domenica 2 novembre 2014

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 104 – Errori, illusioni, incantesimi


Alla fine della lezione precedente avevo accennato alle doti del “consulente ideale”. Si tratta di abilità e capacità che non caratterizzano solo questa professione, ma, più in generale, le doti di un “vero” amico. Tra queste, nel caso dei consulenti più capaci, spicca la capacità di mettersi nei panni degli altri, di vedere le cose decentrandosi dal punto di vista del cliente. Recentemente, in alcune situazioni e scenari, mi sono, purtroppo ancora una volta, accorto quanto tutto ciò sia facile a dirsi, ma difficile a praticarsi.

Consideriamo, per esempio, il dibattito sulla crescita (necessaria, secondo i più) e la decrescita (auspicata da una minoranza capeggiata da Serge Latouche). Al di là del dibattito tra economisti (molti economisti peraltro non considerano Serge Latouche un loro collega), durante un incontro che ho avuto recentemente con Latouche a Torino, mi ha stupito scoprire che le persone che auspicano la decrescita non si mettano dal punto di vista del terzo mondo, e dei paesi emergenti, coloro cioè che la crescita non l’hanno ancora conosciuta, e vivono in condizioni simili a quelli dei nostri nonni e bisnonni in un’Italia preindustriale. Come negare a questi paesi emergenti la crescita da parte di chi l’ha già conosciuta? Un conto è una loro decisione autonoma di una crescita meno accelerata e armoniosa, altro conto è dire loro che cosa devono fare.
L’Italia, a sua volta, si trova oggi all’interno di un paradosso: non cresce più come un tempo. E tuttavia solo crescendo può sperare di risolvere il problema del debito pubblico. Diverso dalla decrescita è il caso della “Frugalità”, tema di cui mi sono recentemente occupato in un saggio che ha proprio questo titolo. La scelta di vita frugale è un’opzione personale, non imposta dall’alto, da un’autorità o da politiche economiche decise da altri. Se la decrescita è una scelta personale, allora coincide con la frugalità. E la frugalità è importante per il mondo dei consulenti perché, in un’Italia che non cresce, solo le scelte di vita frugali possono permettere la formazione di altri risparmi in un paese ingessato. Quando, nelle mie conferenze, parlo del consulente come un “parafulmine” spiego sempre, come ho già fatto qui, che il consulente deve prevenire gli errori nella gestione del portafoglio, ma deve anche capire le emozioni e le fissazioni che potrebbero condurre a errori nella testa dei suoi clienti. Se lui avesse da gestire solo il portafoglio, e non il cliente, le cose sarebbero molto più difficili. Sono tipi di errori diversi. Per mia esperienza personale, è improbabile che in una sola storia convivano errori quotidiani, nel senso esaminato nelle ultime lezioni, illusioni e incantesimi. L’ho visto capitare solo in racconti immaginari.
Anni fa ebbi occasione di vedere un film russo del 1939: L’errore dell’ingegner Kocin, che si trova nella Cineteca di Bologna. Il film narra la storia dell’errore dell’ingegner Kocin. Egli s’innamora, ricambiato, di una ragazza che aiuta una spia a carpire i piani segreti del progetto di un aereo. Il detective protagonista del film scopre l’inganno, e spiega all’ingegnere che “è un errore fermarsi all’apparenza delle cose”. Il film condanna il fermarsi alle impressioni superficiali, illudendosi e auto-ingannandosi. In realtà, il film allude alle purghe staliniane, apparentemente crudeli e ingiuste, ma presentate come necessarie. Solo gli illusi si oppongono ai sovietici: questo è il messaggio del film. E tuttavia, il film, visto con gli occhi di oggi, acquista un nuovo significato, essendo nel frattempo svanito l’incantesimo della fede sovietica. Un miscuglio di presunti errori, illusioni, e incantesimi è l’intreccio di cui si nutre oggi una storia terribile del nostro passato.
L’illusione di una società completamente pianificata è una variante di quella che, in un saggio recente, Antonino Pennisi ha chiamato L’errore di Platone (Mulino, 2014). L’errore di Platone consiste nel credere che sia “possibile presupporre scenari completamente controllabili sulla base di principi fondati esclusivamente sulla cognizione umana … l’ombra sinistra dell’errore di Platone si proietta sulle scienze politiche e sociali contemporanee …“ (p. 15). Partendo da una prospettiva diversa, un gruppo di noti psicologi statunitensi ha recentemente mostrato che il confronto tra punti di vista diversi è ciò che alimenta e migliora la psicologia sociale (Duarte et al., in corso di stampa). Solo una continua variazione dei punti di vista permette poi quella “selezione sulla base delle conseguenze” delle diverse teorie. Questo è il metodo più efficace per evitare gli sbagli, soprattutto l’errore, forse l’incantesimo, di Platone. L’errore di Platone, in fondo, non è altro che credere che la conoscenza ci metta in grado di eliminare preventivamente quelli che solo a posteriori classifichiamo come errori.
