martedì 8 aprile 2014

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 78 – Le trappole dell’intelligenza emotiva


La meravigliosa scoperta dei neuroni specchio da parte di un gruppo di ricercatori dell’Università di Parma capitanato dal Prof. Giacomo Rizzolatti, vincitore del Brain Prize 2014, ha indotto alcuni studiosi a supporre che, siccome siamo dotati di neuroni capaci di “leggere” le intenzioni altrui, quanto più una persona è priva di intelligenza emotiva, e non è quindi in grado di intuire le nostre emozioni, tanto più può essere cattiva nei nostri confronti.


Questo è vero: per fare cattiverie bisogna disumanizzare la vittima, non vederla come appartenente alla nostra stessa specie o gruppo culturale, considerarla quasi priva delle nostre emozioni.

Ma non vale il contrario. Non c’è alcuna garanzia che una persona dotata di intelligenza emotiva sviluppata, che sappia cioè decodificare i nostri stati d’animo in modo preciso, e per noi sorprendente, non sia capace di farci cattiverie. Anzi, le può fare meglio, se trae piacere dal fare cattiverie, proprio in quanto sa leggere i nostri stati d’animo.

L’intelligenza emotiva non comporta automaticamente bontà. 

E’ vero, peraltro, che se vediamo fare cattiverie a un essere inanimato, per esempio un cadavere o un robot, noi tendiamo a umanizzarlo, cioè a immaginarlo come dotato di più qualità mentali di quanto non facciamo quando nessuno gli fa cattiverie (del tipo: infierire sui cadaveri o strappare i circuiti elettronici dei robot). 

Questa tendenza risulta confermata da un elegante esperimento, pubblicato nel 2013, che mostra appunto che noi umanizziamo le vittime di cattiverie altrui, anche se si tratta di oggetti inanimati (robot, cadaveri, cfr. Legrenzi su L’empatia, il bene, il male, Almanacco delle scienze di Micromega, 2014, pp. 122-135).

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