L’analisi
di quello che è successo, e la simulazione di quello che sarebbe potuto
succedere, sono i due strumenti con cui, diventando vecchi, costruiamo la
saggezza. Diventare saggi, in effetti, non è altro che imparare a preoccuparsi
soltanto delle cose di cui val la pena preoccuparsi. E non di quelle,
un’infinità, di cui ci preoccupiamo inutilmente da giovani. Come diceva Michel
de Montaigne, per tutta la vita mi son preoccupato di guai che poi non sono
successi (e solo ora, da molto vecchio, me ne sono accorto).
Quando il guaio non è capitato, noi
non possiamo essere responsabili di qualcosa che non è capitato. E allora ci
limitiamo a un respiro di sollievo, pensando allo scampato pericolo. Però ci
viene in mente anche quel poco che avrebbe potuto essere diverso, e che avrebbe
fatto succedere l’irreparabile. E così, in futuro, in circostanze analoghe
diventeremo più attenti. Purtroppo nel caso della gestione di un portafoglio il
cliente non si accorge da solo di tutti i pericoli che ha scampato, un po’ come
il personaggio dei fumetti “Mister Magoo”, che conoscono solo quelli che hanno
avuto figli piccoli tanti anni fa. Mister Magoo era un pensionato vecchietto,
semi-cieco e ricco, che girava per il mondo evitando per un pelo pericoli di
cui non si rendeva conto (le sue storie si vedono in rete).
Più in generale, queste situazioni
ci insegnano che il mondo è incerto, e che noi dobbiamo prepararci a questa
incertezza e, possibilmente, porre rimedio anticipatamente alle cose che
potrebbero andare storte. Con l’avvertenza di prendere in considerazione solo
gli eventi che sono sotto il nostro controllo, che sono cioè modificabili.
Questo “solo gli eventi sotto il controllo” può parere un’ovvietà, ma quante
volte ci preoccupiamo inutilmente di cose che, comunque, non dipendono da noi.
O perché ormai sono già successe, e non si può far niente, oppure perché sono
comunque fuori dalla nostra sfera d’intervento! Per questo motivo, nel caso
della gestione dei risparmi, è bene rivolgersi a un consulente, perché gli eventi
non sono appunto sotto il nostro controllo. Ma, se non ce ne rendiamo conto, la
relazione potrebbe incrinarsi.
Nei trent’anni successivi
all’esperimento del 1983, la tecnica centrata sulla simulazione di mondi
possibili conobbe uno sviluppo impressionante, sia sul piano teorico sia su
quello delle applicazioni.
Sul piano teorico, riuscire a capire
le strategie con cui la mente riesce a immaginarsi mondi diversi ci spiega
molte cose. In primo luogo ci permette di scoprire che la nostra mente non è
completamente libera nel creare realtà alternative a quelle che conosciamo. Al
contrario, funziona secondo delle gerarchie di cambiamenti possibili.
Nell’esperimento del Sig. Bianchi, vediamo che si preferisce cambiare le azioni
che sono sotto il controllo del protagonista, e non l’evento che non è sotto il
suo controllo, anche se è il più improbabile (caduta del ponte). Fare una
simulazione, e costruire un mondo possibile, serve anche a far emergere le
strategie con cui individuiamo le cause nel mondo reale. Se nel mondo reale una
causa produce certi effetti, sarà proprio quell’elemento che modificheremo
quando vogliamo immaginare un mondo dove non si producono quegli effetti.
La simulazione può venire condotta
in chiave diagnostica, come abbiamo fatto con la storia del Sig. Bianchi,
andando a vedere i motivi di quel che è già successo. Ma può anche venire fatta
in chiave preventiva. Si tratta di immaginare un mondo futuro in cui sarà
assente qualcosa che è presente nel mondo attuale. Oppure un mondo futuro in cui
capita qualcosa che non pensiamo possa succedere in quello che è, ora come ora,
il nostro mondo. Quest’operazione, in modo un po’ artigianale, la facciamo
sempre quando valutiamo le azioni future e prendiamo in considerazione le varie
possibilità. Si tratta di farlo in modo più sistematico, superando le nostre
limitazioni di cui parleremo nel prossimo capitolo.
Un campo in cui ha trovato molte
applicazioni l’euristica della simulazione è quello dell’analisi d’opinione.
Che cosa pensa il grande pubblico sulle questioni del nostro tempo: che cosa
dovremmo fare per intervenire sui mutamenti climatici? Chi li ha causati? Se è
stato l’uomo, che cosa si può fare, e come? Siamo nelle condizioni per una
bolla finanziaria, come si domanda Robert Shiller?
La stessa tecnica si è rivelata
utile per analizzare le rappresentazioni ingenue che stanno dietro alle
preferenze dell’opinione pubblica. Abbiamo imparato che non basta domandare,
per esempio, ai cittadini statunitensi se sono favorevoli oppure contrari a un
intervento militare in Irak. L’opinione è mutevole, e dipende da come ci si
rappresenta la questione in un preciso momento. Se andate a controllare come
gli stessi media presentano le cose in Medio Oriente, troverete grandi
cambiamenti in un breve lasso di tempo.