Il mondo della finanza è particolarmente interessante a questo riguardo. Nella rubrica Buttonwood dell’Economist del 27 settembre ci si domanda se i giornalisti specializzati hanno anticipato la crisi del 2007-2008. Varie ricerche in merito sono state recentemente pubblicate in un libro a cura di Steve Schifferes e Richard Roberts (Routledge 2014). Il bilancio non è confortante. I giornalisti sono meno indipendenti di quanto non fossero negli anni 70 e 80, data la concentrazione nelle proprietà dei media, e gli accademici, in teoria più autonomi, avevano segnalato la crisi solo quando era imminente, e solo in riviste specializzate, dove si diceva che l’incremento dei prestiti stava diventando eccessivo.  D’altra parte i giornali, per loro natura, tendono a riportare i fatti già successi e non le ipotesi sul futuro. In un’economia e finanza che si espandono, si tende a spiegare la natura di questi incrementi e a commentarli, e non a fare le cassandre.  Tutto ciò non è molto utile ai risparmiatori, e tanto meno ai consulenti.
A questo proposito, va detta un’altra cosa che rende difficile il mestiere di consulente e la sua relazione con il cliente. Dopo che un consulente ha ben differenziato il portafoglio di un cliente, emergono “necessariamente” successi e insuccessi. Il cliente, impreparato, tende a interpretare gli insuccessi come se fossero stati il risultato di errori. Questa tendenza è esaltata dal fatto che, negli altri ambiti, si ricordano solo i successi. In realtà, chi progetta imprese importanti tiene presente che potrebbe anche andare incontro a insuccessi, non necessariamente in conseguenza di errori. Purtroppo poi, quando le cose sono per fortuna andate bene, ci si dimentica delle possibilità d’insuccesso. Lo ricordano i libri che ricostruiscono le grandi imprese, come, per esempio, la discesa sulla luna dell’Apollo 11.
William Safire, lo speechwriter di Richard Nixon, preparò questo scritto nel timore che gli astronauti, atterrati sulla Luna, non riuscissero a ripartire:
Il fato ha voluto che gli uomini che sono andati sulla Luna per una pacifica esplorazione vi rimarranno a riposare in pace. Questi uomini coraggiosi sanno che non c’è più speranza di un loro ritorno. Ma sanno anche che vi è speranza per il genere umano grazie al loro sacrificio. Questi due uomini sacrificano la vita allo scopo più nobile dell’umanità, la ricerca della verità e della conoscenza. Saranno pianti dai loro familiari e amici, dalla loro nazione, dalla madre terra che ha osato mandare due suoi figli nell’ignoto. (Craig Nelson, Rocket Man, Viking, 2009).
Per fortuna non c’è mai stato bisogno di questo discorso di Nixon, e i più ignorano che sia stato scritto. Ovviamente non è credibile attribuire al fato altri tipi di errori, quelli connessi alla gestione del risparmio. Poniamo che la lezione che ho scritto a Ferragosto, e che è uscita ai primi di settembre, contenesse una previsione errata. Poniamo che il dollaro, da allora, si fosse indebolito, e non rinforzato come previsto (poi si è rinforzato ancor più del previsto, come si è visto). Questo errore di previsione avrebbe indebolito il portafoglio, ma le persone non avrebbero accettato d’attribuire questo indebolimento al fato. In effetti, tutti sanno che il rapporto euro/dollaro dipende dalle scelte degli uomini. E tuttavia, da un punto di vista squisitamente teorico, dal punto di vista di chi aveva costruito il razzo, sarebbe stato forse più classificabile come un errore – alla luce di quanto analizzato in queste ultime lezioni – il non-ritorno dalla luna, piuttosto che l’indebolimento del dollaro sull’euro. Infatti, nel caso del razzo sulla luna, il gruppo ristretto di progettisti e costruttori aveva piena responsabilità, mentre, nel caso dell’euro/dollaro era impossibile identificare un gruppo ristretto di persone come responsabili.
Siamo così arrivati alla radice del problema da cui eravamo partiti alcune lezioni fa, e al dilemma che è alla base della natura delicata del ruolo del consulente. Come può essere utile una persona che sa di non sapere quello che il cliente ingenuo spera che il consulente sappia? Ecco in questa domanda c’è l’origine dell’incantesimo di cui vi ho parlato. Svelare questo incantesimo è il difficile percorso che conduce un non-cliente a diventare cliente. E questa riflessione conferma i motivi per cui non bisogna mai dire al non-cliente che lui non sa, che lui sbaglierebbe, se non si rivolgesse a un esperto di quella materia. Sì, è vero, sbaglierebbe, ma non nei modi e per i motivi che crede lui.
