Pubblico, in versione integrale, l’articolo di Alessandro Fugnoli - RALLENTARE, PREGO –
pubblicato il 31 ottobre su “IL ROSSO E IL NERO – KAIROS”
“ Anche ai bull market fa
bene un limite di velocità. Modera il
tuo entusiasmo (Curb Your Enthusiasm) è un’acclamata serie televisiva della HBO
andata in onda per otto stagioni nel decennio scorso. Il protagonista nonché
creatore della serie è Larry David, un Woody Allen in versione ruvida, asciutta
e senza autocompiacimenti.
Il titolo viene dall’idea
di David che la gente, nei rapporti sociali, tende a mostrarsi più positiva ed entusiasta
di quanto non sia realmente. Questo atteggiamento non deriva dal desiderio di
farsi accettare, ma dall’idea sottintesa di essere migliore dell’interlocutore.
Che è normalmente di pessimo umore e che giustamente si irrita e
invita l’altro a calmarsi, a darsi una regolata, a non allargarsi.
Un po’ di calma non
farebbe affatto male alle borse (e in parte anche ai bond). Nelle settimane
scorse molti strategist hanno alzato i loro obiettivi di fine anno, ma i nuovi
target, per quanto piuttosto aggressivi, sono già stati superati o lo saranno
entro una settimana se si continuerà a salire ai ritmi degli ultimi giorni.
Certo, è stato comprensibile e giustificato festeggiare il mancato tapering da parte della Fed e
l’uscita dal coma dell’Europa, ma la festa sta trasformandosi in una
celebrazione permanente che comincia a muoversi sopra le righe. Continuando di
questo passo, a fine 2013 avremo già raggiunto i livelli (1850-1900) che il
consenso degli strategist indica per l’SP 500 di fine 2014.
Commentatori come Larry
Fink e Bill Gross parlano di bollicine e di bolle vere e proprie che si
cominciano a vedere su quasi tutte le
classi di asset. Effettivamente non può passare inosservato il contrasto tra
una politica monetaria che viene condotta (e bond che sono prezzati) come se ci
trovassimo in una pesante recessione senza uscita da una parte e, dall’altra,
un mercato azionario che sta adottando valutazioni da crescita vigorosa e multipli
da ciclo positivo sostenibile nel tempo.
In questo sta la
differenza tra la bolla in formazione in questa fine 2013 e le precedenti
esperienze del 1999-2000 e del 2007, quando inflazione e tassi a breve erano
intorno al 5 per cento e il Pil cresceva a una velocità doppia rispetto
all’attuale.
La diversità più grande,
in ogni caso, sta nel vissuto soggettivo di questi rialzi. Nelle due bolle
precedenti si era creata una razionalizzazione, ovvero una narrazione, per cui
il mondo era entrato in una fase nuova. I toni erano alti. Nel 1999-2000 si
evocavano la rivoluzione tecnologica e la singolarità (un termine preso in
prestito dalla fisica con cui si immaginava un buco nero di intelligenza
artificiale che avrebbe inghiottito e accelerato oltre ogni immaginazione la
storia umana). Nel 2007 ci si compiaceva per la stabilità ritrovata, per la
forte crescita senza inflazione, per il superamento del ciclo, qualcosa che in
economia è potente ed eccitante come l’idea di immortalità lo è per noi poveri
mortali.
Questa volta non c’è
retorica. Nessuno si aspetta la costruzione della città celeste sulla collina e
nessuno esalta i progressi della scienza economica, che è anzi piuttosto
screditata. Tutti invece sappiamo, nel nostro intimo, che ci stiamo comportando
come ci stiamo comportando perché la polizia ha annunciato che se ne starà
chiusa nelle sue caserme ancora per qualche mese.
Sentiamo la strana
eccitazione che pervade le persone normali (non i ladri di professione) quando
capiscono che possono rubare impunemente la marmellata. Sappiamo che la festa
un giorno finirà e che la legalità dei tassi verrà ripristinata, ma pensiamo
che, quando arriverà il momento, la polizia tornerà per le strade lentamente e,
almeno all’inizio, praticamente disarmata. Non pensiamo di svegliarci una
mattina con i carri armati per strada, cioè con un crash, e ci avventuriamo
dapprima con timore e poi con sempre più
coraggio in zone della
città che sapevamo proibite. Non ci sentiamo bravi e virtuosi come nei cicli precedenti,
ma ci sentiamo stranamente liberi. E cominciamo in qualche caso a diventare
sfrontati. La polizia ha un’ottima serie di scuse per non uscire per strada.
Bernanke è a fine regno e solo a marzo la Yellen si insedierà al suo posto.
