Approssimandomi alla
mia centesima lezione, vorrei porgere omaggio ai due numi tutelari di chi oggi
fa questa preziosa professione di consulente, in Italia più indispensabile che
altrove, in assenza di crescita economica. Un’assenza cui dovremo abituarci, almeno
secondo un recente studio di Moody’s.
In questo
scenario di stagna-recessione e di disinflazione, per alleggerire il debito, ed
evitare che il suo fardello passi alle prossime generazioni, servirebbero due
miracoli. Secondo Moody’s, ci vorrebbe, per diversi anni, o una crescita
economica del 3%, oppure un avanzo primario del 4%, o un mix dei due. L’Italia,
o meglio la sua classe politica, non è ancora pronta per auto-imporsi e imporre
sacrifici compatibili con un avanzo primario del 4%. Non siamo la Gran
Bretagna. Tengo sulla scrivania una vignetta d’annata. Essa ha il titolo: ”In
Britannia ancor più frugalità”. Sotto, con un fumetto, la vignetta attribuisce
ironicamente al nuovo (allora) ministro economico britannico questa battuta:
“Abbiamo già superato le difficoltà che devono ancora venire”. Con questo
spirito battagliero il suo governo ha, da allora, sistemato i conti del paese.
In Italia poi – segnala Moody’s, abbiamo un’altra grande difficoltà. Siamo tra
i paesi più vecchi del mondo, con più del 7% della popolazione sopra i 65 anni.
Tutte le ricerche e i dati mostrano come la crescita economica stia
rallentando, man mano che la popolazione diventa più vecchia. E siccome lo sta
diventando anche il resto d’Europa, anche se meno velocemente dell’Italia, sarà
sempre più difficile crescere con export o aumentare la domanda interna. E’
questo un quadro che non appare positivo, per usare un eufemismo (cfr. Morya
Longo, Sole 24Ore, 10 agosto 2014, p. 5). All’interno di questo quadro, non si
è presa sufficiente coscienza della rilevanza sociale del ruolo dei consulenti,
ruolo cruciale nel traghettare la ricchezza italiana da una generazione alla
prossima.
E’ probabile
che la prossima generazione sarà la prima, dal dopoguerra, che sarà meno
benestante della precedente. Il risparmio cumulato in passato diventerà sempre
più essenziale, e la cruciale missione di conservarlo sarà compiuta anche dai
consulenti. Speriamo che i risparmiatori italiani si affidino loro. Non è solo
un problema dei singoli clienti (attuali). La protezione e buona gestione dei
risparmi emergeranno sempre più come un problema sociale rilevante, all’interno
di uno scenario come quello sopra tratteggiato.
Veniamo ai
due numi tutelari. Di uno, John Maynard Keynes, ha già parlato il mio collega
Carlo Benetti nella prima lezione d’agosto. E ne ha ricordato l’aspetto più
peculiare e interessante.
Keynes non è
stato solo un grande teorico della crescita economica ma anche, e per lungo
tempo, “un diavolo d’investitore”. La teoria degli investimenti cambierà
proprio grazie alle sue esperienze d’investitore, come ricorda molto bene Carlo
Benetti (Alpha e Beta del 4 agosto). Keynes scoprì che le serie storiche
“lunghe” del passato non sono una buona base per prevedere il futuro immediato
o prossimo, punto su cui ritornerò tra poco. Partendo da questa scoperta “in
negativo”, Keynes decise di ricorrere a una strategia che anticipava l’odierna
tecnica long/short. Essa consiste, sbrigativamente, nel puntare sulle proprie
idee d’investimento ma, contemporaneamente, nel “darsi torto”, facendo
scommesse in senso contrario, rendendo così il portafoglio nel complesso più
sicuro. Gli insuccessi nei tentativi di prevedere l’andamento delle valute, di
cui parlerò tra poco, avevano convinto Keynes che i mercati si muovono sulla
base delle attese e previsioni dei più, secondo il meccanismo del “concorso di
bellezza” che produrrà miriadi di ricerche (è quel gioco tale per cui non
dovete scegliere la candidata più bella del concorso, ma quella che
probabilmente la maggioranza giudicherà più bella). Nel concorso di bellezza è
insita una grande lezione: non è importante il nostro punto di vista, ma quello
degli altri, quello dei più. Sono le aspettative altrui, per lo meno quelle
relative alle scelte maggioritarie, che muoveranno i mercati. Noi dobbiamo
cercare di seguire l’onda, meglio anticiparla, anche di poco, controllando i
movimenti dei più importanti attori economico-finanziari.
Carlo
Benetti ricorda un altro punto che vorrei sviluppare, dato che è rilevante
nelle relazioni tra clienti inesperti e consulenti esperti.