Provate a digitare sul motore di
ricerca Google Trends la voce “Syria revolution”: questa è l’unica etichetta
per gli eventi siriani, ai tempi della “primavera araba”. Poi, nel corso del
2012, compare “Syria civil war” e prende rapidamente il sopravvento sulla
definizione precedente, che finisce per scomparire. Gli statunitensi, che sono
nati ribellandosi ai britannici, possono anche avere simpatia per l’anelito di
libertà contro un dittatore come Assad. Viceversa, non ritengono che i loro
giovani debbano morire in una guerra civile che ha luogo nel lontano Medio
Oriente. Questo lo potete appurare se voi non vi limitate a sondare le loro
opinioni a favore di un intervento bellico, ma scandagliate le possibili
reazioni a scenari che potrebbero realizzarsi in futuro.
Questa tecnica della costruzione di
scenari non è utile solo per le grandi questioni pubbliche, ma anche per
immaginare in chiave preventiva scenari industriali o economici e finanziari.
Costruire scenari sull’evoluzione
possibile di una data situazione in futuro, o su possibili stati di crisi, oggi
improbabili ma possibili, può essere saggio perché ci mette in condizioni di
essere preparati la prima volta che si presentano effettivamente condizioni
analoghe.
La società British Petroleum (BP) si
sarebbe potuta servire di una simulazione in occasione della crisi del Golfo
del Messico. Una simulazione avrebbe aiutato anche la società giapponese Tokyo
Electric Power Company (TEPCO), in occasione dello tsunami che ha messo fuori
uso la centrale atomica con perdite di materiale radioattivo (segnalo un
articolo di Ben Heineman pubblicato dall’Harvard Business Review sulla gestione
di crisi di questi due eventi: "Crisis Management Failures in Japan's
Reactors and the BP Spill", reperibile in rete).
Le normali routine non prendevano in
considerazione scenari come quelli che si sono verificati in seguito agli
incidenti nel Golfo del Messico e alla centrale atomica di Fukishima. Su un
piano puramente teorico, la possibilità di un’esplosione in un pozzo del Golfo
del Messico era prevedibile ed era stata contemplata nei processi e nella
tecnologia. Tant’è vero che BP si era assicurata contro questa eventualità.
Allo stesso modo la possibilità di un terremoto di grandi dimensioni, e
conseguente tsunami, era stata presa in considerazione nella decisione
giapponese di dipendere dall’energia nucleare. Quella che mancava era la
simulazione dello scenario con le varie misure e procedure da mettere in atto
una volta che l’evento, prevedibile anche se molto improbabile, si fosse
verificato. Ed è appunto questa simulazione che non siamo nelle condizioni di
fare per prevenire lo scoppio delle bolle finanziarie, come si è già detto.
Proprio come nelle storie del Sig.
Bianchi, anche se in modo assai più complesso, sia la BP che la TEPCO avrebbero
dovuto simulare le varie mosse che erano sotto il loro controllo, così da
essere in grado di agire con celerità scegliendo tra le varie alternative. Le
cose non andarono purtroppo così. Nella fase iniziale della crisi del Golfo del
Messico, il governo degli Stati Uniti ha lasciato diversi aspetti della
gestione della crisi a BP. Ma l’incidente nel Golfo del Messico era una
questione di carattere nazionale, che avrebbe richiesto l’intervento e
l’assunzione di responsabilità da parte del governo. La Commissione d’inchiesta
su BP ha criticato il governo federale per non aver preparato la simulazione di
un piano d’intervento e, di conseguenza, per aver assunto tardivamente la
leadership nelle operazioni. In Giappone, seppure il governo avesse assunto la
leadership su molti aspetti della crisi scatenata dal terremoto/tsunami, non
c’era la simulazione di un piano d’intervento dei vari attori, e la confusione
è apparsa sin dall’inizio evidente. Dov’è il governo centrale? Dov’è l’ente che
regola l’industria nucleare?
Nel caso di BP, una simulazione
preventiva avrebbe dovuto contemplare le risposte a queste domande: quanto
petrolio veniva immesso nel golfo del Messico? Come si poteva chiudere la
falla? Dove andava a finire il petrolio fuoriuscito (superficie/sotto la
superficie)? Com’era possibile contenere o rimuovere il greggio fuoriuscito?
Come si poteva eliminare o ridurre il danno causato all’ambiente/alle comunità
locali/alle proprietà? Purtroppo le risposte a queste domande sono state trovate
per prove ed errori, dopo che il disastro si era verificato.
Anche il governo giapponese dovette
confrontarsi con una serie di problematiche simili, che non erano state
simulate a priori. Domande cruciali sulla condizione dei reattori; reazioni
fisiche e chimiche nelle zone vicino ai reattori; azioni intraprese per ridurre
il rischio; rilascio di radiazioni; implicazioni di carattere sanitario.
In entrambi i casi, una simulazione
completa da parte di BP e TEPCO, con le varie procedure, azioni e responsabili,
avrebbe dovuto essere pronta e applicabile senza incertezze e ritardi.
