domenica 12 agosto 2012

GLI ITALIANI INVESTONO CON UN OCCHIO AL PASSATO MA SONO MOLTO POCO ATTENTI A COSA RISERVA LORO IL FUTURO


Qualche giorno fa i principali quotidiani italiani hanno pubblicato un’analisi sul consueto studio annuale effettuato da Mediobanca sui fondi di diritto italiano.
Qualcosa da eccepire su quanto riportato ce l’ho sulla punta della penna e ho molta voglia di manifestarlo.
In primo luogo va rilevato che nelle tasche degli italiani i fondi comuni (e le sicav di diritto estero) rappresentano una quantità relativa (meno del 15% della ricchezza disponibile), fatto assolutamente anormale nel mondo occidentale che utilizza in misura molto più massiccia questi strumenti che garantiscono la massima diversificazione del rischio e la massima trasparenza in quanto controllati a vario livello da organi istituzionali. L’esiguità di questa componente di attività finanziarie non è dunque mediamente determinante per la performance complessiva del portafoglio investito.
In secondo luogo la ricerca si basa sui fondi comuni italiani, strumento che da anni è progressivamente sostituito nei portafogli dalle sicav di diritto estero che normalmente gestiscono masse decisamente più elevate, rispetto alle nostrane società, che possono vantare lunga tradizione ed esperienza, economie di scala molto efficienti ed è normale che all’interno delle singole sicav si trovino prodotti di grande qualità.
L’accento della ricerca è stato posto principalmente sul fattore costi. Effettivamente i costi dei prodotti italiani è sovente eccessivo a fronte delle performance ottenute.
Mi sembra fuorviante condividere, come asserisce Mediobanca, che un investimento in Bot avrebbe dato ritorni più soddisfacenti. Qui a mio avviso si può ingenerare una certa confusione fra i risparmiatori demonizzando uno strumento tanto utile quanto mediamente poco diffuso.
Innanzitutto alla performance media complessiva dei portafogli investiti contribuiscono in misura straordinaria i depositi bancari e postali (oltre il 40% delle attività finanziarie totali), notoriamente poco remunerativi, le obbligazioni bancarie ed i titoli di stato (che sommati arrivano al 30%). Ora va sottolineato - come ebbi modo di scrivere nel luglio 2010 (“L’incoerente allocazione del risparmio nel reddito fisso. Un’anomalia tutta italiana” – pubblicato nel mio blog) - l’allora presidente uscente della Consob, Lamberto Cardia, mise in guardia i risparmiatori italiani dall’eccesiva presenza delle obbligazioni bancarie nei portafogli, strumenti che lui stesso dipinse come illiquidi, in prevalenza, e sovente più rischiosi dei titoli di stato senza che tali rischi siano adeguatamente riflessi nel rendimento offerto.
I Bot infine, in questi  ultimi anni, hanno visto crollare i loro rendimenti e a qualcuno verrà in mente che ci furono aste caratterizzate addirittura da rendimenti negativi. Calcoliamo anche le commissioni che i normali clienti pagano (non entrano nel computo delle serie storiche degli indici) e il quadro si fa un po’ più chiaro.
Infine, “last but not least”, andiamo a considerare l’assoluta casualità con cui vengono scelti i fondi. La maggior parte di essi viene venduta agli sportelli bancari ed è raro che la loro sottoscrizione sia un atto consapevole e razionale del risparmiatore; la normalità è che l’acquisto di una sicav o di un fondo comune sia frutto di un’adesione ad una proposta proveniente dallo sportellista di turno o dal promotore finanziario della banca (lo dice il nome stesso, “promotore”, che promuove …) e spesso sono anche condizionati dalle esigenze di budget delle loro banche...
Spostiamo il baricentro della discussione sulla vera questione: la pressoché totale assenza di Consulenza (con la C maiuscola) nelle scelte di investimento.
Se consideriamo la questione sotto questo profilo allora il quadro si fa più chiaro, più razionale, più coerente. Quando la costruzione di un portafoglio passa attraverso una seria consulenza è molto più probabile che l’asset sia innanzitutto ben diversificato, coerente e compatibile con il grado di rischio/rendimento del cliente, che siano considerati nella dovuta maniera gli aspetti fiscali, gli orizzonti temporali più idonei, gli aspetti successori, l’efficienza stessa dell’asset ma, soprattutto, è fondamentale che il portafoglio sia finalizzato agli obiettivi del risparmiatore che non sono i rendimenti fini a sé stessi (e mai scevri da rischio) ma sono cose molto concrete, quelle che ci può portare la vita. Può un rendimento aiutare a pianificare la mia pensione, l’università per i miei figli, la casa adatta alle mie esigenze, mi copre dagli imprevisti della vita come possono essere dei ricoveri di lungodegenza o il supporto di un badante?
La risposta è ovviamente no e il vero problema da affrontare è sempre lo stesso: l’assenza di consulenza, un vuoto da colmare al più presto.


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