Meglio aspettare. Poi c’è lo scontro a Washington su debito e fisco. Ora c’è la
tregua, ma da febbraio in avanti si riprende e nessuno sa che cosa potrà
succedere. Meglio attendere. I dati macro, dal canto loro, o sono deludenti
oppure, se sono forti, sono di dubbia qualità perché arrivano dalle settimane
di chiusura degli uffici governativi. Meglio non fare niente. Il confuso e
pasticciato avvio della sanità per tutti dell’Obamacare paralizza le imprese e
riempie di dubbi i compratori di polizze (che non riescono nemmeno ad acquistarle).
Meglio non farsi vedere in giro.
Gli utili delle società
stanno uscendo buoni, anche se c’è qualche vistosa eccezione. Il dollaro debole
comincia a dare una mano. È difficile non pensare, tuttavia, che utili meno
brillanti non sarebbero di ostacolo al rialzo delle borse. Quando i soldi sono
per strada, prima li si va a raccogliere e poi, eventualmente, ci si chiede se
era giusto che fossero lì. C’è poi l’idea che i dati negativi sono in realtà
positivi, perché allontanano il ritorno della polizia per le strade. Ma non ci
si ferma qui e ci si convince a poco a poco che la fase della Grande Libertà
durerà anche dopo che i dati saranno diventati stabilmente positivi perché i
governi e la Fed, questa volta, vogliono con tutto il cuore l’inflazione. E poi,
vedrete, si dirà che l’inflazione giova al fatturato delle società e alla loro
capacità di alzare i prezzi e tenere alti i margini. Perché, allora, auspicare
un limite di velocità nel rialzo e perché non correre semplicemente a
raccogliere i soldi per la strada senza farsi troppi problemi? Per quattro ragioni.
La prima è che un rialzo
troppo veloce imbarazzerebbe le banche centrali, che si vedrebbero ogni tanto
costrette a fare tintinnare le sciabole (senza peraltro usarle) per creare
volatilità (e sappiamo che la volatilità produce più perdite che guadagni nella
maggior parte dei portafogli). La Fed potrebbe ad esempio, come invoca Bill
Gross, ricorrere a misure macroprudenziali come l’innalzamento del deposito per
gli acquisti di azioni a margine (fermo da decenni al 50 per cento). Sarebbe
una misura perfettamente aggirabile attraverso l’uso dei derivati, ma il valore
simbolico del gesto verrebbe compreso da tutti e rallenterebbe per qualche
tempo il rialzo.
La seconda è che un
rialzo disordinato porta con sé un’allocazione subottimale dei capitali, un
modo cortese per dire che si buttano al vento tanti soldi correndo dietro ai
titoli che salgono solo perché stanno salendo (e non per i loro eventuali
meriti specifici). Richard Koo sostiene da anni che la bolla di Internet
indusse le grandi imprese tedesche a strapagare le società tecnologiche che
acquistavano in America e che già due anni più tardi non valevano più niente.
Il buco che si produsse allora nei loro bilanci indusse la Germania a premere
sulla Bce affinché mantenesse tassi anormalmente bassi. Il risultato fu che le
banche tedesche, in cerca di rendimento, investirono aggressivamente in titoli
italiani, spagnoli e greci, creando un surplus di capitali che fu a sua volta
sperperato. Ne seguì, nel 2011, il ritiro tedesco dal Mediterraneo e il crollo
delle nostre economie, ormai periferiche.
La terza è che,
nell’ebbrezza del rialzo, ci siamo dimenticati di una lunga serie di rischi
esogeni che un tempo ci preoccupavano molto. La geopolitica è totalmente
scomparsa, con l’ipotesi implicita che il mondo resterà in pace per sempre. Le
siccità, i terremoti, gli uragani e gli altri atti di un cielo possibilmente
collerico sono spariti dal nostro futuro. Le epidemie, che negli inverni del
decennio scorso hanno spesso causato correzioni di borsa significative, sono
debellate definitivamente dai nostri pensieri anche se i nostri antibiotici
sono sempre più deboli di fronte a batteri sempre più forti. Più la bolla
dovesse gonfiarsi, più pericoloso sarebbe il ripresentarsi di uno qualsiasi di
questi rischi.
La quarta è che la crisi
europea è in fase di remissione ciclica. Il debito di molti paesi, tuttavia,
continua tranquillamente a crescere, incurante dei nostri festeggiamenti. Nelle
stime di Citi il debito italiano sarà alla fine del 2014 del 136 per cento del
Pil, quello portoghese sarà salito al 144 e quello greco al 192. Un modesto
rallentamento della crescita globale, una correzione di borsa o un cenno di
possibile rialzo sui tassi troveranno un’Europa ancora fragilissima. Questi
rischi non vanno necessariamente prezzati. Non è razionale fasciarsi la testa
prima di essersela rotta. È però importante ricordarsi della loro esistenza
prima di lasciarsi prendere la mano e usare livelli di leva pericolosi.
Curb your enthusiasm. “
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