sabato 31 agosto 2013

Ho appena compiuto 71 anni. E’ tempo di bilanci! Il bilancio pratico della finanza comportamentale, e della mia esperienza, si riassume, in sintesi, in tre paradossi, che bisogna capire fino in fondo e accettare.

Il primo paradosso lo ho già discusso a lungo, anche nel mio recente libro. Come ricorderete esso consiste nel fatto che si risparmia per difendersi da un futuro incerto, ma si è costretti a depositare i risparmi in portafogli il ci andamento futuro è incerto. Il secondo paradosso – che abbiamo già introdotto nella lezione precedente – nasce dalla constatazione che sarebbe meglio, per il benessere dei nostri risparmi, che il loro andamento, una volta che li abbiamo investiti, non ci stesse troppo a cuore. Perché, se ci sta molto a cuore, finiamo per controllare troppo spesso come vanno. Seguirne con apprensione gli alti e bassi dei risparmi innesca errori nella scelta dei momenti di entrata/uscita dai mercati, e ci spinge a tenere una percentuale molto bassa o nulla di azioni.

Il secondo paradosso spiega come mai prendiamo decisioni troppo basate su quello che succede sui tempi corti, e che cii preoccupa. Finiamo così per fare peggio rispetto a uno stile di gestione che non controlla spesso il valore dei risparmi. Dovremmo comportarci come Ulisse e le sirene: magari controllarne l’andamento, ma dopo esserci legati le mani, in modo da non agire, soprattutto se non abbiamo imparato a difenderci dalle nostre emozioni, in particolare dal dolore delle perdite. Esaminiamo ora il terzo paradosso. A differenza dei primi due, esso ha a che fare con la relazione tra consulente e risparmiatore e pptremmo formularlo così:

Il terzo paradosso consiste nel fatto che il risparmiatore impreparato rimprovera al consulente quello che è un merito e non un difetto. Se il consulente ha ben diversificato il portafoglio del cliente , il consulente avrà per definizione perso delle buone occasioni, nel senso che avrebbe potuto concentrarsi sulle scelte che si sono rivelate più di successo. Questa critica viene fatta da chi non conosce la modera teoria della diversificazione.

Questo terzo paradosso porta a quello che poteri chiamare il quarto paradosso della consulenza, e cioè che:

Il consulente finanziario è l’unico tipo di consulente che ha, per così dire, due clienti: il cliente in carne ed ossa, con una mente fatta a modo suo e con le emozioni che funzionano a modo loro, e il portafoglio del cliente. Non sempre i due presunti clienti vanno d’accordo, anche se per la razionalità finanziaria dovrebbero coincidere.

Che cosa succede, infatti, se il risparmiatore non ha assimilato bene la logica e la metodologia della differenziazione delle diverse parti di cui si compone il suo portafoglio? Come reagirà? Ai suoi occhi il passato si congela, secondo il ben noto principio del senno di poi. Questo meccanismo mentale è molto forte, e agisce in modi di cui non siamo consapevoli, come hanno mostrato molte ricerche. Il passato si blocca, e ci sembra ovvio che le cose non potevano andare “se non in quel modo”, tanto è vero che sono proprio andate così. E allora, come mai a suo tempo non si è puntato sulle vie che si sono rivelate più profittevoli, e ci si è dispersi anche sulle altre? E’ difficile spiegare che abbassare il rischio di portafoglio implica proprio non sfruttare sino in fondo occasioni rivelatisi, ma solo in seguito, assai profittevoli. La logica della differenziazione implica, per definizione, proprio “perdere delle buone occasioni”. Ovviamente le buone occasioni si rivelano come tali solo quando il futuro è diventato passato. Purtroppo un portafoglio, proprio se ben diversificato, rende a posteriori “visibili” agli occhi dei clienti quelle vie che si sono rivelate migliori di altre. E il risparmiatore si domanda, sempre a posteriori, come mai, a suo tempo, non siano state percorse solo quelle. Ecco che spunta il quarto paradosso!

Conseguenza: la strategia della diversificazione pone difficoltà al consulente sia a priori, quando deve applicarla, dato che il cliente si domanda come mai lui sia un esperto che non sa quale sia la scelta in assoluto “migliore”, sia a posteriori, quando si trova a dover spiegare perché a suo tempo non si è concentrato sulle scelte rivelatesi solo in seguito migliori.

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