Nelle
lezioni precedenti vi ho parlato delle difficoltà che possono sorgere nel
costruire una buona relazione con il cliente. Erano difficoltà che avevano la
loro origine nei modi di funzionare della mente dei vostri clienti.
Ora vi voglio parlare di un altro
aspetto dello stesso problema, e cioè del lato della relazione che parte da
voi. Cercherò di spiegare perché voi dovreste provare a essere un prolungamento
della mente del vostro cliente non solo in termini “tecnologici”. Siete cioè
degli esperti della gestione dei suoi risparmi, e dovete essere reperibili,
come capita con le protesi. Pensate ad esempio al vostro smartphone, che vive
con voi. Ma dovete cercare di essere di più, essere cioè dei “prolungamenti
affettivi”. Il cliente deve potersi rispecchiare in voi, quasi foste delle
protesi affettive. Mi rendo conto che queste prime dieci righe non sono molto
chiare, e vi ringrazio se siete arrivati a leggere fin qui. Farò uno sforzo per
chiarirmi e, come spesso capita anche a voi, farò degli esempi. Sceglierò come
esempi dei film che molti di voi avranno forse visto (ma molti no, e quindi li
riassumo!).
Con questo sforzo narrativo vorrei
celebrare con voi il mio 72° compleanno (il 27 luglio).
Parliamo allora di questi tre film,
che utilizzerò per spiegare che cos’è una protesi tecnologica e una protesi
affettiva, i due paradigmi del perfetto “consulente”.
Il film Cast Away di Robert Zemeckis
(2000) narra la storia di Chuck Noland, novello Robinson Crusoe, il
protagonista del romanzo scritto da Daniel Defoe (1719). Defoe s’ispirava a un
fatto di cronaca, e cioè l’abbandono di un naufrago inglese sull'isola Juan
Fernandez.
Il film Cast Away ha vinto due
premi: uno per il miglior protagonista, dato all’attore Tom Hanks, e l’altro
per il miglior oggetto inanimato, dato a Wilson. Wilson è un palla da basket,
per l’appunto di marca “Wilson”. Tom Hanks la trova sulla spiaggia tra i
detriti, dopo che il suo aereo si è inabissato. Con la mano insanguinata, Hanks
disegna sulla palla i tratti di un viso e la trasforma, da oggetto in-animato,
a “compagno” della sua vita solitaria.
Sono passati quasi tre secoli dal
romanzo di Defoe. In quella storia il protagonista si limita a sfidare la
natura. Chuck Noland, invece, per affrontare l’ambiente ostile si crea un
confidente, animando (in senso letterale) una semplice palla.
Non mi soffermo su quello che in
realtà è successo sull’isola (oggi meta turistica) dell’arcipelago delle Figi,
dove è stato girato Cast Away. Partiamo invece dalla situazione dello
sceneggiatore del film, recatosi su un’isoletta al largo delle coste messicane,
da sempre completamente deserta.
Lo sceneggiatore arriva, e vuole
provare su se stesso gli stati d’animo che avrebbe dovuto attribuire a Chuck
Noland e a Wilson. Che cosa trova? Le spiagge, le rocce, tutta l’isoletta
solitaria è completamente disabitata, un mondo inanimato. Per descriverlo basta
un geologo. Pezzi di realtà che, in teoria, si possono ridurre alla
composizione dei materiali di cui è fatta l’isola. Altro non c’è. Appena arriva
lo sceneggiatore, tutto cambia.
Prima, il frangersi delle onde sulla
spiaggia era puro rumore. Poi i rumori incontrano l’apparato acustico umano e
diventano suoni. Prima c’era il mondo tout court, né interno né esterno, il
nudo mondo descrivibile dai fisici. Poi arriva l’uomo e il mondo diventa mondo
esterno incontrato. E’ esterno perché l’uomo ha un suo mondo mentale interno, è
incontrato perché le sue caratteristiche, come i rumori che diventano suoni,
sono definite dal sopraggiungere dell’uomo. Se sull’isola fosse arrivato un
cane, il mondo incontrato sarebbe stato diverso. Così voi, arrivando,
cambierete il mondo dei vostri clienti: lo arricchirete.
