Molte volte ho ricordato che la difficoltà a usare
spontaneamente una corretta strategia di diversificazione è attribuibile
principalmente al fatto che noi siamo vittime di quella che Kahneman ha
chiamato “euristica della disponibilità” (availability, cfr. nel testo del
2011, ora tradotto in italiano, anche il concetto di availability cascade, cioè
il contagio innescato da ciò di cui tutti parlano: il cap. 12 del saggio è
tutto dedicato a questa euristica). Noi cioè tendiamo ad acquistare quello che
conosciamo e che riconosciamo. Questa tendenza spiega perché il 90% dei
risparmi dei nostri compatrioti è investito in Italia (e non per patriottismo,
purtroppo. Cfr. i dettagli sul mio libro dedicato alla Gestione dei Risparmi,
Mulino, 2013). E veniamo all’esperimento di Borges e colleghi.
Essi hanno controllato l’impiego dell’euristica della
disponibilità, basata sulla semplice capacità di riconoscere qualcosa come già
noto e conosciuto (il termine euristica sta a indicare una regola
approssimativa ma efficace e si contrappone ad “algoritmo”, cioè alle procedure
di calcolo che conducono a una risposta esatta).
I ricercatori hanno cominciato a domandare a 480
tedeschi e americani, metà esperti e metà profani, i nomi delle società che
riconoscevano a partire da liste con i 500 titoli americani e i 300 titoli
tedeschi più trattati. Sono state così raccolte le percentuali di
riconoscimento: per esempio 14 aziende tedesche sono state riconosciute da
tutti (100%), 33 dal 90%, e così via. Sono stati infine costruiti dei
portafogli in base alle società nazionali e internazionali più conosciute.
A partire dalla data di partenza della prova, nel
1996, i ricercatori tedeschi hanno cominciato a seguire i portafogli costruiti
con la tecnica del riconoscimento confrontandoli con:
- L’andamento delle azioni che non erano state riconosciute da almeno il 10% degli intervistati;
- Gli indici di mercato;
- I fondi di investimento del settore;
- Un portafoglio composto a caso.
L’ordine
da 1 a 4 è anche l’ordine del successo delle varie strategie nei momenti di
euforia dei mercati. Le persone esperte, intervistate poi da Borges, erano
inclini a spiegare i risultati ottenuti con la loro preparazione (citando, in
particolare, il supporto degli analisti e la conseguente capacità di scelta dei
titoli). Probabilmente non avrebbero sospettato che il sapere ingenuo dei
profani, basato su una semplice strategia di riconoscimento dei titoli, cioè
sulla loro popolarità, avrebbe fatto altrettanto bene. La spiegazione non è
così stupefacente. In un mercato euforico, in cui gli inesperti sono la
maggioranza, i titoli più noti sono quelli che vanno meglio perché sono quelli
preferiti dai profani. Gli inesperti e i neofiti, utilizzando la “ingenua”
strategia del riconoscimento, possono fare altrettanto bene dei gestori dei
fondi (cfr. commento di Paul Singer nella lezione precedente). Infatti, come
nel beauty contest keynesiano, quel che è cruciale è la capacità di anticipare
i gusti altrui. Molti, per lo più profani di Borsa, si erano lanciati in un
mercato effervescente, com’era quello della prima metà del 1996, sia negli
Stati Uniti che in Germania. E tutto ciò ci riporta al mio commento della
lezione precedente.
E’
interessante notare che il meccanismo del contagio dell’euforia sopra descritto
funziona fin dal 1928, almeno negli Stati Uniti. Le azioni sono salite negli
ultimi due mesi dell’anno nell’ 82% degli anni in cui erano salite nei
precedenti dieci mesi. Questo è avvenuto sempre dal 2009. Il meccanismo è
sempre quello del contagio e dello specchietto retrovisore: “Le persone che
sono uscite dai mercati azionari dal 2009 sentono che hanno perso o stando
perdendo un’occasione e vogliono fare come le altre”, così commenta il
responsabile di un’importante casa (cfr. Bloomberg: S&P 500 Year-end Momentum,
4.11.2013). In questo periodo, a sentire gli operatori, ogni buona notizia per
l’economia è diventata buona anche per la borsa, allo stesso modo che, fino al
giorno prima, ogni cattivo dato aveva generato rialzi, perché la Fed sarebbe
stata più accomodante (Walter Riolfi, Sole 24Ore, 9.11.2013, p. 34). Ancora una
volta gli effetti della overconfidence che non guarda tanto per il sottile!
Così si formano le bolle, intese come uno scarto rispetto alla media storica
del rapporto p/u.
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