martedì 20 gennaio 2015

MERCATO IMMOBILIARE. CRISI CONTINGENTE O CRISI STRUTTURALE ?



Nei miei precedenti articoli ho toccato il tema della crisi italiana, i suoi effetti sulla difficoltà di produzione di nuova ricchezza e la vitale necessità di un’oculata gestione della componente finanziaria del proprio patrimonio ormai destinato a una progressiva riduzione nel tentativo di mantenere il più a lungo possibile il tenore di vita a cui eravamo abituati solo fino a pochi anni fa.
Se andiamo a ben guardare però non sono le attività finanziarie quelle detenute in misura maggiore dai risparmiatori italiani, bensì quelle immobiliari; queste ultime infatti pesano per un 60% scarso della ricchezza totale dei nostri concittadini, una concentrazione piuttosto elevata rispetto agli altri paesi europei e molto maggiore rispetto alla realtà statunitense.
Per essere precisi i dati di fine 2013 misuravano questa ricchezza in poco meno di 5.000 Miliardi di Euro (ca. 200.000 Euro per famiglia) a fronte di investimenti finanziari pari a 3.800 Miliardi di Euro. Fa riflettere il vistoso calo dei titoli pubblici sceso a poco meno del 5%, una percentuale molto bassa rispetto al recente passato. Disaffezione dunque per i titoli di stato ma ancora un forte legame affettivo per le abitazioni.
Questa situazione, lo sappiamo bene, è stata non solo figlia del naturale desiderio di possesso dell’abitazione nella quale si vive ma altri fattori l’hanno favorita. In primo luogo lo sviluppo demografico accompagnato dalla disgregazione della famiglia patriarcale. Dal secondo dopoguerra si è enormemente incrementato il numero di nuove coppie desiderose di indipendenza e, di conseguenza, la richiesta di nuove abitazioni è stata costantemente alimentata.
Il prezzo delle abitazioni è andato via via aumentando, sospinto dalla domanda e dalle disponibilità crescenti che lo sviluppo andava costantemente formando e, in assenza di un mercato trasparente in grado di fornire una loro continua e precisa valutazione, ha indotto gli investitori a ritenere che i valori immobiliari fossero inevitabilmente crescente.
In quegli anni banche, costruttori, immobiliaristi, politici, contribuirono a sostenere e ad alimentare il fenomeno, direttamente interessati in quanto percettori di forti flussi di utile e così tutto è durato oltre ogni ragionevole livello.

Dal 2008 la situazione è profondamente mutata e i risparmiatori italiani hanno scoperto una diversa e meno appagante realtà.
E’ sopraggiunta la più dura crisi del dopoguerra in tutta l’area occidentale ma da noi ha incrociato un Paese in fase di deindustrializzazione e sofferente per un mercato del lavoro inefficiente, una società poco evoluta, impregnata di privilegi e corporativismi, assolutamente priva di collaudati meccanismi di mobilità sociale.
La crisi dunque non ha trovato un Paese pronto e abituato a mobilitarsi per affrontare l’emergenza e a  rimboccarsi le maniche, ma un paese ancora spaccato fra realtà industrializzate e non, fra cittadini ligi delle norme e cittadini che sistematicamente le violano, in piena crisi politica nel quale l’unico punto d’appoggio per i singoli cittadini è costituito dalla famiglia o, peggio, dal clan.
La crisi ha pertanto falcidiato - come ovunque nel mondo - il valore degli immobili (che nonostante ciò sono attestati a livelli tali da non consentire ai giovani di comprare casa, nemmeno con mutui a 40 anni … ).
In questa situazione l’intera nuova generazione si è trovata nella vana e disperata ricerca di un lavoro che non solo non si trova, ma che addirittura sfugge di mano ai loro genitori; l’alternativa, unica, il lavoro precario, con stipendi bassi e prospettive mortificate.
Se capita ai figli dei proprietari di immobili di ereditare l’abitazione dei genitori non solo non riescono a mantenerla ma sempre più spesso si affrettano a venderla a prezzi di realizzo poiché la loro necessità è quella di fare cassa, cosa che purtroppo li accomuna in ciò anche a molti proprietari.

Ci si trova sempre più spesso dunque ricchi di patrimonio ma con le tasche vuote e in questo caso cosa si può fare? Si può andare al supermercato e pagare con un balcone o una dozzina di mattonelle? Non si può, ovviamente; si vende l’intera abitazione o, se si trova la banca disponibile (sempre che ci sia), si contrae un nuovo mutuo e si spera di riuscire a pagarlo.

Questo fenomeno produrrà nel tempo nel settore immobiliare un’ulteriore lievitazione della parte offerente a scapito della tenuta dei prezzi già decisamente compressi proprio in virtù della compressione, presente e futura, dei redditi da lavoro.

