In data 28 ottobre, su LetteraDiBorsa, Francesco Caruso ha
pubblicato questo interessante articolo intitolato “IL VOLO DI ICARO DI WALL
STREET” che vuole fare il punto della situazione dei mercati sulla scorta di
dati e considerazioni il più oggettivi possibili. Di seguito il testo
integrale.
“ Nella vasta mitologia dei mercati, un posto importante è
riservato al rialzo perpetuo. Detto in termini semplici: quanto più a lungo un
mercato sale, tanto più vengono spazzati via i suoi oppositori e tanto più acquistano
forza le motivazioni, anche le meno razionali, che giustificano sia i livelli
raggiunti che le previsioni di ulteriori salite.
Durante le bolle (come anche nelle grandi discese) scatta l’istinto
selvaggio dei mercati: avidità, paura, compiacenza, euforia, negazione
sistematica. Spesso in questi casi si parla sui media di “nuovo paradigma” e di
“questa volta è diverso”. Invariabilmente, alla fine, gli eccessi vengono
smascherati come tali e i mercati, che si muovono in base a un criterio estremamente
razionale come la convenienza, ritornano su valori più bassi e quindi più
interessanti. La questione in discussione è se dopo quattro anni e mezzo
di salita il mercato azionario americano sia in un eccesso di valutazione
(leggi: bolla), oppure se i nuovi record storici siano semplicemente il segno
distintivo della riuscita delle politiche di espansione monetaria. A
questo proposito, la prima osservazione riguarda la natura stessa di una bolla
speculativa. Lo studio dei fenomeni di speculazione di massa porta a notare che
le bolle si sviluppano a onde o a grappoli in un determinato periodo di tempo e
che quindi tendono ad essere eventi che sono correlati uno con l’altro: ogni
bolla, infatti, conduce a una crisi e ciascuna di queste crisi a suo modo pone le
basi per la bolla successiva. Questa è effettivamente la dinamica che abbiamo
visto sui mercati finanziari per più di una decade, diciamo a partire dalla
crisi dei mercati emergenti del 1997 e dell’hedge fund LTCM nel 1998. La
risposta della FED alla crisi che seguì la recessione del 2000-2002 fu di
creare le condizioni di credito che incoraggiarono la bolla speculativa sugli
immobili: i rischi di questa politica erano ben noti, ma la FED permise lo
stesso a questi rischi di espandersi fino a diventare il boom che poi condusse
al secondo crash, quello del 2008. A sua volta, la risposta alla crisi e al
collasso del 2007-2009 avvenne su due piani: da un lato la politica fiscale e
dall’altro la politica monetaria, nota come Quantitative Easing (QE). Quest’ultima
in particolare è ormai diventata il focus quasi esclusivo degli investitori.
Peraltro, come sviscerato anche dal Premio Nobel americano Milton Friedman, il
tasso di consumo delle persone non si basa se non in maniera minima sulle
variazioni nel valore degli asset volatili come le azioni, quanto piuttosto su
quello che è percepito come il loro “reddito stabile”. Pertanto, il QE ha poco
meccanismo di trasmissione diretto nei confronti dell’economia reale, la “Main
Street Economy”.
Sul tema si è recentemente espresso Warren Buffett, il quale in
un’intervista alla CNBC ha detto, riferendosi appunto al QE3, che “non ha avuto
gli effetti attesi sull’economia” e sulla borsa USA che “sono tempi duri per
chi cerca qualcosa a buon mercato”. Questa è una opinione importante,
specie da parte del “value investor” per eccellenza. Negli USA, le
richieste complessive di assistenza alimentare sono salite dal 2001 ad aggi da
17 milioni a 47 milioni. La percentuale di popolazione con un lavoro è scesa.
Contemporaneamente, le aziende hanno visto i loro profitti esplodere al rialzo.
L’effetto centrale del QE finora non è quindi stato certo sull’economia reale
ma sulla speculazione finanziaria, la “Wall Street Economy”. La Fed crea nuova
base monetaria attraverso l’acquisto sul mercato di Bonds e di altri asset e
questo risulta in una enorme quantità di carta a “rendimento zero” la quale,
visto che gira sui mercati, deve pur essere in qualche portafoglio in ogni dato
momento. A sua volta, questa carta a interessi zero è per gli investitori una
patata bollente, che incoraggia la tendenza a ottenere a qualunque costo
rendimenti migliori: e per far questo non si può che usare asset più
speculativi. Ecco spiegato il meccanismo. Inoltre, l’espansione dei margini e
le enormi immissioni di liquidità hanno permesso finora alle aziende USA di
finanziare imponenti campagne di buyback, immettendo ulteriore liquidità nel
mercato azionario.
