Nel mio
punto di svolta, il 1972, aveva certamente agito il caso (morte di mio suocero,
nascita di un figlio, posto a Trieste). E tuttavia le “vere” cause erano da
individuare nelle mie decisioni personali, quelle che avrei potuto prendere in
modo diverso.
Nel 1983, cercai di risolvere la
questione con un esperimento, come di consueto.
Ci misi molto a decidermi perché,
nel frattempo, mi ero dato a un nuovo mestiere, a quei tempi inclassificabile,
simile forse a quello che oggi si chiamerebbe pomposamente “social media
marketing”. Si tratta di collaborare a tutta quella catena di decisioni lungo
il percorso che va dall’invenzione di un concetto-prodotto, fino alla strategia
di promozione sui vari canali. Allora non c’era la rete, e si usavano tutti gli
altri canali disponibili, quelli che, ancor oggi, sono i più importanti (TV,
radio, giornali, punti di vendita, confezioni, sponsorizzazioni, e così via).
E’ un tipo di consulenza che ha preso molto piede. Al punto che a fine 2013,
secondo i dati Linkedin, questa è l’attività per cui, più spesso, un giovane
italiano va a lavorare all’estero.
Avevo cominciato con una
multinazionale della cosmesi, L’Oréal (dall’aureola che cinge la testa di una
donna con i capelli colorati), dove per anni aveva lavorato proprio il mio capo
triestino, Gaetano Kanizsa, precursore delle ricerche motivazionali in Italia.
Lui, però, non ci aveva preso molto gusto. Il fatto è che non conosceva la
psicologia adatta. Io, invece, trovavo nelle aziende un terreno di collaudo e
di spunto per quella che era, di fatto, psicologia del pensiero applicata alle
scelte delle organizzazioni, alle lotte con la concorrenza. Mi divertivo.
Torniamo dunque al quesito di Ernst
Bloch e al problema con cui cercai di rispondervi tramite esperimenti. Provai a
costruire una breve storia, come un riassunto di un racconto di Alice Munro:
Il Sig. Bianchi era responsabile di
un passaggio a livello lungo una linea ferroviaria molto isolata, a mezz’ora
dal villaggio dove abitava. Per prudenza egli si recava ogni giorno, mezz’ora
prima del passaggio dell’unico treno per quella linea, così da essere sicuro di
poter chiudere il passaggio a livello per tempo.
Il giorno della catastrofe, Bianchi
era uscito di casa addirittura un’ora e mezza prima e, non avendo nulla da
fare, si stava recando al punto di controllo. Trovò però per strada un suo
amico carissimo che lo invitò al bar. Bianchi, essendo in anticipo,
l’accompagnò per lasciarlo mezz’ora dopo, con l’orario consueto. Bianchi si
mise in cammino, ma a metà strada sentì un boato e vide crollare di fronte a sé
il ponte di legno. Le travi di sostegno, troppo vecchie, per fatalità avevano
ceduto proprio in quel momento. Bianchi cercò di attraversare la valle a piedi,
ce la mise tutta, ma arrivò con cinque minuti di ritardo. Era appena successo
un incidente: un carro e un contadino erano stati travolti dal treno presso il
passaggio a livello incustodito.
Come capita dire in queste
occasioni: “Se solo …”.
La preghiamo di completare questa
frase.
E Lei, lettore, una volta letta la
storia, immaginandosi di essere il Sig. Bianchi, come completerebbe la frase
che inizia con “Se solo …”?
Se le cose funzionassero come
suggeriva Bloch, dovremmo aspettarci che le persone menzionino l’evento più
improbabile, e cioè il cedimento delle travi. E invece solo due persone su
trenta modificano la storia con queste parole: “Se solo il ponte non fosse
crollato …”. Quasi tutti evitano l’incidente mortale immaginando che Bianchi
faccia qualcosa di diverso. Costruiscono cioè una storia in cui è stata
modificata un’azione che era sotto il controllo di Bianchi, qualcosa insomma
che lui avrebbe potuto fare in modo diverso. Nella grande maggioranza delle
risposte, l’evento su cui s’interviene è la sosta al bar, eliminandolo oppure
modificandone la durata.