Perché, se dite questo, se gli rinfacciate la sua ignoranza o impreparazione, è probabile che il potenziale cliente si insospettisca, che vi fraintenda, e che finisca per considerarvi un consulente alla stregua di tanti altri: medico, commercialista, idraulico, avvocato, parrucchiere, arredatore, e così via. Uno che interviene con le sue conoscenze che gli permettono di “sapere quel che bisogna fare per risolvere un problema specifico”. Questo tipo di consulente è per solito concepito come un esperto il cui compito è correggere gli errori che farebbe chi agisce da solo, non avendo le “conoscenze tecniche”. Non stanno così le cose in ambito finanziario: se ci fosse un esperto gestore che sistematicamente battesse gli altri, basterebbe affidarsi a lui. E invece è meglio affidarsi a un consulente che, a sua volta, sa affidarsi a più gestori.
Si pensi, per esempio, al recente caso di un noto gestore, fondatore di una primaria casa di gestione americana, da lui guidata in vetta alla classifica dei fondi obbligazionari. All’inizio del 2014 si sono verificati dei cambiamenti nell’organigramma e gli investitori hanno tolto alcune decine di miliardi di dollari da quella società. In una sola giornata, quando il fondatore ha lasciato la società, i risparmiatori hanno tolto quasi mezzo miliardo di dollari dal suo fondo. Questo la dice lunga su molte cose: il divismo anche in un campo in cui dovrebbe regnare la razionalità, la tendenza a personalizzare le gestioni, l’incertezza, l’ansia e la psicologia delle folle, per cui molti tendono a comportarsi come un gregge. 
Insomma, credo che non ci sia alcun gestore che sia sistematicamente e costantemente superiore agli altri. Almeno sui tempi lunghi. Sono i tempi brevi che ci rendono troppo sicuri delle nostre attese e delle nostre credenze. Per una tragica coincidenza, il giorno di quelle dimissioni siamo venuti a sapere di un terribile incidente in Giappone. Più di trenta escursionisti erano morti alle pendici del vulcano Ontake. Era dal 1991 che non si erano verificati incidenti per improvvise eruzioni di vulcani (in quell’anno erano morte 41 persone per l’eruzione improvvisa del vulcano Unzen). Il pericolo è stato sotto-stimato perché è difficile tener conto, almeno per le persone non addette ai lavori, di tempi così lunghi nella valutazione dei rischi.
In conclusione, mi sembra si possa dire che un consulente ha a che fare con persone che sono vittime d’illusioni, meglio d’incantesimi, nel senso descritto nelle lezioni precedenti. Credo che sia per questi motivi che un buon consulente può non annoiarsi mai del suo lavoro. Perché il suo ruolo non è soltanto aiutare con le sue conoscenze, ma, soprattutto, togliere “delicatamente” il velo delle illusioni.
E infine, perdonatemi. Concedetemi, dopo un mese di lezioni, un vezzo da accademico, e cioè elencare le mie fonti principali non ancora citate. Le ho messe per ultime così, se non siete interessati, com’è giusto che sia, potete smettere di leggere qui. E scusatemi!
Duarte, J., Crawford, J., Stern, C., Haidt, J., Jussim, L., Tetlock, P. (in corso di stampa), Political Diversity Will Improve Social Psychological Science, Behavioral and Brain Sciences.
Legrenzi, P. (2003), Daniel Kahneman: Perché il premio Nobel dell’economia  a uno psicologo?, Giornale Italiano di Psicologia, 30, 1, 9-13.
Legrenzi, P. (2013), Perché gestiamo male i nostri risparmi, il Mulino, Bologna.
Legrenzi, P. (2014), Frugalità, il Mulino, Bologna.
Legrenzi, P., Jacomuzzi, A. (2014), Macchine darwiniane, gestione del risparmio e scienze cognitive, Tavola rotonda “Menti in crisi”, Sistemi Intelligenti, XXVI, 1, pp. 191-197.
Legrenzi, P., Umiltà, C. (2014), Perché abbiamo bisogno dell’anima, il Mulino, Bologna.
Kahneman, D. (2012), Pensieri lenti e veloci, Mondadori, Milano.
Pennisi, A. (2014), L’errore di Platone, il Mulino, Bologna.
Rizzo, A., Ferrante, D., Bagnara, S. (1995), Handling Human Error, in Hoc, C. Cacciabue, P., Hollnagel, E. (a cura di), Expertise and Technology, Psychology Press, Hove - Sussex.
Skinner, B. F. (1981), Selection by consequences, “Science”, 213, 501-504.
Taleb, B. (2013), Antifragile, Il Saggiatore, Milano.

White, A., Li, J Griskevicius, V., Neuberg, S., Kenrick, D. (2013), Putting All your Eggs in One Basket: Life-History Strategies, Bet Hedging, and Diversification, Psychological Science, 715-722

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