Ulteriori prove della presenza di una componente speculativa nella
salita della borsa USA arrivano dal livello di utilizzo della leva finanziaria,
che è arrivata ai massimi di sempre sia in termini assoluti che in relazione al
prodotto nazionale lordo USA.
Inoltre, l’assenza di correzioni e quindi
di vere opportunità di acquisto da molti mesi a questa parte, sta forzando
molti investitori finora restii ad entrare e tutti coloro che erano sottopesati
– o che addirittura erano andati al ribasso sulla borsa USA – a
ricoprirsi. Due importanti concause nel rialzo che ha portato ai recenti
record sono quindi identificabili negli errori di posizionamento degli
investitori, in particolare di quelli istituzionali, e nella mancanza di
convenienza delle alternative classiche di investimento. In questo senso
la situazione dei mercati innescata dalla politica della Fed può essere
paragonata a quella di una casa che viene sistematicamente affumicata, stanza dopo
stanza: pian piano le stanze diventano impraticabili (sicuramente lo è quella
della liquidità, che non rende nulla; e lo è quella dei bonds, che storicamente
pagano ancora premi irrisori per il rischio di tasso e il rischio di credito) e
gli abitanti della casa – cioè gli investitori – non possono che spostarsi
nell’unica stanza che finora non è stata affumicata: la borsa.
Uno dei mantra dei rialzisti riguarda gli
elevati margini di profitto della borsa USA, che a detta di molti ne
giustificano le quotazioni. Questi margini in realtà non sono sostenibili in
quanto sono semplicemente l’immagine speculare di ciò che è accaduto in
risposta alla crisi del 2007-2009. La politica di spesa pubblica e fiscale
degli USA ha permesso ai consumatori di continuare a mantenere il proprio
standard di consumo attraverso l’indebitamento, nonostante la disoccupazione
fosse salita ai massimi da molti decenni e nonostante i salari fossero scesi, e
quindi ha permesso alle imprese di aumentare i margini. Il semplice esame della
correlazione (molto stretta) che esiste tra i margini di profitto e le
proiezioni di rendimento futuro del mercato azionario americano porta a
concludere l’esatto opposto di quella che è la percezione attuale:
probabilmente quello che aspetta il mercato azionario USA nella prossima decade
è una serie di grandi movimenti ciclici che però porteranno a un ritorno
complessivo medio che da questi livelli difficilmente andrà oltre il 3 per
cento all’anno, compresi i dividendi. Questa proiezione può essere modificata (significativamente)
in positivo soltanto nel caso in cui la borsa americana abbia una correzione
pari o superiore al 20 per cento dai livelli attuali.
In termini generali, si può arrivare
alla conclusione che chi acquista il mercato americano da questi livelli (oltre
1700 di S&P500) in su lo fa perché ritiene che qualcun altro sia disposto a
comperare domani quello che lui ha comperato oggi, ma a prezzi più elevati.
Questa è in ultima analisi la definizione più pura che ci può essere di
speculazione, intesa non nel termine derivato dal latino “speculor” e cioè “osservo attentamente”, ma
semplicemente come istinto di arricchimento basato sul puro senso del gioco.
Non c’è nulla di male in questo, in sé e per sé: ma la storia insegna alcune
cose al riguardo.
La prima è che le banche centrali e in
particolare la FED, al di là delle dichiarazioni di facciata (vedi
l’”esuberanza irrazionale” di Greenspan, ma anche le stesse dichiarazioni di
Bernanke), non fanno mai nulla per prevenire questo tipo di situazioni perché
in fondo è la loro stessa azione che le crea. La riprova è la recentissima
decisione della FED di prolungare “ad libitum” il programma di QE pur in
presenza di condizioni favorevoli alla sua sospensione: l’unica strada che ha a
disposizione è la continuazione della attuale politica iperespansiva per
provare a sostenere la situazione americana e per provare a creare un
meccanismo di rifinanziamento del debito pubblico americano a tassi
inferiori, anche perché un rialzo fuori controllo dei tassi creerebbe alla FED
stessa buchi (almeno virtuali) di bilancio difficilmente quantificabili.
La seconda lezione che insegna la storia è
che i massimi di borsa spesso sono processi che durano molti mesi, composti da
una serie di correzioni e spinte a nuovi massimi marginali, spesso connessi
alla fase finale del ciclo di espansione, quando quindi tutto sembra “andare
benissimo”.
