domenica 25 gennaio 2015

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 112 - Gli elementi psicologici negli scenari del 2015



In questi giorni, ho avuto modo di leggere non solo il Sole-24Ore, come tutti i giorni, ma anche il Financial Times e il New York Times. Tutti s’interrogano sulla data dell’aumento dei tassi USA e, soprattutto, sugli scenari determinati dalle decisioni dei banchieri centrali (Janet Yellen in testa). Per esempio, sul Financial Times del 19 dicembre, ci sono lunghi commenti dei vari esperti sulle diverse possibilità che si aprono e poi, col passare del tempo, andranno a determinare gli scenari del 2015.

Per un aspetto il 2015 sarà probabilmente simile agli anni appena trascorsi. Si tratta della rilevanza e del peso delle decisioni politiche sull’andamento dei mercati finanziari. Un grafico elaborato dall’Università californiana di Stanford è, in questo senso, illuminante: arsi della prima impressione, sia nella tendenza a catalogare le persone in modo da renderle prevedibili.




In questo grafico è indicato in azzurro, chiaro + scuro, il totale degli eventi che hanno innescato discese (ancora una volta ricordo la mag­gior sensibilità della mente umana alle perdite rispetto a equivalenti guadagni), e, in azzurro scuro, le discese innescate da decisioni po­litiche delle banche centrali. Lo stesso andamento è raffigurato per i guadagni: in giallo + rosso il totale, e solo in rosso quelli di natura “politica”. La prima annata “speciale” è stata quella del 2008, l’inizio della crisi, ma l’andazzo è in seguito continuato. Dal grafico si vede chiaramente come, a partire dal 1980, il peso degli interventi non sia mai stato storicamente così rilevante. E le conseguenze sono eviden­ti già da un indicatore: il rapporto tra le dimensioni del bilancio delle banche centrali e il PIL. Questo valore ha superato il 50% nel caso del Giappone, il 25% per gli USA, e il 20% per l’area Euro: sono per­centuali inusitate, almeno rispetto al passato, e sono speculari alle decisioni “politiche” di cui al grafico precedente. Il grafico, se fosse prolungato fino al 2015 (l’Università di Stanford l’ha compilato con i dati fino al 2013) mostrerebbe una curiosa anomalia. I mercati “prez­zano” un tasso Fed per fine 2015 allo 0,5% quando la maggioranza dei membri della banca centrale lo stima tra l’1% e l’1,5% (vedi figu­ra successiva, per un approfondimento cfr. Walter Riolfi, Sole24Ore, 28.12.14, p. 5). Questa è un’ulteriore dimostrazione della “psicologia” dei mercati, di questi tempi assai baldanzosa (secondo i guru, Wall Street crescerà di un altro 10/13%, e l’Europa farà ancor meglio).

Il peso delle decisioni “politiche” rende molto difficile il lavoro dei gestori. Non basta il consueto collegamento “andamento economico finanziario ► andamento dei mercati”. I gestori devono tener conto della variabile intermedia costituita dalle decisioni politiche: “andamento economico finanziario ► decisioni politiche ► andamento dei mercati”. La sequenza diventa più complessa.

Dato che le decisioni politiche sono, per l’appunto, politiche, e quindi determinate da pochi decisori, esse spostano ulteriormente i fattori rilevanti per gli andamenti dei mercati all’interno delle menti dei decisori, e non ai semplici dati economici (anch’essi peraltro determinati in parte dalla psicologia dei mercati). Questi ultimi sono selezionati, filtrati ed elaborati da parte di chi decide (con le sue categorie mentali, e con una specifica focalizzazione su una delle varie possibilità, punto rilevante che approfondirò nel mio prossimo libro “Sei esercizi facili”, che Cortina Editore pubblicherà in aprile).

In conclusione, assistiamo a un rafforzamento della deriva psicologica di questo mondo economico-finanziario, con mia soddisfazione, ma con grandi preoccupazioni e complessità per i gestori. I gestori nel 2015 non avranno vita facile, per i motivi già approfonditi da Carlo Benetti e da me nelle lezioni finali del 2014: azioni relativamente care (il p/e di un S&P a 2.300 punti sarebbe 18,2 secondo le ultime stime), obbligazioni con rendimenti bassi, quasi piatti, e mercati emergenti in fibrillazione (soprattutto quelli legati alle materie prime). E, in sovrappiù, le decisioni dei banchieri centrali e dei politici (vedi eventuali elezioni in Grecia). Ecco allora entrare in campo lo scenario 2015 dei consulenti, di cui parlerò nella prossima lezione. Questa è tutta un’altra storia, speculare a quella dei gestori.

Va infine tenuto presente che la variabile “psicologica” è resa ricca, complessa e imprevedibile anche in conseguenza del fatto che non si tratta di una decisione di una singola persona – di cui col tempo possiamo cogliere la mentalità e lo stile del pensiero. Si tratta invece di una decisione di gruppo che, in futuro, farà sintesi di punti di vista diversi, come si vede dal seguente grafico che indica le previsioni dei singoli membri della Fed.




La tabella relativa al “federal fund rate” mostra che la previsione media, ricavata dai “pallini” corrispondenti ai singoli giudizi di ogni banchiere della Fed, è di una risalita graduale che giungerà, come minimo, al 3,5% alla fine del 2017. Spesso la tendenza a vedere gli eventi come determinati dalle decisioni dei singoli protagonisti, come Janet Yellen, ci fa dimenticare la struttura complessa e pluri-decisionale delle banche centrali (in primis la Fed), e ci induce a personalizzare il primo dei due grafici riportati in questo pezzo d’apertura del 2015, attribuendo le “decisioni politiche” solo ai capi delle banche centrali.


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