All’inizio
delle sue attività d’investitore (con i risparmi personali e quelli degli
amici), Keynes pensò di sfruttare uno stato di cose conseguente alla prima
guerra mondiale, e cioè l’oscillazione dei cambi, dopo che erano stati fissi
fino al 1914. Keynes ragionò da buon economista, quale lui era, e pensò che la
vittoria avrebbe “causato” la forza della sterlina e del dollaro, su cui andò
lungo, e la debolezza del marco, su cui andò corto. All’inizio la presunta
“causa” agì nel senso previsto, e determinò la differenza nei cambi immaginata
da Keynes (che arrivò a guadagnare fino a un milione di dollari a valori
attuali). Poi però, nell’aprile del 1920, la Germania si stabilizzò, e il marco
riacquistò la fiducia dei mercati. La presunta ”causa” non operò più, e Keynes
perse i guadagni suoi e, soprattutto, quelli dei suoi amici, cosa che gli
spiacque assai. In compenso si rese conto della profonda differenza tra le
scienze naturali e i modelli economici. In pratica, questo episodio gli fece
capire un punto molto importante. E cioè che, sui cambi, era meglio operare
esaminando le correlazioni “recenti”, cioè del recente passato, tra le valute,
tralasciando la presunta influenza a lungo termine delle cause implicite nei
ragionamenti macro-economici. Anche oggi le persone inesperte seguono sui media
gli sviluppi macro di natura economica e politica. Pensano così di fare scelte
sui cambi guidate da questi sviluppi (e questo è uno dei tanti motivi per cui
un buon consulente, più esperto e scettico, è assai utile).
La
sostituzione del concetto di “causa” con quello di “correlazione” è cruciale,
anche se l’inesperto confonde questi due concetti, come ho mostrato a lungo nel
mio “Perché gestiamo male i nostri risparmi”. Solo il concetto di correlazione
ci permette da un lato di impostare operazioni a breve, e, dall’altro,
legittima la cruciale nozione di “ritorno sui tempi lunghi verso le medie
storiche” (un concetto che è la negazione di quello di “causalità” perché nulla
causa il ritorno verso la media storica se non il disallineamento precedente).
Consideriamo
un esempio recente, di questa estate. Siamo a Ferragosto e il grafico che
mostra lo spread tra il bund quinquennale e l’equivalente titolo del tesoro
statunitense, da un lato, e il valore del cambio euro-dollaro, dall’altro, si
sta allargando continuamente da 120 giorni. La correlazione ha raggiunto il 14
agosto “meno 0.82”, mentre era “meno 0.65” in maggio (in parole povere, questo
valore indica che euro/dollaro e spread si muovono in direzioni opposte, ma non
che il secondo valore causi il valore del primo, o viceversa). Se questa
correlazione – suppongono gli analisti – procederà così nell’immediato futuro,
l’euro si indebolirà progressivamente da 1,34 (16.08.14) fino a sotto 1,32
(sarà interessante vedere che cosa sarà successo in settembre, quando questa
lezione andrà sul sito Swiss!). Alla luce dell’andamento a forbice di questi
due valori (spread e forza dell’euro), gli operatori scommettono in prevalenza
su un calo dell’euro, com’è indirettamente dimostrato dai 129mila contratti di
metà agosto. In gergo tecnico, questa variabile viene chiamata “net longs”. Si
tratta della differenza tra i “meno” che scommettono al rialzo e i “più” che
scommettono al ribasso: una differenza che non è mai stata così alta
dall’agosto 2012. E’ interessante riflettere sul fatto che i contratti “net
longs” innescano un meccanismo di “concorso di bellezza”. Pura psicologia delle
attese reciproche.
Keynes, in
conclusione, colse la differenza tra segni e cause e, da allora, non operò più
tenendo conto di elementi macro-economici. Intuì, al contrario, la forza
dell’effetto “concorso di bellezza”, da lui battezzato così e formalizzato nel
1936 (di questo meccanismo ho parlato più volte).
Per
terminare questa storia sulle correlazioni, va aggiunto che fu Alfred Jones, un
giornalista economico, a riprendere queste idee, e, nel 1949, a inaugurare
ufficialmente la stagione dei fondi hedge. Pochi anni dopo, Harry Markowitz,
con la sua tesi di dottorato, introdusse la teoria del portafoglio (ancor oggi
adottata: Markowitz, per la prima volta, perfezionò in termini formali il
concetto di diversificazione). A questo punto la sistematizzazione dei cardini
dell’operatività dei consulenti era terminata. Per converso, iniziava la lunga
marcia per convincere i risparmiatori della validità di queste nozioni
anti-intuitive. La strada che hanno davanti i consulenti italiani è ancora
lunga!
L’altro nume
tutelare della consulenza finanziaria è senza dubbio Daniel Kahneman, che
possiamo considerare il principale studioso che, sviluppando la finanza
comportamentale con esperimenti di laboratorio, diede seguito, alla fine del
secolo scorso, alle intuizioni pionieristiche di Keynes.
Daniel
Kahneman è stato il primo, e il solo psicologo sperimentale, a vincere il
premio Nobel per l’economia (2002). Il premio è l’esito di una lunga storia di
avvicinamento da parte delle scienze cognitive all’economia (di cui ho già
parlato in “Perché gestiamo male i nostri risparmi”, 2013). Senza raccontare di
nuovo questa storia, possiamo limitarci a dire che le ricerche di Kahneman, e
della sua scuola di pensiero, spiegano come mai la maggioranza delle persone
non riesca a comportarsi secondo i canoni della razionalità economica. E’
rilevante capire perché ci allontaniamo dalle varie forme di razionalità se
vogliamo analizzare la natura dei nostri errori, come porvi rimedio, o perché,
viceversa, non sia possibile porvi rimedio.
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