Alla
fine della lezione precedente avevo accennato alle doti del “consulente
ideale”. Si tratta di abilità e capacità che non caratterizzano solo questa
professione, ma, più in generale, le doti di un “vero” amico. Tra queste, nel
caso dei consulenti più capaci, spicca la capacità di mettersi nei panni degli
altri, di vedere le cose decentrandosi dal punto di vista del cliente.
Recentemente, in alcune situazioni e scenari, mi sono, purtroppo ancora una
volta, accorto quanto tutto ciò sia facile a dirsi, ma difficile a praticarsi.
Consideriamo, per esempio,
il dibattito sulla crescita (necessaria, secondo i più) e la decrescita
(auspicata da una minoranza capeggiata da Serge Latouche). Al di là del
dibattito tra economisti (molti economisti peraltro non considerano Serge
Latouche un loro collega), durante un incontro che ho avuto recentemente con
Latouche a Torino, mi ha stupito scoprire che le persone che auspicano la
decrescita non si mettano dal punto di vista del terzo mondo, e dei paesi
emergenti, coloro cioè che la crescita non l’hanno ancora conosciuta, e vivono
in condizioni simili a quelli dei nostri nonni e bisnonni in un’Italia
preindustriale. Come negare a questi paesi emergenti la crescita da parte di
chi l’ha già conosciuta? Un conto è una loro decisione autonoma di una crescita
meno accelerata e armoniosa, altro conto è dire loro che cosa devono fare.
L’Italia, a sua volta, si
trova oggi all’interno di un paradosso: non cresce più come un tempo. E
tuttavia solo crescendo può sperare di risolvere il problema del debito
pubblico. Diverso dalla decrescita è il caso della “Frugalità”, tema di cui mi
sono recentemente occupato in un saggio che ha proprio questo titolo. La scelta
di vita frugale è un’opzione personale, non imposta dall’alto, da un’autorità o
da politiche economiche decise da altri. Se la decrescita è una scelta
personale, allora coincide con la frugalità. E la frugalità è importante per il
mondo dei consulenti perché, in un’Italia che non cresce, solo le scelte di
vita frugali possono permettere la formazione di altri risparmi in un paese
ingessato. Quando, nelle mie conferenze, parlo del consulente come un
“parafulmine” spiego sempre, come ho già fatto qui, che il consulente deve
prevenire gli errori nella gestione del portafoglio, ma deve anche capire le
emozioni e le fissazioni che potrebbero condurre a errori nella testa dei suoi
clienti. Se lui avesse da gestire solo il portafoglio, e non il cliente, le cose
sarebbero molto più difficili. Sono tipi di errori diversi. Per mia esperienza
personale, è improbabile che in una sola storia convivano errori quotidiani,
nel senso esaminato nelle ultime lezioni, illusioni e incantesimi. L’ho visto
capitare solo in racconti immaginari.
Anni fa ebbi occasione di
vedere un film russo del 1939: L’errore dell’ingegner Kocin, che si
trova nella Cineteca di Bologna. Il film narra la storia dell’errore
dell’ingegner Kocin. Egli s’innamora, ricambiato, di una ragazza che aiuta una
spia a carpire i piani segreti del progetto di un aereo. Il detective
protagonista del film scopre l’inganno, e spiega all’ingegnere che “è un errore
fermarsi all’apparenza delle cose”. Il film condanna il fermarsi alle
impressioni superficiali, illudendosi e auto-ingannandosi. In realtà, il film
allude alle purghe staliniane, apparentemente crudeli e ingiuste, ma presentate
come necessarie. Solo gli illusi si oppongono ai sovietici: questo è il
messaggio del film. E tuttavia, il film, visto con gli occhi di oggi, acquista
un nuovo significato, essendo nel frattempo svanito l’incantesimo della fede
sovietica. Un miscuglio di presunti errori, illusioni, e incantesimi è
l’intreccio di cui si nutre oggi una storia terribile del nostro passato.
L’illusione di una società
completamente pianificata è una variante di quella che, in un saggio recente,
Antonino Pennisi ha chiamato L’errore di Platone (Mulino, 2014).
L’errore di Platone consiste nel credere che sia “possibile presupporre scenari
completamente controllabili sulla base di principi fondati esclusivamente sulla
cognizione umana … l’ombra sinistra dell’errore di Platone si proietta sulle
scienze politiche e sociali contemporanee …“ (p. 15). Partendo da una
prospettiva diversa, un gruppo di noti psicologi statunitensi ha recentemente
mostrato che il confronto tra punti di vista diversi è ciò che alimenta e
migliora la psicologia sociale (Duarte et al., in corso di stampa). Solo una
continua variazione dei punti di vista permette poi quella “selezione sulla
base delle conseguenze” delle diverse teorie. Questo è il metodo più efficace
per evitare gli sbagli, soprattutto l’errore, forse l’incantesimo, di Platone.