Il lavoro del 1983 si serviva
dell’euristica della simulazione. Si tratta di chiedere alle persone di
completare la frase finale, che inizia con Se solo … Il compito di chi
partecipa all’esperimento consiste nell’immaginare un mondo diverso da quello
della storia, per esempio quella del Sig. Bianchi. Fu Phil Johnson-Laird a
parlarmene, e a regalarmi copia dell’articolo di Daniel Kahneman e di Amos
Tversky, uno psicologo eccezionale, che conobbi bene nel 1996, poco prima che
morisse.
Io lessi la ricerca, e mi colpì la
tecnica del completamento del “Se solo …”. Ecco un modo per rispondere agli
interrogativi sollevati da Bloch.
Kahneman e Tversky sostenevano una
tesi simile a quella di Bloch, e cioè che noi, nell’immaginare una storia priva
del tragico epilogo, avremmo fatto dei cambiamenti minimi, sostituendo o
eliminando l’ultimo evento, oppure quello più improbabile. In effetti, quando
si tratta d’incidenti scampati per miracolo, le cose stanno così. Costruii una
versione della storia del Sig. Bianchi in cui lui evitava la catastrofe per un
pelo, riuscendo ad arrivare sul posto pochi minuti prima del passaggio del
treno. In questi casi, alla maggioranza delle persone, viene spontaneo dire:
“Se solo fosse arrivato cinque minuti dopo”.
Questa differenza tra quando capita
un guaio, e quando il pericolo viene evitato per un pelo, è molto sensata.
Quando capita un guaio, noi andiamo a cercare qualcosa che avremmo potuto fare
in modo diverso, così da evitare le conseguenze negative. Maneggiare in questo
modo l’euristica della simulazione è molto pedagogico perché ci insegna a
evitare guai in futuro, quando ci troveremo in situazioni simili. Nel caso però
della gestione del risparmio e della teoria del portafoglio le cose non
funzionano così perché noi non possiamo mai imparare, dato che è difficile
capire quando si è formata una bolla, se non dopo che è scoppiata. E tuttavia
questo è un problema che riprenderò quando parlerò dell’irrazionalità del
rimpianto nella gestione dei risparmi. Dato che qui ci occupiamo invece della
relazione tra cliente e consulente, dobbiamo soffermarci su quello che chiamo
“il grande problema”.
Il grande problema dei rapporti di
un consulente con un cliente è che i quasi-guai, quelli che non sono successi
per un pelo, nella vita sono sempre evidenti. Ci accorgiamo subito dello
scampato pericolo, e ci viene spontaneo tirare un respiro di sollievo perché il
guaio del quasi-guaio non è accaduto. Tutte le storie di “scampato pericolo”
che si accompagnano agli aerei civili abbattuti, pensando che si trattasse di
velivoli militari (il caso del volo da Amsterdam alla Malesia è solo il più
recente), sono accompagnate, nelle cronache, dai resoconti di coloro che, per
un motivo o per l’altro, hanno perso quel volo. Un disastro evitato di poco, inconsapevolmente,
per circostanze spesso fortuite.
Il grande problema discende dal
fatto che, quando si gestiscono i risparmi di un cliente, tutti i disastri
evitati non si vedono. Non si vedono perché troppe cose succedono sui mercati
finanziari e il cliente si è affidato a voi proprio per non occuparsene. Quello
che lui vede è soltanto l’andamento dei diversi comparti nel “suo portafoglio”.
E queste differenze ci sono, ed è bene che ci siano, proprio perché il
portafoglio è ben diversificato. Come fare in modo che il nostro cliente veda
le “cause” giuste, veda anche i guai che non sono successi, abbia le emozioni
corrette, invece che rimpianti, emozioni cioè che alla lunga distruggono un
rapporto? Continueremo nella prossima lezione e, intanto, buone vacanze!
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