Il mondo esterno incontrato è fatto
di molte cose che c’erano prima della nostra nascita e tali permarranno dopo la
nostra morte. Ma è fatto anche di cose che nascono e vivono con noi, come
Wilson. Grazie all’incontro con Chuck Noland, la palla, in origine un oggetto
materiale (quello dei fisici, fatto di tante particelle sub-atomiche), diventa
un oggetto d’investimento affettivo. Non solo Tom Hanks quell’anno si prende
l’Oscar. La palla del film vince il premio per il miglior oggetto inanimato
proprio grazie ai modi con cui lo sceneggiatore è riuscito ad animarla.
Vi invito a fare un percorso
analogo: da semplice consulente “operativo”, tecnologico, a protesi
“affettiva”, compagno che può dare conforto.
Come fa lo sceneggiatore a rendere
plausibile la trasformazione di Wilson da in-animato a animato? Molte delle
condizioni perché ciò avvenga sono analoghe a quelle per cui i bambini si
creano dei compagni immaginari. I bambini estendono il proprio io a una sorta
di protesi affettiva che s’incarna in giocattoli, bambole, o animali di pezza.
Altre volte abbiamo a che fare non con protesi affettive, ma con immaginari
“angeli custodi”. Wilson è insieme un oggetto che si anima e un angelo custode.
Per innescare questa trasformazione
è sufficiente la decisione di Chuck Noland? Qualsiasi oggetto sarebbe andato
bene? No. Sarebbe stato difficile prendere un sasso e farlo diventare un
compagno. Un sasso non avrebbe “invitato” questa trasformazione, avrebbe
resistito restando duro, freddo, inanimato, anonimo. Conclusione: le nostre
capacità d’immaginazione hanno dei limiti ben precisi. E’ plausibile
trasformare una palla, ma non un sasso, in un amico immaginario. E tuttavia
proviamo a domandarci quali siano le condizioni minime perché qualcosa sia
animabile, perché possa esser visto come se fosse un’entità autonoma dotata di
sentimenti e emozioni.
Togliamo l’isola, facciamo a meno
dell’ambiente ostile, eliminiamo anche la solitudine di Chuck e il disegno del
viso che personalizza una palla di marca Wilson. Che cosa resta? Proviamo a
ridurre il tutto ai contorni di oggetti geometrici che si muovono su uno
schermo. E’ quello che hanno fatto Fritz Heider e Marianne Simmel. Nel 1944
hanno costruito un breve filmato della durata di un minuto e 32 secondi (facile
da trovare in rete digitando su Google: “Heider Simmel demonstration”). Di
questo film vi ho già parlato nelle lezioni precedenti. Tutte le persone
descrivono quel che succede sullo schermo all’incirca come fa Daniel Kahneman:
Gli spettatori vedono un triangolo
grande, un triangolo piccolo, e un cerchio girare intorno a una forma che
sembra l’abbozzo schematico di una casa con la porta aperta. Hanno
l’impressione che un triangolo grande e aggressivo intimidisca un triangolo più
piccolo e terrorizzi un cerchio, e che il cerchio e il triangolino uniscano le
forze per sconfiggere il prepotente; vedono anche molte interazioni intorno a
una porta e poi un finale esplosivo. La percezione dell’intenzione e
dell’emozione è molto forte; solo gli individui affetti da autismo non la
provano (2012, p. 86).
Il finale esplosivo, per chi non
avesse guardato nel frattempo il film, avviene quando il triangolo cattivo
riesce a frantumare il rettangolo che, a quel punto, si è trasformato in una
prigione dove lui non vuole essere rinchiuso.
Kahneman ci fa sorgere il dubbio che
sarà sempre “conveniente”, in certe condizioni, attribuire menti a oggetti
inanimati. Allo scopo di rendere più “economica” la rappresentazione del “mondo
esterno incontrato”, invece di togliere – come per solito si fa quando si
“economizza” - dobbiamo aggiungere qualcosa. Dobbiamo cioè arricchire le ombre
che si muovono sullo schermo d’intenzioni, trasformandole in protagoniste di
una storia ricca di emozioni.
