John Maynard Keynes |
Nella lezione del Prof.
Legrenzi viene citato l’articolo di
Carlo Benetti su quel grande economista che fu John Maynard Keynes. Dato che
per molti lettori sarebbe piuttosto difficile trovare questo articolo provvedo
a pubblicarlo affinché sia meglio interpretato il pensiero del Prof. Legrenzi.
“John Maynard Keynes è stato il più grande
economista del Novecento ma anche un innovatore nello stile di gestione,
anticipando lo stile “value” e intuendo l’importanza della finanza
comportamentale. Soprattutto, è stato un investitore capace di imparare dai
propri errori. Negli interstizi della Grande Storia si nascondono sempre storie
minori, poco note, poco notate, eppure singolari, utili alla comprensione di
altre storie ed altre narrazioni.
Se
si pensa all’origine degli hedge fund viene in mente (e se non viene in mente
c’è sempre l’”aiutino” di Google) il fondo istituito nel 1949 dal giornalista
economico Alfred Jones che con una dotazione iniziale di 100.000 dollari volle
sperimentare la validità della sua intuizione: detenere titoli azionari nel
lungo periodo minimizzando il rischio con vendite allo scoperto di altri titoli
a fini di copertura. Alfred Jones fu il primo ad adottare la tecnica
“long/short”, oggi diventata un classico. Ma non fu sua l’intuizione del primo
fondo hedge! L’intuizione del primo fondo speculativo è una storia minore che
si nasconde nelle pieghe della Grande Storia, negli anni successivi alla prima
Guerra Mondiale, i cui primi tiri di cannone e fucile sul fronte occidentale
vennero esplosi proprio cento anni fa esatti, il 4 agosto 1914, quando
l’esercito tedesco violò la frontiera del Belgio.
Fu
Sir John Maynard Keynes ad avere l’intuizione che la volatilità sulle valute
nei caotici anni del primo dopoguerra offriva l’occasione per guadagnare denaro
facilmente e rapidamente.
Il
ragionamento era semplice, fino al 1914 i rapporti di cambio delle valute internazionali
erano fissi, regolati in un sistema detto “Gold Standard” che assicurava la
convertibilità delle banconote in oro. Sospeso durante il conflitto, si rivelò
complicato ripristinare il medesimo sistema nel 1918 come se nulla fosse
accaduto. Keynes approfittò dunque della elevata volatilità delle divise e di
quella che definiva la sua “conoscenza superiore” delle regole del gioco per
fare soldi in fretta. Il primo pool di investitori, come diremmo oggi, era
composto da familiari e dagli amici del circolo Bloomsbury. Keynes andò “corto”
di marco tedesco, franco francese e lira italiana, valute che riteneva
sarebbero state indebolite dall’inflazione post-bellica, e costruì posizioni
“lunghe” sulle valute che riteneva più forti, sterlina e dollaro.
Quella di
Keynes non era una gestione patrimoniale, il “patto di sindacato” stretto con
gli amici non era finalizzato alla conservazione e difesa dei loro risparmi,
era attività speculativa bella e buona. Come spesso accade, le cose andarono
molto bene all’inizio, in pochi mesi il fondo crebbe di circa 80.000 dollari,
poco meno di un milione di dollari di oggi. Ma nell’aprile del 1920 accadde un
fatto inatteso, la Germania riguadagnò la fiducia dei mercati, il marco e altre
divise deboli si apprezzarono rapidamente e in poche settimane si dissolsero
performance e capitale.
Deluso ma
soprattutto imbarazzato per aver fatto perdere denaro agli amici, Keynes tornò
ad operare sui mercati mosso dalla volontà di risarcirli per le perdite di cui
si sentiva responsabile.