La terza lezione è che è impossibile
evitare che il pubblico – inteso come la massa degli investitori privati – si
getti a capofitto e spesso tardivamente in una bolla speculativa, per un
semplice meccanismo basato sull’avidità e sull’invidia. Questo meccanismo
imitativo crea le basi per un comportamento collettivo simile a quello di un
branco, ampiamente documentato e studiato dagli psicologi.
La quarta lezione è che gli ultimi
arrivati, proprio per essersi “convertiti” per ultimi, sono i più fanatici
difensori del trend e sono anche quelli che non riescono quasi mai a uscirne
con dei vantaggi: anzi sono molto spesso quelli che escono dopo mesi e mesi di
ribasso, con le peggiori perdite.
Queste quattro “lezioni” sono
confermate da decenni di storia dei mercati. Ma il vero problema con una bolla
speculativa è che è possibile individuarla e riconoscerne i tratti distintivi
per tempo, ma è praticamente impossibile prevedere quanto possa durare e quando
possa finire. E’ invece possibile cercare di identificare quanto meno i
possibili “trigger”, le micce che potrebbero nel futuro innescare un
ribaltamento del mood collettivo positivo: ad
esempio un ulteriore rialzo dei tassi a lungo USA, il che vorrebbe dire che la
Fed non riesce più ad avere il controllo sul mercato obbligazionario nonostante
la perpetuazione del QE. O una discesa rapida del dollaro, che invece vorrebbe
dire che il mercato sta percependo come un rischio reale la enorme immissione
di massa monetaria virtuale che è avvenuta negli USA negli ultimi anni.
Quanto appena detto rappresenta
semplicemente una presa d’atto e di coscienza di uno stato di cose che non può
essere trascurato soltanto perché momentaneamente il mercato non lo recepisce.
Bisogna aggiungere anche il fatto che, a differenza di quanto è accaduto in
passato sugli altri importanti massimi e picchi di mercato azionario, in questo
particolare caso la FED (e – per inciso – anche le altre principali banche
centrali tra cui BCE, BOJ, BOE) non ha più alcuna cartuccia da sparare dal
punto di vista della riduzione del costo del denaro. Pertanto, qualora in un
futuro più o meno prossimo la situazione si ribaltasse e i nodi appena
descritti venissero al pettine, sarà molto interessante capire con quale tipo
di “exit strategy” se ne uscirà.
Per ora il volo di Icaro della borsa USA
continua. Lo S&P500 che veniva buttato via come kryptonite nel 2009 a 666
(numero cabalisticamente interessante), ora viene rincorso a 1750. Ma un
top richiede segnali, non semplici indizi. La realtà è che la attuale
“esuberanza” innescata dall’eccesso di liquidità e dai tassi zero è
paradossalmente nutrita sia dalle buone che dalle cattive notizie, le prime
perché rafforzano la percezione della ripresa, le seconde perché prolungano il
QE: questa fase di nirvana può quindi durare ancora e può mantenere il mercato
azionario americano “irrazionale” (e trascinarne dentro altri) a lungo,
più a lungo di quanto la logica, i fattori tecnici e gli stessi fondamentali
porterebbero a ritenere. Ma estensione e durata del rialzo non ridurranno i
parametri di rischio: li metteranno ancora di più sotto stress. Tenderanno un
elastico già parecchio teso. In alcuni casi la messa a terra mentale e pratica
di questo processo di “riconoscimento dell’eccesso” avviene gradualmente; in
altri casi, come nel 1987, avviene praticamente di colpo.
La conclusione di chi
scrive è che i mercati vadano seguiti senza essere giudicati, ma anche che sia
necessario avere una percezione esatta e avallata da dati storici e statistici
della situazione. Non si possono continuamente raccontare agli investitori e ai
risparmiatori le favolette per farli affluire al grande casinò/mattatoio della
finanza. Gli eventi e le politiche straordinarie stanno guidando il mercato
azionario USA a un altro eccesso speculativo, solo qualche anno dopo la dura
lezione del 2007-2009: in queste situazioni, solo una disciplina di
investimento paziente, storicamente informata e consapevole del rischio
prevarrà. L’elemento centrale di ogni disciplina di investimento è l’attenta
analisi storica dei cicli di mercato e una stima dei rischi e dei vantaggi
prospettici ottenibili attraverso questa analisi. Il problema è che gli
investitori (e non solo quelli italiani) tendono sistematicamente ad
abbandonare le strategie più solide nel momento in cui queste strategie
incappano nel loro “bear market”, cioè quando non funzionano più tanto bene, il
che accade sempre nelle fasi di eccesso di euforia o di panico. “
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