mercoledì 24 giugno 2015

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 132 – Decalogo della paura: meccanismi collegati! Quello che è noto non ci fa paura ma ci fa sbagliare.



Torno al tema della lezione precedente: le “false certezze” e le paure “giuste”. Proprio le persone sicure di sé e delle proprie “false certezze” sono spesso le stesse persone che fanno le più clamorose sciocchezze. Poi non ammettono di averle fatte, e finiscono per peggiorare le cose (cfr. il mio “Non occorre essere stupidi per fare sciocchezze”, Mulino, 2011). Al contempo, il senso del controllo degli eventi, e la fiducia in se stessi, sono un buon ingrediente per affrontare la vita in modo ottimistico, a patto che non si esageri.

Nel caso delle paure associate alla gestione del risparmio, la questione di fondo consiste nel dubitare anche di se stessi e nel domandarsi se siamo in condizioni di gestire con il metodo “fai-da-te” i nostri risparmi. Abbiamo visto che molti italiani hanno ritenuto di essere preparati, con esiti nel complesso non molto brillanti. Ed è curioso che non avevano paura di sbagliare proprio nel campo in cui avrebbero dovuto avere paura, come ho cercato di mostrare nei miei “6 esercizi facili” (Cortina, 2015). Solo un professionista, o una persona che ha studiato e pensato, sa maneggiare la teoria di Markowitz, basata su sei componenti, ciascuno dei quali è difficile, se non  contro-intuitivo. In sostanza, la teoria funziona sulla base di un’ammissione di incertezza, una sorta di dubbio sistematico. Avere dubbi e cercare di darsi torto è il segreto del pensiero critico. La paura di sbagliare, in questo senso può aiutare. 
Il mistero è come mai non si abbia paura di sbagliare in certi ambiti decisionali, proprio dove sarebbe bene andare cauti (ma il mistero lo risolvo nel mio recente libro!). 
Vi faccio un esempio d’attualità, un esperimento molto semplice. 

Nell’ultimo mese sono stati venduti all’asta dei pezzi di arte contemporanea. In ordine: un quadro di Pablo Picasso (Les Femmes d’Alger, version O”), al prezzo di $ 179,4 milioni; 



 un quadro di Mark Rothko (N° 10), al prezzo di $ 82,9 milioni;



un quadro di Vincent Van Gogh (L’Allée des Alyscamps), al prezzo di $ 66,3 milioni;





e, infine una statua di Alberto Giacometti (L’Homme au Doigt) per $ 141,3 milioni.



 Immaginate che dieci anni fa fosse stato chiesto a un campione rappresentativo di italiani quale sarebbe stato il prezzo di queste opere di lì a un decennio. Nessuno avrebbe dichiarato di sapere se erano un buon investimento oppure no, prendendo come riferimento i prezzi di allora. Suppongo inoltre che oggi, se io non avessi riportato il prezzo attuale, la maggioranza delle persone non avrebbe avuto un’idea precisa non solo dei valori assoluti, ma neppure della scala ordinale dei valori attribuiti recentemente a queste quattro opere (Picasso > Giacometti > Rothko > Van Gogh). 
Gli amici da me interrogati hanno dato un ordine diverso semplicemente perché a un inesperto di arte contemporanea i nomi di van Gogh e Picasso sono più noti (provate anche voi con i vostri amici). Questo è l’effetto del ben noto meccanismo del “riconoscimento per familiarità”, quello, per intenderci, che in tutto il mondo fa prevalere presso i risparmiatori gli investimenti in qualcosa che è noto (“availability bias”). E quel che ci è familiare, il più delle volte, è qualcosa “di casa”: di qui il ben noto “home bias” nella scelta degli investimenti, in Italia fortissimo, almeno in passato.
Nello stesso tempo, una stragrande maggioranza di italiani, dieci anni fa, aveva dichiarato, rispondendo a un sondaggio condotto con un campione rappresentativo di risparmiatori, che i valori delle case sarebbero certamente saliti (cfr. il mio testo del 1996). Come mai, in questo campo, gli italiani credevano d’intendersene e in quell’altro no? Semplicemente sulla base della loro esperienza personale, e della fuorviante tendenza a dare un eccessivo peso a quella che è la nostra “esperienza personale”. Pessima guida, quest’ultima, per la gestione dei risparmi perché favorisce sistematicamente ciò che ci è noto, noto sulla base della nostra storia, proprio come nel caso dei giudizi sui valori dei quadri.  E tuttavia le persone che danno un giudizio sui quadri si affrettano ad aggiungere che non se ne intendono. Tirate da voi la morale di questo esempio (e magari usatelo con i vostri clienti, per lo meno con quelli più superbi!). E tutto ciò ci riporta alla paura: le persone tendono ad avere paura di ciò che è sconosciuto, non familiare, e non vedono i pericoli che hanno sotto gli occhi!


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