sabato 31 dicembre 2011

IL RISPARMIATORE ITALIANO E LA SINDROME DI PETER PAN



Con l’avvicinarsi del capodanno è consuetudine  fare delle riflessioni su come è andato l’anno che stiamo per abbandonare e ci lasciamo andare a ipotesi e congetture su cosa vorremmo e dovremmo fare in quello successivo affinché si possano trarre miglioramenti e soddisfazioni.
Nemmeno io mi sono sottratto a questa consolidata abitudine ma quest’anno, mano a mano che riflettevo, il mio pensiero si allargava dalla piccola sfera personale per andare ad abbracciare orizzonti più ampi, sfociando nel sociale ed estendendosi a orizzonti temporali sempre più lunghi.
Il perché mi era comunque chiaro; dall’inizio di questo secolo si sono susseguiti eventi imprevedibili di enorme portata, destinati non solo a lasciare un segno nella storia ma, come pensano ormai molti studiosi con i quali concordo da tempo, addirittura destinati ad essere i motori di cambiamenti epocali.
Ovvio che tutto ciò andava a ricadere nella sfera di cui mi occupo - la finanza - in tutti i suoi aspetti ma la mia riflessione andava focalizzandosi sempre più su quello meno approfondito dalla letteratura economica, quello umano e sociale.
Il mio pensiero non andava però sulle star della finanza (gestori, esperti, commentatori, ecc...) ma a quei protagonisti che normalmente stanno in secondo piano, dei quali si parla poco e quando se ne parla sono sempre l’oggetto del tema: i risparmiatori, in particolare quelli italiani se non altro perché nel tempo (e sono ormai oltre 36 gli anni vissuti in questo settore) ho imparato a conoscerli attraverso rapporti diretti di lavoro o indirettamente attraverso il confronto con decine e decine di colleghi con i quali si discute delle più particolari esperienze di lavoro vissute.
I punti nodali del mio pensiero erano ormai ben definiti: “Chi è il risparmiatore italiano? Come si comporta? E perché? Con quale consapevolezza sta affrontando queste mutazioni epocali? Quale atteggiamento avrà in futuro?”
Che il risparmiatore italiano medio sia piuttosto a digiuno di conoscenze in campo economico e finanziario ormai è di dominio pubblico da anni e tutti gli studi in materia l’hanno confermato. Anche i risparmiatori di paesi più evoluti del nostro hanno scarsa conoscenza della materia ma sappiamo che si differenziano per una serie di comportamenti maggiormente razionali.
Vivono in realtà in cui il senso sociale è più profondo, hanno maggiore chiarezza dei diversi ruoli del pubblico e del privato, usano da molto più tempo strumenti di investimento “moderni” e ciò ha garantito la sedimentazione di numerose esperienze. Sono più consapevoli dei loro limiti e delle loro conoscenze in materia e in misura sensibilmente crescente delegano le scelte di gestione ad esperti.
Nel nostro paese tutto ciò è marginale. Oltre il 90% della ricchezza privata nazionale viene gestita all’interno del sistema bancario tradizionale, gli strumenti finanziari più “moderni” scarseggiano nei portafogli, il senso del sociale è scarso e la confusione tra ciò che spetta al pubblico e ciò che compete al privato è un fatto consolidato. Quando investono fanno normalmente da soli; anzi direi quasi che “amano” farlo.
E qui la mia fantasia ha iniziato a galoppare e si è andata formando nella mia mente un’immagine del risparmiatore medio dai contorni ben definiti. Non un uomo di mezz’età elegante e ben vestito o una signora un po’ avanti con gli anni e dall’aspetto un po’ austero, fiera come può esserlo chi ha saputo governare la propria famiglia con saggezza e ha visto i figli crescere ed accasarsi.

