Nella lezione scorsa, avevo promesso che vi avrei
parlato di errori. C’è un motivo per cui la questione dell’errore è
fondamentale nel lavoro di un consulente: la tendenza “naturale” delle persone
a fare errori nel gestire i loro risparmi.
Questo
è il motivo principale per cui le persone “normali” hanno bisogno di un
consulente, anche se loro non lo sanno. E tuttavia questo è già stato detto, e
ripetuto, e credo sia ora utile inquadrare gli errori specifici che gli
inesperti fanno nel gestire i loro risparmi all’interno di una più ampia
tipologia degli errori. Solo così diviene possibile capirne meglio la natura.
Questa
estate sono successi vari episodi interessanti da questo punto di vista.
Citerò
soltanto un caso nazionale e uno internazionale. Quello nazionale si riferisce
alla previsione, fatta da alcuni professori di economia (alcuni fanno anche i
politici o, per la precisione, i consiglieri politici), basata sul fatto che
dare ottanta euro a chi lavora, abbassando le tasse, avrebbe fatto alzare i
consumi. Almeno finora, così non è stato. Doveva accadere? Forse avrebbe potuto
accadere. E tuttavia, gli esempi statunitensi del passato mostrano che quando
questa mossa pro-consumi è fatta in tempi di magra, e da parte di un governo di
cui non ci si fida troppo, abbassare le tasse si traduce in risparmi, e non in
consumi. Una volta gli economisti tradizionali si limitavano a condividere una
concezione riduzionista dell’uomo basata sulle scelte rivelate. Questo vuol
dire, in sintesi, ricavare le preferenze e gli stili di comportamento economico
andando a vedere a posteriori quello che le persone hanno fatto, per l’appunto
le loro “scelte rivelate”. Gli economisti giovani, oggi, hanno studiato tutti
nei paesi anglosassoni, ed è stato loro insegnato che la psicologia è
importante, soprattutto quella delle attese (ricorderete che abbiamo parlato,
la lezione scorsa, di aspettative e del concorso di bellezza Keynesiano).
Il pericolo
è oggi che gli economisti integrino la concezione classica dell’uomo economico
- riduttiva, ma più semplice, sicura, e facile da maneggiare concettualmente -
con la psicologia del buonsenso. Non è sorprendente che poi il mondo non
funzioni come loro vorrebbero che funzionasse. Ed è curioso perché proprio un
economista statunitense, alla fine della prima guerra mondiale di cui
quest’anno si celebra l’inizio, aveva messo in guardia i suoi colleghi. Voglio
riportare tutto il pezzo di un famoso articolo del 1918 di John Maurice Clark
(1884-1963), che sarebbe diventato nel 1935 presidente dell’American Economic
Association. Egli scriveva:
Il solo modo con
cui un economista può evitare di duplicare il lavoro degli psicologi consiste
nello studiare la psicologia degli specialisti. Affidarsi semplicemente alle
scelte degli individui, senza capire i motivi che ci stanno dietro, può
sembrare agli economisti un modo per liberarsi della psicologia … Qualsiasi
definizione di natura umana implica delle assunzioni psicologiche, implicite o
esplicite. Solo se l’economista prende a prestito la concezione dell’uomo dagli
psicologi, la sua costruzione teorica potrà avere un carattere esclusivamente
economico. Se però non lo farà, non eviterà per questo la psicologia. Piuttosto
sarà costretto a fidarsi della “sua psicologia”, e questa sarà una cattiva
psicologia (p. 4).
Purtroppo
le cattive psicologie sono ancora in circolazione, e torneremo su questo punto.
Ora vi
parlo degli errori come fallimenti della razionalità. Nella conferenza di Obama
tenuta a Kansas City il 30.7.2014 (in rete), il presidente degli Stati Uniti ha
toccato vari temi, dalla politica estera a quella interna. Ha ricordato,
incalzato dai giornalisti, come lo stesso presidente del paese più potente del
mondo, in molti casi, non possa far altro che segnalare ai capi di stati esteri
che “le loro scelte non sono razionali, e che non rispettano gli interessi a
lungo termine del loro paese”. Questo modo di parlare allude alla presenza di
errori, intesi come fallimenti della razionalità, e all’eventuale possibilità
di porvi rimedio. Tale impostazione è stata resa popolare da Daniel Kahneman in
quella che possiamo considerare la summa di questa tradizione di ricerca sulla
razionalità e sui suoi fallimenti. Si tratta del libro Pensieri lenti e pensieri veloci (2012), che è stato e continua a
essere un successo mondiale. In questo libro, lo studioso israeliano ricapitola
mezzo secolo di ricerche nel suo campo. Tra l’altro, spiega gli “errori umani”
partendo da una serie di risultati ottenuti studiando in laboratorio il
comportamento delle persone.
