martedì 23 settembre 2014

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 99 – “Sbagliare è umano …” con quello che segue



Nella lezione scorsa, avevo promesso che vi avrei parlato di errori. C’è un motivo per cui la questione dell’errore è fondamentale nel lavoro di un consulente: la tendenza “naturale” delle persone a fare errori nel gestire i loro risparmi.
Questo è il motivo principale per cui le persone “normali” hanno bisogno di un consulente, anche se loro non lo sanno. E tuttavia questo è già stato detto, e ripetuto, e credo sia ora utile inquadrare gli errori specifici che gli inesperti fanno nel gestire i loro risparmi all’interno di una più ampia tipologia degli errori. Solo così diviene possibile capirne meglio la natura.

Questa estate sono successi vari episodi interessanti da questo punto di vista.
Citerò soltanto un caso nazionale e uno internazionale. Quello nazionale si riferisce alla previsione, fatta da alcuni professori di economia (alcuni fanno anche i politici o, per la precisione, i consiglieri politici), basata sul fatto che dare ottanta euro a chi lavora, abbassando le tasse, avrebbe fatto alzare i consumi. Almeno finora, così non è stato. Doveva accadere? Forse avrebbe potuto accadere. E tuttavia, gli esempi statunitensi del passato mostrano che quando questa mossa pro-consumi è fatta in tempi di magra, e da parte di un governo di cui non ci si fida troppo, abbassare le tasse si traduce in risparmi, e non in consumi. Una volta gli economisti tradizionali si limitavano a condividere una concezione riduzionista dell’uomo basata sulle scelte rivelate. Questo vuol dire, in sintesi, ricavare le preferenze e gli stili di comportamento economico andando a vedere a posteriori quello che le persone hanno fatto, per l’appunto le loro “scelte rivelate”. Gli economisti giovani, oggi, hanno studiato tutti nei paesi anglosassoni, ed è stato loro insegnato che la psicologia è importante, soprattutto quella delle attese (ricorderete che abbiamo parlato, la lezione scorsa, di aspettative e del concorso di bellezza Keynesiano).
Il pericolo è oggi che gli economisti integrino la concezione classica dell’uomo economico - riduttiva, ma più semplice, sicura, e facile da maneggiare concettualmente - con la psicologia del buonsenso. Non è sorprendente che poi il mondo non funzioni come loro vorrebbero che funzionasse. Ed è curioso perché proprio un economista statunitense, alla fine della prima guerra mondiale di cui quest’anno si celebra l’inizio, aveva messo in guardia i suoi colleghi. Voglio riportare tutto il pezzo di un famoso articolo del 1918 di John Maurice Clark (1884-1963), che sarebbe diventato nel 1935 presidente dell’American Economic Association. Egli scriveva:
 Il solo modo con cui un economista può evitare di duplicare il lavoro degli psicologi consiste nello studiare la psicologia degli specialisti. Affidarsi semplicemente alle scelte degli individui, senza capire i motivi che ci stanno dietro, può sembrare agli economisti un modo per liberarsi della psicologia … Qualsiasi definizione di natura umana implica delle assunzioni psicologiche, implicite o esplicite. Solo se l’economista prende a prestito la concezione dell’uomo dagli psicologi, la sua costruzione teorica potrà avere un carattere esclusivamente economico. Se però non lo farà, non eviterà per questo la psicologia. Piuttosto sarà costretto a fidarsi della “sua psicologia”, e questa sarà una cattiva psicologia (p. 4).
Purtroppo le cattive psicologie sono ancora in circolazione, e torneremo su questo punto.
Ora vi parlo degli errori come fallimenti della razionalità. Nella conferenza di Obama tenuta a Kansas City il 30.7.2014 (in rete), il presidente degli Stati Uniti ha toccato vari temi, dalla politica estera a quella interna. Ha ricordato, incalzato dai giornalisti, come lo stesso presidente del paese più potente del mondo, in molti casi, non possa far altro che segnalare ai capi di stati esteri che “le loro scelte non sono razionali, e che non rispettano gli interessi a lungo termine del loro paese”. Questo modo di parlare allude alla presenza di errori, intesi come fallimenti della razionalità, e all’eventuale possibilità di porvi rimedio. Tale impostazione è stata resa popolare da Daniel Kahneman in quella che possiamo considerare la summa di questa tradizione di ricerca sulla razionalità e sui suoi fallimenti. Si tratta del libro Pensieri lenti e pensieri veloci (2012), che è stato e continua a essere un successo mondiale. In questo libro, lo studioso israeliano ricapitola mezzo secolo di ricerche nel suo campo. Tra l’altro, spiega gli “errori umani” partendo da una serie di risultati ottenuti studiando in laboratorio il comportamento delle persone.