L’errore di Platone, in fondo, non è altro che credere che la conoscenza ci
metta in grado di eliminare preventivamente quelli che solo a posteriori
classifichiamo come errori.
Il mondo della finanza è
particolarmente interessante a questo riguardo. Nella rubrica Buttonwood
dell’Economist del 27 settembre ci si domanda se i giornalisti specializzati hanno
anticipato la crisi del 2007-2008. Varie ricerche in merito sono state
recentemente pubblicate in un libro a cura di Steve Schifferes e Richard
Roberts (Routledge 2014). Il bilancio non è confortante. I giornalisti
sono meno indipendenti di quanto non fossero negli anni 70 e 80, data la
concentrazione nelle proprietà dei media, e gli accademici, in teoria più
autonomi, avevano segnalato la crisi solo quando era imminente, e solo in
riviste specializzate, dove si diceva che l’incremento dei prestiti stava
diventando eccessivo. D’altra parte i giornali, per loro natura, tendono
a riportare i fatti già successi e non le ipotesi sul futuro. In un’economia e
finanza che si espandono, si tende a spiegare la natura di questi incrementi e
a commentarli, e non a fare le cassandre. Tutto ciò non è molto utile ai
risparmiatori, e tanto meno ai consulenti.
A questo proposito, va
detta un’altra cosa che rende difficile il mestiere di consulente e la sua
relazione con il cliente. Dopo che un consulente ha ben differenziato il
portafoglio di un cliente, emergono “necessariamente” successi e insuccessi. Il
cliente, impreparato, tende a interpretare gli insuccessi come se fossero stati
il risultato di errori. Questa tendenza è esaltata dal fatto che, negli altri
ambiti, si ricordano solo i successi. In realtà, chi progetta imprese
importanti tiene presente che potrebbe anche andare incontro a insuccessi, non
necessariamente in conseguenza di errori. Purtroppo poi, quando le cose sono
per fortuna andate bene, ci si dimentica delle possibilità d’insuccesso. Lo
ricordano i libri che ricostruiscono le grandi imprese, come, per esempio, la
discesa sulla luna dell’Apollo 11.
William Safire, lo
speechwriter di Richard Nixon, preparò questo scritto nel timore che gli
astronauti, atterrati sulla Luna, non riuscissero a ripartire:
Il fato ha voluto che gli uomini che
sono andati sulla Luna per una pacifica esplorazione vi rimarranno a riposare
in pace. Questi uomini coraggiosi sanno che non c’è più speranza di un loro
ritorno. Ma sanno anche che vi è speranza per il genere umano grazie al loro
sacrificio. Questi due uomini sacrificano la vita allo scopo più nobile
dell’umanità, la ricerca della verità e della conoscenza. Saranno pianti dai
loro familiari e amici, dalla loro nazione, dalla madre terra che ha osato
mandare due suoi figli nell’ignoto. (Craig Nelson, Rocket Man, Viking, 2009).
Per fortuna non c’è mai
stato bisogno di questo discorso di Nixon, e i più ignorano che sia stato
scritto. Ovviamente non è credibile attribuire al fato altri tipi di errori,
quelli connessi alla gestione del risparmio. Poniamo che la lezione che ho
scritto a Ferragosto, e che è uscita ai primi di settembre, contenesse una
previsione errata. Poniamo che il dollaro, da allora, si fosse indebolito, e non
rinforzato come previsto (poi si è rinforzato ancor più del previsto, come si è
visto). Questo errore di previsione avrebbe indebolito il portafoglio, ma le
persone non avrebbero accettato d’attribuire questo indebolimento al fato. In
effetti, tutti sanno che il rapporto euro/dollaro dipende dalle scelte degli
uomini. E tuttavia, da un punto di vista squisitamente teorico, dal punto di
vista di chi aveva costruito il razzo, sarebbe stato forse più classificabile
come un errore – alla luce di quanto analizzato in queste ultime lezioni – il
non-ritorno dalla luna, piuttosto che l’indebolimento del dollaro sull’euro.
Infatti, nel caso del razzo sulla luna, il gruppo ristretto di progettisti e
costruttori aveva piena responsabilità, mentre, nel caso dell’euro/dollaro era
impossibile identificare un gruppo ristretto di persone come responsabili.
Siamo così arrivati alla
radice del problema da cui eravamo partiti alcune lezioni fa, e al dilemma che
è alla base della natura delicata del ruolo del consulente. Come può essere
utile una persona che sa di non sapere quello che il cliente ingenuo spera che
il consulente sappia? Ecco in questa domanda c’è l’origine dell’incantesimo di
cui vi ho parlato. Svelare questo incantesimo è il difficile percorso che
conduce un non-cliente a diventare cliente. E questa riflessione conferma i
motivi per cui non bisogna mai dire al non-cliente che lui non sa, che lui
sbaglierebbe, se non si rivolgesse a un esperto di quella materia. Sì, è vero,
sbaglierebbe, ma non nei modi e per i motivi che crede lui.