Talvolta
è stato giustamente rimproverato a questa tradizione di studi sui fallimenti
della razionalità (economica), la tendenza a servirsi prevalentemente delle
ricerche condotte in laboratorio. Per la verità, negli ultimi anni, è stato
analizzato, tra gli altri, l’ambito in cui, fuori dai laboratori, siamo vittime
dei più rilevanti, sistematici, duraturi e dannosi “fallimenti della
razionalità”. Si tratta delle scelte fatte dalle persone per decidere,
consapevolmente e inconsapevolmente, che cosa fare dei propri risparmi. Molti
studiosi, parlando di educazione finanziaria, hanno considerato questo uno dei
più clamorosi fallimenti nell’applicazione delle scienze cognitive alle scelte
che hanno rilevanza sociale.
Nel
caso del risparmio, il fallimento della razionalità si palesa evidente se
consideriamo i dati aggregati. Basti, per esempio, esaminare gli italiani nel
loro complesso, con tutti i loro risparmi, e andare a vedere dove sono finiti
questi risparmi (circa novemila miliardi). Oggi, il complesso dei risparmi
cumulati è, per nove decimi, legato ai destini del paese dei risparmiatori
stessi, e cioè l’Italia. Inoltre, per più di due terzi, si tratta di scelte non
facilmente modificabili: sono investimenti immobiliari. Questo dato aggregato
palesa una chiara violazione del principio di prudenza consistente nel non
mettere tutte le uova nello stesso paniere (principio chiamato in finanza
“diversificazione”). Si tratta di un principio che trova applicazione in molti
altri ambiti di vita, nel senso che ci rende anti-fragili, cioè meno
vulnerabili ai rovesci della sorte (cfr. Legrenzi, 2014, Taleb, 2013, White et
al., 2013). Nel caso dei risparmi “tutti nello stesso paese” va aggiunto che
quello italiano non è certamente uno dei panieri/paesi tra i più efficienti,
rilevanti e sicuri sul piano mondiale.
Dietro
a questo impressionante dato aggregato, che interessa gli economisti e di cui
ho parlato più volte, ci stanno innumerevoli scelte fatte da individui, e
queste interessano gli psicologi. Di fronte a queste scelte si possono adottare
due punti di vista.
Si
possono interpretare come gli esiti di noti meccanismi di scelta sub-ottimali
innescati dalla mente umana: così ha fatto Kahneman, seguito poi da tanti
altri.
Un
punto di vista complementare, che cercherò ora di sviluppare, consiste nel
considerare tali scelte come manifestazioni di errori particolari,
specificatamente collegati alle decisioni d’investimento. Per scandagliare questo
secondo punto di vista, si possono confrontare gli errori della quotidianità -
soprattutto quelli che avvengono interagendo con le tecnologie, ma non solo -
con gli errori degli individui nella gestione dei loro risparmi. Questo
confronto rende evidenti, per differenza, alcune caratteristiche particolari
insite negli errori compiuti nell’allocazione dei risparmi.
Come
vedremo nella prossima lezione, la differenza cruciale è nella possibilità di
prendere coscienza degli errori fatti da noi o dagli altri: accusare di errore
chi non si è accorto di aver commesso l’errore e, soprattutto, non può
accorgersene, è un fraintendimento che può implicare cattiverie inconsapevoli,
e dolori consapevoli. Questo è quello che è capitato nel 1796 nell’osservatorio
di Greenwich, quando l’astronomo reale licenzia il suo assistente, ritenendolo
sbadato, distratto e inaffidabile. Oggi sappiamo che l’astronomo reale giudicò
male il suo assistente, in realtà assai scrupoloso. Costui, licenziato, cadde
nel più cupo sconforto, non capendo che cosa era successo. Questo episodio
minore è divenuto simbolico non solo delle origini (sconosciute) degli errori,
ma di tutta la storia della psicologia sperimentale (cfr. Legrenzi e Umiltà,
Perché abbiamo bisogno dell’anima, il Mulino, in corso di stampa, ottobre
2014).
La
morale della storia dell’astronomo reale è doppia. Da un lato, perché si possa
parlare d’errore, bisogna rendersi conto che dobbiamo avere a che fare con un
errore vero e proprio, riconosciuto come tale da chi l’ha fatto. Per quanto
riguarda poi il lavoro dei consulenti, c’è un aspetto più specifico, che
approfondirò nella prossima lezione.
In
sintesi, non bisogna mai dire al nostro cliente che sbaglia. Lui in fondo, lo
sa, perché se fosse così convinto di fare bene, non sarebbe nostro cliente.
Però non gli piace sentirselo dire. Non va (quasi) mai enfatizzata l’asimmetria
di conoscenze: noi consulenti sappiamo, e lui no. Al contrario va detto che lui
non ha tempo, che è un lavoro da lasciare agli specialisti, che i mercati girano
in poco tempo, che è un’attività poco divertente, e altre cose del genere,
sempre dando per scontato che il consulente è esperto, ma senza mai dirlo. Il
vero punto cruciale, che cercherò d’analizzare, è che cosa fare con i
non-clienti, come trasformare un non-cliente in un cliente.
Come
far svanire quel delicato incantesimo – di cui parlerò nella prossima lezione -
tale per cui una persona pensa di far bene da sola, senza aiuti, e resta così
un non-cliente.
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