Nelle
lezioni precedenti, vi ho parlato del fatto che i giornali specializzati
tendono a parlare ai mondi delle persone più preparate, quelli che all’incirca
coincidono con chi è già cliente di un qualche tipo di consulente. Questo emerge anche dai sondaggi, quando cioè si cerca
di capire che cosa pensano le persone. E’ facile accorgersi che si tratta di
campioni di persone che non sono veramente rappresentative di tutta la
popolazione dei risparmiatori. Tant’è vero che molte persone dichiarano di
conoscere gli aspetti cruciali del problema della diversificazione, da cui
siamo partiti lezioni fa, mentre è evidente dai fatti che tale meccanismo è stato
ignorato. Per esempio: il 68% per cento afferma di sapere che cosa sia la
diversificazione di portafoglio, e il 62% vi associa qualcosa di positivo
(Antonio Criscione, Una pluralità di scelte per vincere le incertezze, Plus24 del
Sole24Ore, 2.8.14, p. 7).
Eppure i risparmiatori
italiani nel loro complesso non si comportano così, o, per lo meno, non si sono
comportati così in passato. L’apprendimento sulla base delle conseguenze non ha
funzionato, nel senso che la maggioranza degli italiani non ha imparato a
differenziare le destinazioni dei loro risparmi. Le loro scelte sembrerebbero
il segno di un alto grado di patriottismo - probabilmente inconsapevole, almeno
alla luce di come la maggioranza degli italiani si è comportata in altri ambiti
della vita quotidiana. Questo patriottismo involontario, che ha legato la
maggioranza dei risparmi al destino del paese, dipende anche dal fatto che le
conseguenze delle scelte sono opache, soprattutto perché sono troppe lontane
nel tempo dalle nostre azioni. Inoltre le conseguenze dipendono da un intreccio
di fattori, e, in molti casi, sono irreversibili: tutto ciò rende difficile una
valutazione consapevole in uno scenario nebbioso. Inoltre noi siamo refrattari
ad accettare l’incertezza e a prevenirla frazionando i rischi. Preferiamo
cadere vittime inconsapevoli di meccanismi noti, e già più volte analizzati,
come il “senno di poi” (cfr. Kahneman, 2012, Legrenzi, 2013).
Un esempio recente
dell’errore che discende dal giudicare il presente sulla base del passato, o
meglio di quello che noi ricordiamo del nostro passato, consiste nella
valutazione degli effetti della perdita di valore dell’euro rispetto alle
valute dei paesi in cui esportiamo. In un dibattito televisivo recente, ho
visto fare un parallelo tra le svalutazioni del passato della lira rispetto al
marco, valuta del paese al quale erano (e sono) rivolte, in maggior parte, le
nostre esportazioni. Oggi però l’euro copre quasi tutta l’Europa e, quindi, gli
effetti della sua svalutazione non corrispondono a quelli della lira nei
confronti del marco, ma sono più ridotti. Gli effetti della svalutazione
dell’euro sulle economie delle diciotto nazioni che lo usano è diverso perché
dipendono dalla diversa percentuale di esportazioni verso i paesi non
euro. Una discesa dell’euro del 10% potrebbe incrementare l’export
aggregato dei paesi che usano l’euro del 2,5%, ma il vantaggio sarebbe solo
dell’1% per Germania, e del 5% per la Francia. Ecco dove sta l’errore insito
nel paragonare l’incremento dell’export dovuto alla discesa dell’euro agli
effetti delle svalutazioni di un tempo della lira. Ancora una volta, il
passato che è noto e ben conosciuto non ci aiuta, anzi è fuorviante. Di qui
emerge l’opportunità o la necessità di affidarsi a un consulente esperto.