Ecco questo vale anche per voi: a
voi, come “gestori” è opportuno sovrapporre alla funzione di “consulenti esperti”
un nuovo ruolo di “angeli custodi”.
Un fenomeno curioso, interessante
per un consulente: appena possibile, appiccichiamo a ogni oggetto, a ogni
invenzione grafica presente nei fumetti, nei cartoni animati e nella
pubblicità, emozioni e sentimenti. Non solo quando abbiamo a che fare con
esseri viventi, animali e piante. Capita anche oggetti astratti, immateriali,
che possono gioire e soffrire, pur essendo a noi sconosciuti e pur muovendosi
in scenari ignoti.
Possiamo persino animare una voce
artificiale se, dietro a questa voce, immaginiamo che ci sia una mente. Così
avviene nel film Her (Lei) di Spike Jonze, dove il protagonista s’innamora di
un sistema operativo che si presenta nelle vesti di un’affascinante assistente
(2013, premio Oscar per la sceneggiatura). Animare la voce seducente di un
sistema operativo (nel senso letterale di dare un’anima) garantisce la certezza
che Lei è nostra, e che ci amerà per sempre. Purtroppo poi Chuck scopre che Lei
intrattiene altri 641 partner, e la gelosia lo divorerà. Lei gli dice di non
preoccuparsi: il suo amore non è influenzato dal numero di persone a cui è
diretto. Dichiarazione molto plausibile nel caso di un sistema operativo, ma
che svela l’auto-inganno di Chuck. Egli preferisce pensarla come una donna di cui
è geloso, piuttosto che come un sistema operativo che può tener “compagnie in
parallelo”. Il dramma non è l’amore in parallelo, come nel classico triangolo à
la Jules et Jim di François Truffaut (1962), ma la possibilità tecnologica di
Her di farlo con un numero quasi infinito e incontrollabile di partner
sconosciuti (gli uni agli altri), sempre facendoli innamorare.
Dove sta la differenza tra Chuck
Noland e Robinson Crusoe?
Robinson è un naufrago
“illuminista”: non ha bisogno di “esternalizzare” la sua mente, gli basta
cercare di dominare il mondo esterno. Noland invece è un uomo dei nostri tempi,
e si costruisce un compagno immaginario. Il protagonista di Her, infine, è
l’uomo del futuro. La sua solitudine non è dovuta a qualcosa che avviene nel
mondo esterno incontrato, ma dentro di lui, a causa della vita solitaria dopo
che la sua donna l’ha abbandonato. A Robinson Crusoe basta la forza della sua
mente, Chuck Noland ha bisogno di una palla animata, il protagonista di Her di
un raffinato sistema operativo.
Queste tre storie ci permettono di
riprendere la questione sollevata all’inizio. Quanti volti ha la vostra
funzione? Potrebbe sembrare riduttivo paragonare un consulente a uno
smartphone. Ma non è riduttivo se pensate, nell’ottica del film Her, a tutte le
sue funzione di protesi. Già oggi, uno smartphone è uno strumento che potenzia
funzioni naturali. Come telefono, ci fa parlare con una persona con cui
potremmo conversare se fosse vicina a noi. Come macchina fotografica ci
permette di fissare un’immagine che potremmo dimenticare. Ma come computer ci
fa scoprire conoscenze e altre mirabilie. Mi sembra quindi che il confine tra
relazioni basate sull’expertise e relazioni basate su un transfer affettivo
(cfr. lezione precedente) si stia assottigliando e spostando. Naturalmente non
è bene instaurare una relazione semplicemente basata su “informazioni + affetti”.
La relazione va modulata caso per caso: anche quando il sistema operativo di
Her si attiva, cerca di farlo in modo “sartoriale”, informandosi sulle esigenze
di quel particolare cliente.
L’ideale di un buon consulente è che
il cliente possa un giorno diventare geloso di lui.
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