Forse sarà superfluo ricordarlo, c’è anche una questione tutt’altro che secondaria, quella dell’enorme cementificazione e le devastanti alluvioni autunnali ce lo stanno a ricordare. La cementificazione è enorme e Il rapporto fra abitazioni e popolazione è denso; non abbiamo pertanto necessità di incrementare ulteriormente il patrimonio immobiliare esistente ma al massimo quella di farne un’utile manutenzione.
La popolazione sta diminuendo, i flussi migratori non sono più unidirezionali in arrivo (e comunque in sensibile calo) ma masse crescenti di connazionali emigrano in cerca di opportunità che non riescono più a trovare in Italia; l’unico motivo per supportare l’edilizia sta nel fatto che, producendo reddito, ci sta una vasta platea di operatori interessati a trarne vantaggio; umanamente comprensibile e condivisibile ma razionalmente inutile, se non addirittura dannoso per la società nel suo complesso.
Ci vorranno ancora parecchi anni per ritornare in un punto di equilibrio.  Ma ora viene “il bello”, si fa per dire - e non sto parlando di inquilini che non pagano l’affitto o lo danneggiano, di case occupate abusivamente, di costi di manutenzione sempre più elevati, di immobili finiti sott’acqua o danneggiati da smottamenti o devastati da movimenti tellurici (purtroppo sì visto che si è costruito dovunque e molto spesso in zone ad elevato rischio idrogeologico) – sto parlando della questione fiscale.
Credo sia chiaro a tutti che nella situazione in cui grava il settore produttivo del nostro Paese, per una ineludibile questione di competitività, non ci si possa accanire ulteriormente sotto il profilo fiscale sui redditi d’impresa. Le imposte personali sui redditi ci collocano nei primissimi posti della classifica europea senza peraltro poter avvicinare il livello qualitativo dei servizi sociali dei paesi con i quali ci confrontiamo e le imposte indirette sono ad un livello già molto elevato. Non parliamo poi di accise, balzelli ed ammennicoli vari.
Colmato il gap con gli altri paesi europei in termine di tassazione delle rendite e dei guadagni in conto capitale degli investimenti finanziari, settore già debole a causa della propensione al risparmio in caduta libera dove si dirigerà la poderosa e spietata macchina dell’imposizione fiscale nel Belpaese? Comodo e visibile, eccolo là … il patrimonio immobiliare, il futuro destinatario dei prossimi inasprimenti.
Fra tassazione sì, tassazione no, tassazione forse, ora siamo ben certi che gli immobili sono e saranno tassati e la base imponibile sarà individuata nel modo più adeguato per essere quantomeno equa in base al reale valore dell’immobile. Ce l’hanno promesso e diamolo per scontato.
Ma non finirà qua. Ci ricordiamo che esiste una tassa di cui si è forse persa memoria in questi anni? Questa tassa si chiama imposta di successione e l’Italia è molto lontana dagli standard europei. Sembrerebbe quasi fosse stata messa da parte, pronta all’utilizzo in caso di necessità; una tassa che funziona come una ruota di scorta. Se si sgonfia ulteriormente il gettito eccola là, bella pronta, qualche ritocco e dopo averla messa in un cantuccio per qualche anno la vedremo uscire dal cilindro del ministro di turno, come un coniglio bianco da quello del prestigiatore.
Per prima cosa si andrà ad agire sulla franchigia di esenzione, ora pari a 1 Milione di Euro per ciascun erede, e la tassa parte dal 4% per coniuge e figli. Le indiscrezioni che sono circolate (nel caso più doloroso per le tasche dei contribuenti) parlano di un’esenzione ridotta a soli 100.000 Euro e un’aliquota minima del 20%. Sono indiscrezioni e dunque vanno prese con grande cautela ma comunque ci forniscono un’ipotesi di calcolo. Supponiamo di possedere immobili per un valore di 1.000.000 Euro ai fini di questa imposta. Oggi l’imposta è azzerata, ma se fossero applicati i limiti anzidetti la tosatura arriverebbe a 180.000 Euro nel caso esposto.
Sotto un certo profilo peggiore, se l’ipotesi fosse realizzata, sarebbe la situazione per gli eredi di immobili di valore più basso, quelli che normalmente sono nelle disponibilità delle famiglie meno abbienti, già poco dotate di mezzi finanziari. Supponiamo che l’immobile ereditato valga 300.000 Euro, l’imposta corrispondente sarebbe di “soli” 40.000 Euro, certamente inferiore ma calerebbe su un patrimonio finanziario molto più contenuto.
Quale l’effetto dunque? Innanzitutto gli eredi, diversamente da ora, si dovranno di fatto ricomperare una parte della proprietà immobiliare che ereditano.
Sul mercato immobiliare, già esangue di suo, questa sarebbe un’ulteriore mazzata. Forse la conferma di una crisi non più transitoria, ma strutturale.
Forse, nel pensare agli immobili, tanto amati in passato dagli italiani come veicoli di investimento (al di là di una sana logica di diversificazione per i patrimoni elevati) si tornerà alla loro natura di beni a ciclo pluriennale destinati ad uso personale (da cui agio, comodità, sicurezza, ecc. per sé e per la propria famiglia) abbandonando l’idea di una convenienza reddituale e finanziaria che già ora non hanno e che in prospettiva riavranno forse solo fra qualche decennio.

In conclusione forse non la fine di un’epoca ma certamente un brusco risveglio in un’amara realtà.

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