Io lo vedo come un bambino.
Un bambino protetto e tutelato; questo bambino non deve affannarsi per studiare,  crescere, trovarsi un lavoro, rendersi indipendente, lui no. Ci pensa la famiglia che ha messo da parte soldi e beni immobili, ci pensa la
mano pubblica, che gli garantisce protezione di fronte alle malattie, gli offre qualora ne avesse voglia, denaro a fondo perduto, basta che finga di usarlo per scopi utili e gli protegge il futuro attraverso una dovuta rendita. E il lavoro? No, quello no, ma se proprio bisogna che almeno sia pulito, asettico, che faccia status ma soprattutto che non chieda sacrifici in cambio di uno stipendio, basta la presenza , no?
E tanto, tanto divertimento. Del resto, se il cibo è garantito, un tetto è garantito, l’abbigliamento è garantito e modaiolo non resta altro da fare che divertirsi. E cosa di meglio per divertirsi se non un bell’investimento?
E allora, un bel po’ di bot, tanto per cominciare. Sono come dei peluche, coccolosi, tranquilli, sicuri. Ti danno tanto affetto in cambio. E poi un bel po’ di obbligazioni bancarie. Devo pur contraccambiare la gentilezza degli impiegati della mia banca, che è sempre lì, pronta a soddisfare ogni mio desiderio. Tutto gratis, basta che poi non si leggano per bene i prospetti e non si faccia troppa attenzione alle voci passive dell’estratto conto, che poi, chi lo guarda? A leggerlo il nostro bambino prova la stessa sensazione ricavata dalla lettura del “Trattato di alchimia e fisiologia taoista” di Chao Pi Ch’en, una vera pizza …
Ma vuoi mettere il divertimento vero e proprio? Il luna park, con la piena libertà di scegliersi le giostre su cui salire, dove la mettiamo? E allora giù con le azioni, i prodotti strutturati, i futures … Vuoi mettere i futures? Meglio delle montagne russe, ti danno l’adrenalina. Il day trading. Collegati via internet al mondo dei giocattoli finanziari. Lo dice anche la pubblicità: ricchi in poche ore, provare per credere.
E poi, per far rabbia agli amici, esageriamo in positività. Code per salire? Nessuna. Pagare il biglietto? No, per me è gratis, sono un cliente speciale. E il dopo corsa,  vuoi mettere? Tutte quelle pappe molli a lamentarsi; troppo ripida la discesa, troppo veloce il looping, mi è  venuto da rigettare. Io no, guardatemi bene. Sulle giostre come Superman che vola su Metropolis; una cosa naturale, un divertimento unico. E ai baracconi della pesca e del tiro al bersaglio? Io sono l’unico a vincere. Sempre.
Lo vedo così. Tranquillo, pasciuto, un po’ sornione e un po’ fanfarone, amante dell’indipendenza e del piacere.
Sarà, … Magari lo è stato, un tempo. Sì, un tempo funzionava così; lo chiamavano paese dei balocchi, l’Italia. Lo stellone che proteggeva, la ricchezza privata elevata, lo stato che dava senza chiedere. Tasse? Una libera scelta: chi deve, dia; gli altri, secondo coscienza.
Poi sono arrivati sugli scaffali i giocattoli pericolosi, quelli “non targati CE”. Quelli che a maneggiarli ti scoppiamo in mano, dai quali si staccano pezzetti che se li hai in bocca ti soffocano, se poi li succhi si stacca del veleno e ti trovi improvvisamente intossicato, se va bene.
Chi li ha messi sugli scaffali? Non si sa, si dice siano stati gli speculatori, i banchieri d’assalto,  gli hedge funds. Tutti così evanescenti, così impalpabili, categorie di intoccabili e di impuniti.
E il paese dei balocchi a ben guardare è meno affascinante di un tempo. I tempi cambiano, c’è la crisi, bisogna fare sacrifici… fare squadra.
Eh sì, il 2011 ci ha inesorabilmente tolto il prosciutto dagli occhi. Era qualche anno che sotto sotto lo sospettavamo ma ora è inequivocabile: la crisi c’è ed è dura.
Il peluche (i Bot) si è infeltrito, il tempio (le banche) è stato sconsacrato. Le montagne russe hanno fatto la ruggine e si rischia l’osso del collo a salirci sopra. Hanno messo i controllori, non si sale più senza il biglietto. E la pesca? Prima si vinceva sempre ora vincono solo gli altri.
Ora il bambino che si cela dentro ogni risparmiatore deve fare una riflessione. Deve approfondire la situazione e capire se il paese dei balocchi esiste ancora o se il sogno è svanito.
Se nel suo intimo propende per il sogno svanito non gli resta che affrontare una diversa realtà con tutte le difficoltà che ne conseguono. La prima è quella di diventare adulto accettando di rivestire un ruolo diverso nella società, indubbiamente meno divertente di quello precedente, impegnandosi in una crescita etica e morale, responsabilizzando sé stesso nei confronti della propria famiglia e dei propri cari, affrontando le durezze di una situazione economica e sociale nuova e per molti aspetti ancora tutta da decifrare. Acquisire razionalità per tutelare i propri interessi sarà inevitabile e dovrà circondarsi di persone serie, preparate, affidabili e (soprattutto) oneste che lo aiutino in questo difficile processo.
Se propenderà invece per la negazione di un cambiamento profondo della società e ciò che ne consegue, avremo un risparmiatore afflitto dalla sindrome di Peter Pan, un risparmiatore chiuso in sé stesso che continuerà a ripercorrere gli stessi sentieri, sordo e cieco ai cambiamenti della società, fiducioso nello stellone  d’Italia, nella fortuna che non abbandona mai il proprio fianco, un bambino che vorrà sentirsi protetto e coccolato al di là della nuova incombente realtà, propenso più all’aspetto ludico che a quello sostanziale della vita. Un bambino che non intende crescere. Un bambino che, come Peter Pan, non intende assolutamente abbandonare l’isola che non c’è; a qualsiasi costo. Ma la vita, prima o poi, gli presenterà il conto. Sogni d’oro, dunque, Peter Pan.

Walter Cappello



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