Perché, se dite questo, se
gli rinfacciate la sua ignoranza o impreparazione, è probabile che il
potenziale cliente si insospettisca, che vi fraintenda, e che finisca per
considerarvi un consulente alla stregua di tanti altri: medico, commercialista,
idraulico, avvocato, parrucchiere, arredatore, e così via. Uno che interviene
con le sue conoscenze che gli permettono di “sapere quel che bisogna fare per
risolvere un problema specifico”. Questo tipo di consulente è per solito
concepito come un esperto il cui compito è correggere gli errori che farebbe
chi agisce da solo, non avendo le “conoscenze tecniche”. Non stanno così le
cose in ambito finanziario: se ci fosse un esperto gestore che sistematicamente
battesse gli altri, basterebbe affidarsi a lui. E invece è meglio affidarsi a
un consulente che, a sua volta, sa affidarsi a più gestori.
Si pensi, per esempio, al
recente caso di un noto gestore, fondatore di una primaria casa di gestione
americana, da lui guidata in vetta alla classifica dei fondi obbligazionari.
All’inizio del 2014 si sono verificati dei cambiamenti nell’organigramma e gli
investitori hanno tolto alcune decine di miliardi di dollari da quella società.
In una sola giornata, quando il fondatore ha lasciato la società, i risparmiatori
hanno tolto quasi mezzo miliardo di dollari dal suo fondo. Questo la dice lunga
su molte cose: il divismo anche in un campo in cui dovrebbe regnare la
razionalità, la tendenza a personalizzare le gestioni, l’incertezza, l’ansia e
la psicologia delle folle, per cui molti tendono a comportarsi come un
gregge.
Insomma, credo che non ci
sia alcun gestore che sia sistematicamente e costantemente superiore agli
altri. Almeno sui tempi lunghi. Sono i tempi brevi che ci rendono troppo sicuri
delle nostre attese e delle nostre credenze. Per una tragica coincidenza, il
giorno di quelle dimissioni siamo venuti a sapere di un terribile incidente in
Giappone. Più di trenta escursionisti erano morti alle pendici del vulcano
Ontake. Era dal 1991 che non si erano verificati incidenti per improvvise
eruzioni di vulcani (in quell’anno erano morte 41 persone per l’eruzione
improvvisa del vulcano Unzen). Il pericolo è stato sotto-stimato perché è
difficile tener conto, almeno per le persone non addette ai lavori, di tempi
così lunghi nella valutazione dei rischi.
In conclusione, mi sembra
si possa dire che un consulente ha a che fare con persone che sono vittime
d’illusioni, meglio d’incantesimi, nel senso descritto nelle lezioni
precedenti. Credo che sia per questi motivi che un buon consulente può non
annoiarsi mai del suo lavoro. Perché il suo ruolo non è soltanto aiutare con le
sue conoscenze, ma, soprattutto, togliere “delicatamente” il velo delle
illusioni.
E infine, perdonatemi.
Concedetemi, dopo un mese di lezioni, un vezzo da accademico, e cioè elencare
le mie fonti principali non ancora citate. Le ho messe per ultime così, se non
siete interessati, com’è giusto che sia, potete smettere di leggere qui. E
scusatemi!
Duarte, J., Crawford, J., Stern, C.,
Haidt, J., Jussim, L., Tetlock, P. (in corso di stampa), Political Diversity
Will Improve Social Psychological Science, Behavioral and Brain Sciences.
Legrenzi, P. (2003), Daniel Kahneman: Perché
il premio Nobel dell’economia a uno psicologo?, Giornale Italiano di
Psicologia, 30, 1, 9-13.
Legrenzi, P. (2013), Perché gestiamo
male i nostri risparmi, il Mulino, Bologna.
Legrenzi, P. (2014), Frugalità, il
Mulino, Bologna.
Legrenzi, P., Jacomuzzi, A. (2014),
Macchine darwiniane, gestione del risparmio e scienze cognitive, Tavola rotonda
“Menti in crisi”, Sistemi Intelligenti, XXVI, 1, pp. 191-197.
Legrenzi, P., Umiltà, C. (2014), Perché
abbiamo bisogno dell’anima, il Mulino, Bologna.
Kahneman, D. (2012), Pensieri lenti e
veloci, Mondadori, Milano.
Pennisi, A. (2014), L’errore di Platone,
il Mulino, Bologna.
Rizzo, A., Ferrante, D., Bagnara, S.
(1995), Handling Human Error, in Hoc, C. Cacciabue, P., Hollnagel, E. (a cura
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Skinner, B. F. (1981), Selection by
consequences, “Science”, 213, 501-504.
Taleb, B. (2013), Antifragile, Il
Saggiatore, Milano.
White, A.,
Li, J Griskevicius, V., Neuberg, S., Kenrick, D. (2013), Putting All your Eggs
in One Basket: Life-History Strategies, Bet Hedging, and Diversification,
Psychological Science, 715-722
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