Questa volta
lasciò perdere le valute e preferì dedicarsi alle commodity, cercando nello
studio delle serie storiche dei prezzi correlazioni e sentieri di
prevedibilità. Tra il 1921 e il 1927 Keynes ebbe anche la responsabilità di un
fondo costituito con i colleghi del Ministero del Tesoro che investiva in
materie prime, valute e titoli azionari. Dal 1923 al 1927 il risultato medio
annuo di questo “fondo comune chiuso” fu attorno al 10%. Non andò altrettanto
bene al fondo hedge “virtuale” costituito con gli amici di Bloomsbury: alla
fine del decennio le performance peggiorarono, il tonfo di Wall Street e la
Grande Depressione fecero il resto per consumare ulteriormente il patrimonio
collettivo.
Ma Keynes
sapeva imparare dai propri errori: se nemmeno lo studio accurato di centinaia
di pagine di prezzi, valori e serie storiche era sufficiente a tracciare modelli previsivi,
l’economista cominciò ad interrogarsi su quali fossero le vere, invisibili leve
che muovevano il mercato. La risposta è nel capitolo dodicesimo della Teoria
Generale, dove Keynes parla degli “slanci vitali”, gli “animal spirits” motore
invisibile del progresso economico.
Riconoscere
che gli “spiriti animali” non rispondono ai canoni delle leggi economiche e
della razionalità e non sono per nulla prevedibili, significò per Keynes mutare
radicalmente il proprio approccio agli investimenti. Anziché tentare di
anticipare i movimenti del mercato sulla scorta delle sue “conoscenze
superiori”, cominciò a concentrarsi sul valore dei titoli azionari nel lungo
periodo adottando quello che oggi definiremmo un approccio “value”, individuava
cioè titoli il cui prezzo appariva a sconto rispetto al valore intrinseco dei
fondamentali.
Insomma
Keynes, anche se non riuscì ad evitare disastrosi “sell-off”, è da considerare
un investitore sapiente perché si adeguò ai cambiamenti del mercato cambiando a
sua volta il modo di pensare. Considerando il periodo drammatico in cui svolse
la sua attività di investitore i risultati complessivi sono ragguardevoli.
John Wasik,
che ha dedicato un libro al lato meno conosciuto di Keynes, quello
dell’investitore (Keynes’s Way to Wealth: Timeless Investment Lessons from The
Great Economist, 2013), riporta che nel 1931, uno dei peggiori anni nella
storia della borsa americana, il patrimonio di Keynes perse il 25% a fronte di
un crollo del listino di oltre il 52%. Nel 1937, altro anno difficile per le
azioni (la borsa americana perse quasi il 33%) Keynes consegnò un risultato
positivo del +8,5% e riuscì a far meglio della borsa inglese in 12 anni su 18.
L’esperienza
di Keynes nel gestire il patrimonio del King’s College resta di eccezionale
attualità a distanza di tanti anni, Wasik la definisce una “lezione senza
tempo” utile ancora oggi all’investitore individuale e all’operatore
professionale. Keynes commetteva errori ma i mercati sono imprevedibili, non è
bravo colui che batte sempre il mercato (perché non esiste), ma colui che dagli
errori trae insegnamento. Sui primi fallimenti Keynes seppe modificare il
proprio approccio, da strategie basate sulle previsioni macro economiche che si
dimostrarono perdenti, passò a strategie fondate sulla comprensione del valore
delle società. Fu il primo investitore “value” e “bottom-up” perché comprese il
significato della valutazione dei fondamentali e la paziente attesa
dell’assorbimento delle sottovalutazioni nei prezzi.
Keynes fu
investitore moderno, un precursore, anche perché riconobbe l’importanza degli
“animal spirits” che scaturiscono dall’emotività, che sfuggono alla razionalità
matematica e dunque imprevedibili. In questa intuizione c’è il primo embrione
della moderna disciplina della finanza comportamentale. “Non c’è nulla di
altrettanto disastroso di scelte di investimento razionali in un mondo
irrazionale”, è un monito di Keynes valido negli anni ’30 come anche in questo
nostro tempo bizzarro.”
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