La simulazione può anche essere
impiegata per costruire giochi a scopo formativo, detti comunemente “business
game” (BG). Per esempio all’Oréal, fino al 2000, si tenevano gruppi formativi,
con gli apprendisti e i responsabili dei prodotti. Si chiedeva loro che cosa
avrebbero fatto per contrastare la concorrenza, e far crescere di valore il
prodotto o la linea di prodotti di cui potrebbero essere stati responsabili,
immaginando scenari e aggiornandoli via via che cambiava il quadro di
riferimento. Nel 2000, l’Oréal ha commissionato a una società di consulenza il
gioco di simulazione E-Strat Challenge, un BG che ha l’obiettivo di gestire un
portafoglio di prodotti con varie mosse nell’arco di sei mesi. Il gioco simula
i possibili scenari e i neomanager devono affrontare sfide, impostare politiche
di prezzi e di comunicazione, gestire un budget di prodotto allocandolo a varie
destinazioni.
Come nelle storie del Sig. Bianchi e
nelle vicende di BP e TEPCO, la simulazione non serve solo a immaginare come si
sarebbero potuto evitare i guai, o ridurne le conseguenze negative, ma può
anche venir utilizzata per riprodurre un mondo e insegnare come ci si deve
muovere in modo efficace al suo interno. (Per approfondire il tema della
simulazione a scopo formativo nelle aziende rimando a “Business game” di
Cristiano Ghiringhelli e Raoul Nacamulli in “Formazione”, un volume a
cura di Gian Piero Quaglino, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2014).
Come accennavo due lezioni fa, le
simulazioni sono utili per capire quelle emozioni, come il rimpianto, che sono
generate dal confronto tra come sono andate le cose e come avrebbero potuto
andare (tipiche degli investimenti!). Le emozioni sono molto importanti perché
sono un po’ come la benzina per un’automobile. Senza benzina non si va avanti.
Però, alle volte, la benzina è sporca, impura, e intasa il motore. Un criterio
molto efficace per appurare la qualità della benzina è proprio la strategia di
simulazione di scenari alternativi. Si può fare una distinzione tra le emozioni
pure, che ci fanno essere e stare meglio, che ci spingono avanti, che ci danno
la forza per affrontare la vita con ottimismo e alimentano atteggiamenti
positivi. E, d’altro canto, abbiamo anche le emozioni impure, che intasano la
nostra mente e creano stati d’animo negativi. Queste sono quelle che
distruggono le relazioni tra un cliente e il suo consulente. Ne parlerò
prossimamente. E tuttavia, prima di lasciarvi, permettetemi un ultimo breve
accenno alla pianificazione finanziaria.
Oggi, in Italia, i risparmi
assommano, nel complesso, a novemila miliardi, due terzi circa in immobili. Il
terzo restante lo troviamo depositato in conti bancari e postali, in titoli di
Stato, in obbligazioni e azioni. Più del 90% del totale di questi risparmi è
investito qui, legando così le sorti di quanto accantonato per affrontare
l’incertezza del futuro a quelle del nostro paese. Una diversificazione
carente, dovuta al fatto che poco di questo risparmio è gestito da consulenti.
Una grande occasione per Voi, consulenti esperti. La più grande nemica, e cioè
la scelta d’immobilizzazione del risparmio in case, è in forte crisi.
Inizia un autunno pieno di speranze,
per Voi. Ricordate ai Vostri clienti che la concentrazione geografica non è
dovuta a ragioni patriottiche: semplicemente è stato preferito ciò che “loro”
conoscevano da vicino. Di qui la prevalenza impressionante degli immobili. Alla
base c’è la convinzione che la casa sia un ottimo investimento. Ed è una
credenza fondata e vantaggiosa, ma solo sul piano psicologico. Il valore degli
immobili non ha «oggettivamente» una quotazione chiara. Di conseguenza non
oscilla, e quindi non provoca mai dolori. E tuttavia la prossima generazione
sarà la prima del dopoguerra a essere più povera, nel complesso, della
precedente. La buona gestione dei risparmi non era un problema così rilevante
sul piano sociale quando la ricchezza cresceva a un ritmo elevato rispetto al
reddito annuale (per esempio: 25% del reddito è stato risparmiato nel 1975). Lo
è oggi: il rapporto tra redditi delle future generazioni e risparmi ereditati
ed ereditabili non è mai stato così sproporzionato, anche per la progressiva
riduzione delle pensioni. Quindi Vi consiglio di contattare i proprietari di
case “over 65”, che sono addirittura più di dodici milioni di italiani.
Seguendo i consigli del numero di Plus-Sole24Ore “Spremere il mattone”, del 19
luglio 2014, potete trovare idee sul come trasformare questo patrimonio
illiquido in risparmi gestibili in modi profittevoli. A molte di questi dodici
milioni di persone è sufficiente una prima casa, e talvolta conviene persino
restare inquilini in casa propria. E’ una missione giusta e utile, perché
potrebbe risistemare la sproporzione di cui ho parlato prima.
Nella prossima lezione tornerò a
parlare di simulazioni ed emozioni.
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