sabato 29 novembre 2014

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 108 – L’alchimia dell’incontro tra un consulente e il cliente


Come possiamo affrontare il problema del primo incontro tra un cliente e un consulente? E’ forse una fase delicata? Sarà in quei pochi istanti che il cliente deciderà se affidare i suoi risparmi o se, almeno, continuare un rapporto che sta per nascere? O, invece, deciderà di troncare il rapporto sul nascere? Nessuno sa esattamente quanti risparmiatori sono stati delusi dal primo incontro. Le statistiche parlano soltanto degli effetti degli incontri andati a buon fine.
Partiamo da una situazione frequente nella vita quotidiana, sia nel tempo libero sia sul lavoro:  incontrate per la prima volta una persona. Potete già avere delle informazioni su quella persona: che cosa fa, dove abita, con chi vive, amici, conoscenti, e così via. Oppure, se non le avete, potete immaginarne alcune in base all’ambiente e all’occasione sociale in cui l’avete incontrata. Altre volte, infine, sapete soltanto quel che vedete la prima volta, in quel preciso momento. Prestate attenzione per pochi attimi: è una persona tra la folla, di cui poco v’importa, giusto il tempo per un’impressione fuggevole, come capita con tanti altri eventi che si susseguono nel corso di una giornata. Talora, invece, sono presenti e attivi degli scopi, di qualsiasi tipo, e può darsi che anche l’altra persona abbia delle mire nei vostri confronti.

Gli scopi possono essere transeunti, o più durevoli. Per esempio:
·         si tratta di un tecnico, e il vostro rapporto è circoscritto a una specifica esigenza: un negoziante, un idraulico, un bigliettaio sul treno, un portiere d’albergo, e così via;
·         si tratta, invece, di impostare un rapporto che potrebbe svilupparsi più a lungo termine; per esempio: siete uno psicoanalista, un professionista, un commerciante, un consulente finanziario, e l’altra persona potrebbe diventare un vostro cliente stabile.

Quanto più la prospettiva futura è a lungo termine, tanto più rilevante diventa un’adeguata categorizzazione della persona che si ha davanti. La prima impressione corrisponde a un indizio che potrà innescare e incanalare i rapporti futuri, che poi si nutriranno di una conoscenza più stretta e approfondita.

Poste così le cose, si presenta il primo dilemma interessante affrontato dagli psicologi. A buon senso, intuitivamente, sarebbe plausibile supporre che quanto più una relazione si presenta come potenzialmente rilevante, tanto più si sia cauti nel fidarsi della prima impressione. Ebbene, le ricerche dicono che le cose non stanno proprio così. Sembrerebbe che le persone siano comunque precipitose nel formulare giudizi.

All’università di Princeton, Alexander Todorov e il suo gruppo di ricerca, hanno per anni studiato questo problema. Per esempio, nel classico First impressions di Willis e Todorov (2006, in rete), sono state utilizzate settanta foto di attori, con tutti i tipi di facce possibili: giovani, vecchi, belli, brutti, barbuti, calvi, e così via. Le facce sono presentate statiche, per intervalli temporali che vanno da un decimo di secondo fino a un intero secondo. Chi partecipa all’esperimento deve dare giudizi, con una scala a nove posizioni, dal più al meno, valutando quanto il viso sembra esprimere o ispirare le seguenti caratteristiche:

fiducia
competenza
piacevolezza
aggressività
attrazione

Due risultati paiono più interessanti.

Il primo è che il giudizio non cambia se il viso è presentato per un decimo di secondo, per mezzo secondo o per un intero secondo. In altre parole il passare del tempo e un esame più accurato sembrano non aggiungere nessuna informazione rispetto all’impressione avuta nel primo decimo di secondo.

In secondo luogo, le diverse persone danno giudizi molto simili. Basta un colpo d’occhio e le impressioni tendono a coincidere. Questo risultato mostra l’azione di un meccanismo tacito, cioè a noi non trasparente, utilizzato per inferire il carattere di una persona dalle fattezze del suo volto. Mostra inoltre che questo meccanismo conduce a giudizi precisi e condivisi.

Questi risultati sono stati generalizzati anche a situazioni meno artificiose, quando si da un’occhiata non a una foto, ma a una persona sconosciuta nel corso della vita quotidiana. Ci sono situazioni tipiche, in cui si affronta questo compito in modo sistematico. Per esempio, durante i colloqui di selezione, per assumere una persona, o per scegliere un attore non professionista, o durante gli esami all’università con studenti che non hanno frequentato le lezioni. Le ricerche mostrano che, anche nel caso di questi scenari, assume molto peso la prima impressione. Durante gli esami, l’ambito del voto attribuibile alla prestazione del candidato diventa abbastanza circoscritto fin dai primi scambi e, col passare del tempo, le informazioni successive sono sempre meno rilevanti nel determinare il giudizio finale (Legrenzi, 1999).


Ci si è anche domandati se le persone si rendano conto di come funzionano questi meccanismi. In genere, le persone inesperte non ne sono consapevoli, e pensano che, in un colloquio di mezz’ora, tutte le diverse fasi dell’incontro siano rilevanti.  Gli intervistatori esperti imparano invece a frazionare il colloquio in più parti. Per esempio, un bravo consulente finanziario si fa una scaletta dei punti che vuole toccare nel primo incontro, lascia parlare il potenziale cliente, e fa domande solo per completare il quadro in base alla scaletta che ha predisposto (Myers, 2004, Kahneman, 2012, capp. 7 e 8). Comunque, il buon consulente non è precipitoso, lascia parlare il futuro potenziale cliente, e il suo obiettivo cruciale è avere la possibilità di un secondo incontro.

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