Come
possiamo affrontare il problema del primo incontro tra un cliente e un
consulente? E’ forse una fase delicata? Sarà in quei pochi istanti che il cliente
deciderà se affidare i suoi risparmi o se, almeno, continuare un rapporto che
sta per nascere? O, invece, deciderà di troncare il rapporto sul nascere?
Nessuno sa esattamente quanti risparmiatori sono stati delusi dal primo
incontro. Le statistiche parlano soltanto degli effetti degli incontri andati a
buon fine.
Partiamo
da una situazione frequente nella vita quotidiana, sia nel tempo libero sia sul
lavoro: incontrate per la prima volta
una persona. Potete già avere delle informazioni su quella persona: che cosa
fa, dove abita, con chi vive, amici, conoscenti, e così via. Oppure, se non le
avete, potete immaginarne alcune in base all’ambiente e all’occasione sociale
in cui l’avete incontrata. Altre volte, infine, sapete soltanto quel che vedete
la prima volta, in quel preciso momento. Prestate attenzione per pochi attimi:
è una persona tra la folla, di cui poco v’importa, giusto il tempo per
un’impressione fuggevole, come capita con tanti altri eventi che si susseguono
nel corso di una giornata. Talora, invece, sono presenti e attivi degli scopi,
di qualsiasi tipo, e può darsi che anche l’altra persona abbia delle mire nei
vostri confronti.
Gli scopi
possono essere transeunti, o più durevoli. Per esempio:
·
si tratta di un tecnico, e
il vostro rapporto è circoscritto a una specifica esigenza: un negoziante, un
idraulico, un bigliettaio sul treno, un portiere d’albergo, e così via;
·
si tratta, invece, di
impostare un rapporto che potrebbe svilupparsi più a lungo termine; per
esempio: siete uno psicoanalista, un professionista, un commerciante, un
consulente finanziario, e l’altra persona potrebbe diventare un vostro cliente
stabile.
Quanto
più la prospettiva futura è a lungo termine, tanto più rilevante diventa
un’adeguata categorizzazione della persona che si ha davanti. La prima
impressione corrisponde a un indizio che potrà innescare e incanalare i
rapporti futuri, che poi si nutriranno di una conoscenza più stretta e
approfondita.
Poste
così le cose, si presenta il primo dilemma interessante affrontato dagli
psicologi. A buon senso, intuitivamente, sarebbe plausibile supporre che quanto
più una relazione si presenta come potenzialmente rilevante, tanto più si sia
cauti nel fidarsi della prima impressione. Ebbene, le ricerche dicono che le
cose non stanno proprio così. Sembrerebbe che le persone siano comunque
precipitose nel formulare giudizi.
All’università
di Princeton, Alexander Todorov e il suo gruppo di ricerca, hanno per anni
studiato questo problema. Per esempio, nel classico First impressions di Willis e Todorov (2006, in rete),
sono state utilizzate settanta foto di attori, con tutti i tipi di facce
possibili: giovani, vecchi, belli, brutti, barbuti, calvi, e così via. Le facce
sono presentate statiche, per intervalli temporali che vanno da un decimo di
secondo fino a un intero secondo. Chi partecipa all’esperimento deve dare
giudizi, con una scala a nove posizioni, dal più al meno, valutando quanto il
viso sembra esprimere o ispirare le seguenti caratteristiche:
fiducia
competenza
piacevolezza
aggressività
attrazione
Due
risultati paiono più interessanti.
Il primo
è che il giudizio non cambia se il viso è presentato per un decimo di secondo,
per mezzo secondo o per un intero secondo. In altre parole il passare del tempo
e un esame più accurato sembrano non aggiungere nessuna informazione rispetto
all’impressione avuta nel primo decimo di secondo.
In
secondo luogo, le diverse persone danno giudizi molto simili. Basta un colpo
d’occhio e le impressioni tendono a coincidere. Questo risultato mostra
l’azione di un meccanismo tacito, cioè a noi non trasparente, utilizzato per
inferire il carattere di una persona dalle fattezze del suo volto. Mostra
inoltre che questo meccanismo conduce a giudizi precisi e condivisi.
Questi
risultati sono stati generalizzati anche a situazioni meno artificiose, quando
si da un’occhiata non a una foto, ma a una persona sconosciuta nel corso della
vita quotidiana. Ci sono situazioni tipiche, in cui si affronta questo compito
in modo sistematico. Per esempio, durante i colloqui di selezione, per assumere
una persona, o per scegliere un attore non professionista, o durante gli esami
all’università con studenti che non hanno frequentato le lezioni. Le ricerche
mostrano che, anche nel caso di questi scenari, assume molto peso la prima
impressione. Durante gli esami, l’ambito del voto attribuibile alla prestazione
del candidato diventa abbastanza circoscritto fin dai primi scambi e, col
passare del tempo, le informazioni successive sono sempre meno rilevanti nel determinare
il giudizio finale (Legrenzi, 1999).
Ci si è
anche domandati se le persone si rendano conto di come funzionano questi
meccanismi. In genere, le persone inesperte non ne sono consapevoli, e pensano
che, in un colloquio di mezz’ora, tutte le diverse fasi dell’incontro siano
rilevanti. Gli intervistatori esperti imparano invece a frazionare il
colloquio in più parti. Per esempio, un bravo consulente finanziario si fa una
scaletta dei punti che vuole toccare nel primo incontro, lascia parlare il potenziale
cliente, e fa domande solo per completare il quadro in base alla scaletta che
ha predisposto (Myers, 2004, Kahneman, 2012, capp. 7 e 8). Comunque, il buon
consulente non è precipitoso, lascia parlare il futuro potenziale cliente, e il
suo obiettivo cruciale è avere la possibilità di un secondo incontro.
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