La conoscenza di come
stanno veramente le cose, e la conseguente scelta di una strategia di
differenziazione, in luogo della concentrazione in ciò che è noto al
risparmiatore, non elimina gli errori, si limita a diluirli e a frazionarli. E
tuttavia la resistenza ad accettare, nella vita, le strategie di
differenziazione, diluzione e, quindi, prevenzione, ci fa capire che, se
proprio vogliamo parlare di errori, si tratta di sbagli molto diversi dagli
altri. La “vera” conoscenza degli esperti ha effetti collaterali negativi
perché implica un’ammissione frustrante: si deve accettare che non si può
apprendere quel che speravamo imparare. Insomma, è preclusa la strategia che ci
permette di evitare quasi tutti gli altri tipi di errori nel corso della nostra
vita quotidiana. Alla luce di questo stato di cose, molte volte, invece di
parlare di errori, ho preferito usare il termine “illusioni”, proprio per
spiegare che l’educazione finanziaria è diversa da tutte le altre forme di
educazione che ci permettono di prevenire gli errori. In analogia a quello che
ho visto fare a Daniel Kahneman, adottavo per anni la consuetudine di iniziare
molte conferenze mostrando qualche illusione ottica, e cioè fenomeni della
visione tali per cui, pur sapendo come stanno in realtà le cose, non si può a
fare a meno di vederle in un altro modo. Volevo spiegare che quello che, in
termini aggregati, è un errore (e cioè un agire contrario al principio cardine
della diversificazione), non è riconducibile a sbagli dei singoli individui,
bensì a loro illusioni, difficilmente modificabili.
E tuttavia, col tempo, e
con la familiarità con chi opera in tale ambito, consulenti e clienti, mi sono
accorto che non si tratta nemmeno di vere e proprie illusioni. Parlerei
piuttosto d’incantesimi. Mentre un’illusione ottica resta sempre tale,
semplicemente perché il nostro sistema visivo è costruito in un dato modo, nel
campo degli errori nella gestione dei risparmi a un certo punto l’incantesimo
si dissolve, la nebbia si dirada, e una persona riesce non solo a vedere come stanno
le cose, traguardo relativamente facile, ma anche a comportarsi di conseguenza.
Dissolvere questo incantesimo è la missione più delicata dei consulenti perché
allude a qualcosa che va oltre la mera gestione dei risparmi, trattandosi di
una forma di educazione non solo finanziaria.
Qui c’è, mi sembra, una
grande lezione. S’impara, infatti, che la nostra persona, la nostra storia, la
nostra comunità, il nostro paese, non è al centro del mondo. Non importa il
nostro prezzo d’acquisto di qualcosa, ma il valore futuro che quella cosa avrà
per gli altri. La nostra storia individuale è irrilevante: facile a dirsi, ma
non a praticarsi. Per fare il nostro bene, in molti campi, bisogna divenire
consapevoli che non dobbiamo basarci su quello che è capitato a noi, durante la
nostra breve esperienza terrena, bensì su quello che succede in tutto il mondo
sui tempi lunghi. E’ bene, per esempio, approfittare della crescita degli altri
paesi, e non lasciare attaccati i risparmi ai destini del nostro paese e
dell’euro (non dimentichiamo che anche gli immobili sono scambiati in euro, e
quindi sono calati nel biennio di un altro 10%, almeno rispetto a investimenti
in valute più solide, cfr. i dati sulla crescita nella lezione precedente).
Perché preoccuparci se qualcosa è andato storto nei casi in cui non ci sono più
rimedi: il nostro passato personale non influenzerà le scelte altrui, né oggi
né in futuro. Se si riesce a spezzare l’incantesimo, diventa facile liberarsi
da “senni del poi”, rimpianti, rimproveri, paure del futuro, avidità, ansie,
credenze illusorie. E questa è una lezione che va ben oltre ai fallimenti nella
gestione dei risparmi, e ai modi di porvi rimedio. Questa lezione mostra che il
ruolo del consulente finanziario può crescere fino a quello di un “amico”, di
una persona saggia con cui ci si confida per molti altri problemi legati al
nostro futuro.
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