimenti immobiliari. La
paura è soggettiva e temporanea, ma i pericoli che da essa discendono sono concreti
e duraturi!
Nessun commento:
Posta un commento