Talvolta è stato giustamente rimproverato a questa tradizione di studi sui fallimenti della razionalità (economica), la tendenza a servirsi prevalentemente delle ricerche condotte in laboratorio. Per la verità, negli ultimi anni, è stato analizzato, tra gli altri, l’ambito in cui, fuori dai laboratori, siamo vittime dei più rilevanti, sistematici, duraturi e dannosi “fallimenti della razionalità”.  Si tratta delle scelte fatte dalle persone per decidere, consapevolmente e inconsapevolmente, che cosa fare dei propri risparmi. Molti studiosi, parlando di educazione finanziaria, hanno considerato questo uno dei più clamorosi fallimenti nell’applicazione delle scienze cognitive alle scelte che hanno rilevanza sociale.
Nel caso del risparmio, il fallimento della razionalità si palesa evidente se consideriamo i dati aggregati. Basti, per esempio, esaminare gli italiani nel loro complesso, con tutti i loro risparmi, e andare a vedere dove sono finiti questi risparmi (circa novemila miliardi). Oggi, il complesso dei risparmi cumulati è, per nove decimi, legato ai destini del paese dei risparmiatori stessi, e cioè l’Italia. Inoltre, per più di due terzi, si tratta di scelte non facilmente modificabili: sono investimenti immobiliari. Questo dato aggregato palesa una chiara violazione del principio di prudenza consistente nel non mettere tutte le uova nello stesso paniere (principio chiamato in finanza “diversificazione”). Si tratta di un principio che trova applicazione in molti altri ambiti di vita, nel senso che ci rende anti-fragili, cioè meno vulnerabili ai rovesci della sorte (cfr. Legrenzi, 2014, Taleb, 2013, White et al., 2013). Nel caso dei risparmi “tutti nello stesso paese” va aggiunto che quello italiano non è certamente uno dei panieri/paesi tra i più efficienti, rilevanti e sicuri sul piano mondiale.
Dietro a questo impressionante dato aggregato, che interessa gli economisti e di cui ho parlato più volte, ci stanno innumerevoli scelte fatte da individui, e queste interessano gli psicologi. Di fronte a queste scelte si possono adottare due punti di vista.
Si possono interpretare come gli esiti di noti meccanismi di scelta sub-ottimali innescati dalla mente umana: così ha fatto Kahneman, seguito poi da tanti altri.
Un punto di vista complementare, che cercherò ora di sviluppare, consiste nel considerare tali scelte come manifestazioni di errori particolari, specificatamente collegati alle decisioni d’investimento. Per scandagliare questo secondo punto di vista, si possono confrontare gli errori della quotidianità - soprattutto quelli che avvengono interagendo con le tecnologie, ma non solo - con gli errori degli individui nella gestione dei loro risparmi. Questo confronto rende evidenti, per differenza, alcune caratteristiche particolari insite negli errori compiuti nell’allocazione dei risparmi.
Come vedremo nella prossima lezione, la differenza cruciale è nella possibilità di prendere coscienza degli errori fatti da noi o dagli altri: accusare di errore chi non si è accorto di aver commesso l’errore e, soprattutto, non può accorgersene, è un fraintendimento che può implicare cattiverie inconsapevoli, e dolori consapevoli. Questo è quello che è capitato nel 1796 nell’osservatorio di Greenwich, quando l’astronomo reale licenzia il suo assistente, ritenendolo sbadato, distratto e inaffidabile. Oggi sappiamo che l’astronomo reale giudicò male il suo assistente, in realtà assai scrupoloso. Costui, licenziato, cadde nel più cupo sconforto, non capendo che cosa era successo. Questo episodio minore è divenuto simbolico non solo delle origini (sconosciute) degli errori, ma di tutta la storia della psicologia sperimentale (cfr. Legrenzi e Umiltà, Perché abbiamo bisogno dell’anima, il Mulino, in corso di stampa, ottobre 2014).
La morale della storia dell’astronomo reale è doppia. Da un lato, perché si possa parlare d’errore, bisogna rendersi conto che dobbiamo avere a che fare con un errore vero e proprio, riconosciuto come tale da chi l’ha fatto. Per quanto riguarda poi il lavoro dei consulenti, c’è un aspetto più specifico, che approfondirò nella prossima lezione.
In sintesi, non bisogna mai dire al nostro cliente che sbaglia. Lui in fondo, lo sa, perché se fosse così convinto di fare bene, non sarebbe nostro cliente. Però non gli piace sentirselo dire. Non va (quasi) mai enfatizzata l’asimmetria di conoscenze: noi consulenti sappiamo, e lui no. Al contrario va detto che lui non ha tempo, che è un lavoro da lasciare agli specialisti, che i mercati girano in poco tempo, che è un’attività poco divertente, e altre cose del genere, sempre dando per scontato che il consulente è esperto, ma senza mai dirlo. Il vero punto cruciale, che cercherò d’analizzare, è che cosa fare con i non-clienti, come trasformare un non-cliente in un cliente.

Come far svanire quel delicato incantesimo – di cui parlerò nella prossima lezione - tale per cui una persona pensa di far bene da sola, senza aiuti, e resta così un non-cliente.

Nessun commento:

Posta un commento